Giulio Cesare Soavi è morto nell’inverno di quest’anno; avrebbe compiuto novantotto anni a marzo.
Un’immagine può trasmettere qualcosa di essenziale di come egli era; e non soltanto negli ultimi mesi.
Tolstoj racconta in Guerra e pace del principe Andrej ferito nella battaglia di Austerlitz; sono i brevi istanti, quando si è stati colpiti ma non si avverte ancora il dolore:
Riaprì gli occhi… Sul suo capo non c’era più nulla, tranne che il cielo: un cielo alto, non limpido, ma tuttavia immensamente alto, con un silenzioso scivolare di nuvole grigie. «Che silenzio, che pace, e che solennità! In tutt’altro modo da come correvo io – pensò il principe Andrej – da come tutti insieme correvamo, gridavamo e ci battevamo; in tutt’altro modo da come, inferociti e spauriti, [lottavamo gli uni contro gli altri;] in tutt’altro modo scivolano le nuvole per questo cielo alto, sconfinato. Come mai, prima, non m’accorgevo di questo cielo così alto? E come sono felice d’averlo riconosciuto, finalmente!».
Soavi sapeva vedere il cielo, al di là del frastuono, nel cicaleccio della conversazione, nel racconto in analisi di minute vicende e di mille ripetuti conflitti personali.
12 febbraio 2021
Claudio Neri
Vedi anche
Dei 18 congressi della Società Psicoanalitica Italiana, svoltisi a partire dal 1946 in varie città italiane, il diciannovesimo è il primo che si è svolto on line, si potrebbe anche dire in remoto, ma meglio a distanza o su una piattaforma, evocando un luogo seppur virtuale. Il tema del cambiamento è spesso stato presente già nei titoli dei congressi precedenti, a testimoniare una psicoanalisi in continuo dialogo tra passato e presente, ma questa volta il cambiamento ha riguardato anche il mezzo stesso di comunicazione: una piattaforma digitale. La piattaforma potrebbe essere pensata come una metafora di un luogo altro che non si sa dov’è, di cui si ipotizza il funzionamento a partire dai suoi derivati, un pò come l’inconscio: l’oratore si rivolge a uno schermo in cui coglie l’assenza dei rumori, della luce, degli odori , del riscontro vivo della sala comune, i partecipanti colgono il vuoto alla fine della relazione , quando non si può applaudire più o meno calorosamente e più o meno a lungo, qualcuno non riesce a connettersi e resta disconnesso, qualcun altro perde la connessione dopo essere stato già connesso, le parole ogni tanto hanno delle deformazioni o dei vuoti, a volte si vede ma non si è visti o si ode ma non si è uditi e viceversa. Ma le cose possono anche andar bene, i partecipanti iscritti sono più di mille, le connessioni in gran parte funzionano e si fa esperienza di un arricchimento del pensiero, di un ampliamento delle proprie potenzialità conoscitive, di un’espansione della propria identità professionale attraverso condivisioni, assonanze, dissonanze.