Lunedì, Aprile 29, 2024

"Il caftano blu". Osare il cambiamento. Note di Adriana D'Arezzo

Regia di Maryam Touzani, con Lubna Azabal, Saleh Bakri, Ayoub Messioui

Titolo originale: The Blue Caftan

Genere: drammatico

Marocco, 2022

Durata: 122 minuti

 

Il tema del film non è particolarmente originale come non lo è la metafora sartoriale, ma il contesto ed il linguaggio sono interessanti. È la storia di un cambiamento, della lenta emersione della soggettività, della rinuncia graduale alla vita clandestina nell’anonimato del conformismo. I personaggi sono descritti con la delicatezza dell’indagine psicologica frutto di una raffinata sensibilità. Come accade spesso nella richiesta di trattamento psicoanalitico, ci sono circostanze della vita, una malattia, una separazione, un lutto, in cui diventa possibile avviare processi trasformativi prima impensabili.

Helim e Mina sono una coppia affiatata che gestisce una piccola sartoria in cui si confezionano caftani tradizionali nel cuore della medina di Salé, in Marocco. Nonostante l’evidente affiatamento della coppia si respira un’atmosfera pesante, una sofferenza sotterranea attraversa la vita dei personaggi, il mondo esterno sottilmente ostile. Helim è un sarto raffinato ma gli affari non vanno bene, la clientela sembra incapace di apprezzare materiali e lavoro accurato, pretende una velocità incompatibile con il tipo di lavoro che loro propongono.

Mina è seriamente ammalata, Helim le sta accanto teneramente. Un giovane apprendista, Youssef, si inserisce per aiutarli, ora al negozio sono spesso in tre, lui cuce e insegna antiche tecniche sartoriali, lei seleziona i materiali e parla con la clientela. L’amore e la cura pervade ogni ambito. Ogni gesto è prezioso. Nella quotidiana vicinanza tra Halim e Youssef affiorano antichi desideri rimasti sopiti e incapsulati, aree probabilmente vissute come impresentabili. Diviene palese una omosessualità che era stata a lungo negata e relegata in brevi clandestini incontri nel segreto dell’hammam, forse temuta per gli effetti deflagranti.

Il film si svolge quasi interamente in spazi interni, la casa, il negozio, l’hammam, la luce è fioca. Un’atmosfera faticosa anche per chi guarda, i tempi sembrano troppo lunghi. Eppure la sapienza delle inquadrature, i primi piani sui dettagli catturano pian piano lo spettatore rendendolo attento e curioso.

Per Helim, cresciuto senza il sostegno dello sguardo materno, morta alla sua nascita, e nel risentimento di quello paterno, il percorso di vita è stato accidentato, ma lui apparentemente non recrimina, cuce, ritirato in un mondo che lo protegge e lo imprigiona. La paura governa il tempo, rende difficile uscire alla luce del sole. Mina nonostante la malattia che avanza è una donna battagliera e profondamente onesta.

Con gli occhi di uno psicoanalista possiamo pensare che per Helim il trauma dell’assenza di sguardo, il tradimento dell’originaria aspettativa di reciprocità, in un’epoca dello sviluppo in cui non era per lui ancora possibile dare forma di pensiero a questa mancanza, abbia generato una ferita che mina la legittimazione alla vita soggettiva. Talvolta, come nel caso di Helim, incontri successivi possono in qualche modo prendersi cura del dolore, possiamo immaginare che ci sia una profonda condivisione che lo rende possibile.

Costruire la propria libertà richiede tempo, come confezionare caftani, può essere fatto utilizzando tecniche differenti. La ricerca dei materiali, la qualità e i colori delle sete e del filo, la sua torsione ottimale ne determina la durata nel tempo. La bellezza cura, sembra pensare Maryam Touzani regista e sceneggiatrice marocchina che dirige con maestria attori bravissimi. Anche l’amore e la dolcezza coniugati con la forza e la determinazione curano. Diviene possibile tessere connessioni tra piani differenti, ci si aspetterebbe la gelosia di Mina quando Youssef diventa sempre più presente in casa ma qualcosa di più prezioso deve essere preservato. Anche la paura in un contesto come quello del Marocco, la cui legislazione punisce l’omosessualità con il carcere fino a tre anni, può essere affrontata. La prossimità della fine di Mina impone un cambio di passo nelle loro vite e la loro umanità si espande verso il futuro. Come in un contesto psicoanalitico a poco a poco i personaggi acquistano spessore, diventa possibile avvicinare il proprio mondo interno, rintracciare il senso delle cose.

Con il sostegno dello sguardo solidale dell’altro diventa possibile liberare potenzialità inesplorate.

Nella bella danza che i tre improvvisano trascinati dalla musica, davanti ad una finestra aperta che pare simbolizzare nuove possibilità di scambi col mondo esterno, si può finalmente godere di un piacere che coniuga i sensi con la gioia dell’altro con l’altro.

“Non aver paura di amare” dice Mina ad Helim allontanandosi, è un lascito vitale.

 

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