Domenica, Aprile 28, 2024

Immaginare il futuro: il pensiero oltre le angosce catastrofiche e il diniego (CdPR- CPdR, 4 novembre 2023). Report di Mariaclotilde Colucci

Introduzione. Alfredo Lombardozzi: “Un mondo che cambia: la psicoanalisi tra catastrofi e speranze”

La relazione di Alfredo Lombardozzi, che apre i lavori della mattina, mette in evidenza quanto possa essere impegnativo “immaginare il futuro” nel passaggio dei due millenni, attraversato da una potente accelerazione in diversi ambiti dell’esistenza, geopolitica, economica, climatica e tecnologica. Sono tanti gli aspetti della realtà in cui siamo immersi e che oggi ci espongono ad un senso di catastrofe. Lombardozzi ci offre una accurata riflessione su come sia possibile non farci sovrastare dal senso della catastrofe e mantenere viva la speranza per orientarci e contrastare la tendenza al diniego, non potendo prevedere gli sviluppi, che pur si intravvedono, sul piano geopolitico a livello globale. Ci troviamo così nel mezzo di processi che favoriscono forme di oblio e di diniego, sia sul piano individuale che sociale, come reazione difensiva a problemi inaffrontabili, o percepiti tali. Il relatore propone una definizione di Speranza, avvicinando le due visioni, quella di Bion e quella di Erikson, al pensiero di Kohut, che individua, nella spinta alla vita e ad un’esistenza di piena dignità, un fattore vitale. Il senso della Speranza prende forma e forza proprio nel corso di questo processo, nell’oscillazione tra sfiducia e fiducia, attraverso un accompagnamento psichicamente e culturalmente riconosciuto.

La letteratura, la filosofia e l’antropologia ci forniscono prospettive significative che, se lette con una lente psicoanalitica, ci indicano la possibilità di fare esperienza di un cambiamento catastrofico, ovvero, del tentativo di uscire dalla catastrofe attraverso la narrazione, oppure attraverso la possibilità di una forte condivisione nella dimensione di gruppo. Nell’apertura di un dialogo nel passaggio tra le diverse figure della catastrofe si crea lo spazio, il terreno in cui prende forma la figura della Speranza, sentimento che consente il mantenimento di quella che Appadurai (2013, p.398) definisce la ‘capacità di aspirare’, coltivata nella quotidiana costruzione del futuro. È una capacità culturale la cui forma “è nettamente universale, ma la cui forza è nettamente locale”.

Fabio Castriota: “L’ultima domanda”.

Partendo dal racconto di fantascienza “L’ultima domanda” di Asimov, Fabio Castriota, si chiede quale futuro possa esserci per la psicoanalisi in un mondo dove il caos sociale, culturale e antropologico sembra prevalere, e ci invita a riflettere proprio sui fattori nei quali siamo immersi, per poi considerare come questi possano incidere attualmente sulla vita e sulla sofferenza mentale dell’uomo e sulle inevitabili sfide che interrogano la nostra disciplina e il nostro metodo. Come si riflettono i cambiamenti epocali che viviamo sulla psiche dell’uomo post-moderno? Certamente nell’affermazione di nuove forme di sofferenza mentale, che constatiamo quotidianamente nei nostri studi. A tale proposito, Castriota, ricorda il pensiero di Leo Rangell, ripreso da Gaddini nel famoso articolo “Se e come sono cambiati i nostri pazienti fino ai nostri giorni”, che a distanza di qualche decennio è di profetica attualità.

Siamo di fronte a quelle che vengono definite “nuove patologie”, legate a trasformazioni anche ambientali e culturali. In questi pazienti gli stati affettivi emergono non-integrati, non strutturati, privi di contenuti rappresentativi, poveri della vita fantasmatica, come se la psiche fosse catturata solo da un attuale, spesso perturbante per l’impossibilità di costruire una raffigurazione psichica che possa essere inserita in una narrativa personale. Quando questi pazienti arrivano in analisi, mettono il terapeuta di fronte al fatto che il procedimento basato sulle libere associazioni e la corrispondente attenzione liberamente fluttuante, la cosiddetta regola fondamentale, è ostacolata da una strutturale inadeguatezza del pensiero verbale. Questo processuale fantasmatico negativo è capace di mettere in scacco la relazione analitica, perché destruttura tutti i parametri e gli accorgimenti teorico-clinici e tecnici che abbiamo a disposizione. Si tratta di casi assimilabili alle situazioni limite sulle quali diversi autori si sono interrogati. In particolar modo André Green, parlando dell’analista, ci ricorda come egli abbia la sensazione che nulla di quanto ha imparato valga di fronte a questi casi, ritrovandovi solo poche tracce di ciò che gli è stato insegnato, incapace di individuare i meccanismi di difesa classici, esposto a resistenze delle quali non ha mai letto la descrizione, portato a vivere l’analisi come se si svolgesse in una terra sconosciuta.

Stefano Bolognini: “Previsione. Preveggenza. Previdenza.”

L’intervento di Stefano Bolognini, attraverso aneddoti di vita quotidiana ed esemplificazioni cliniche, evidenzia come il frequente interesse, delle persone sia quello di conoscere, possibilmente alla svelta e con certezza, il proprio futuro. Tale esplicita tendenza, sottolinea come l’illusione di poter prevedere gli scenari e gli sviluppi del futuro abbia sempre affascinato, ma anche spaventato, l’umanità nel suo complesso, nonostante la scienza ci abbia fornito ad oggi sistemi di previsione sufficientemente attendibili che non rientrano più nell’immaginario del magico o del portentoso. Nel processo terapeutico sia paziente che analista possono regredire al pensiero magico onnipotente. L’inclinazione al magico, comunque, è ubiquitaria e si manifesta a volte in modo sommesso e per nulla drammatico, perfino ammiccante o difensivamente manovriero nei confronti dell’Io-realtà, alternando in certi casi consapevolmente i due livelli: “non è vero, ma ci credo”. Naturalmente, secondo Bolognini rimane un nostro compito quello di avventurarci e perfino di sporgerci nell’immaginazione risonante senza sbilanciarci regredendo troppo all’autoriferimento solipsistico: nel nostro condividere senza invadere, senza sostituire l’altro e senza “fantasticarci addosso” con compiaciuto narcisismo. Ritornando alla formula dello “sporgersi senza sbilanciarsi”, che è già una avventurosa concessione rispetto al “senza desiderio”, noi psicoanalisti possiamo permetterci di tenere d’occhio (“vedere”) il futuro potenziale del quale conosciamo abbastanza fondatamente e da vicino alcuni elementi. Nella nostra clinica, ad esempio, riusciamo a volte a intravvedere movimenti, configurazioni e sviluppi in statu nascendi che ci fanno presentire qualche novità in arrivo. Naturalmente rimane un nostro compito quello di avventurarci e perfino di sporgerci nell’immaginazione risonante senza sbilanciarci regredendo troppo all’autoriferimento solipsistico: nel nostro condividere senza invadere, senza sostituire l’altro e senza “fantasticarci addosso” con compiaciuto narcisismo.

Interventi dal pubblico.

Gli interventi dal pubblico coordinati da Alessandro Grignolio sono stati caratterizzati da un ampio e ricco dibattito, autenticamente partecipato circa la fatica di entrare in contatto con la verità materiale quando si fa tanto inquietante e brutale nella sua concretezza, così come stiamo assistendo proprio in questi giorni nel drammatico deflagrare del conflitto tra Israele e Palestina, negando qualsiasi possibilità di previsione sul futuro dell’umanità.

Barbara De Rosa: “Riaccendere la speranza in un’epoca politraumatica. Il laboratorio di psicoanalisi applicata come potenziale contenitore per il Kulturarbeit”.

Apre i lavori della sessione pomeridiana l’intervento di Barbara De Rosa secondo la quale il nuovo millennio sembra il risveglio da un’illusione connessa anche a falle, forse ineludibili, di Kulturarbeit. Nel suo intervento la relatrice analizza i punti di forza e di vulnerabilità del Kulturarbeit nell’incontro con il trauma estremo, sostenendo l’idea che esso funga da lente di ingrandimento sul contesto in cui si inscrive e che, pertanto, di quel contesto consenta di cogliere fattori, processi e dinamiche attivi anche nel pre-trauma, ma meno visibili.

Nell’intervento viene descritta un’esperienza di Laboratorio di psicoanalisi che si rivolge da 10 anni agli studenti triennalisti di psicologia dell’Università Federico II di Napoli. L’obiettivo del Laboratorio è di leggere con lente psicoanalitica traumi storici, il cui emblema è la Shoah. Il laboratorio si svolge attraverso discussioni d’aula libere, sollecitate da stimoli filmici visionati insieme, in un’area transizionale dove, lavorando contenuti anche angosciosi in uno spazio protetto, si accompagnano gli studenti nello sforzo di Kulturarbeit.

Chiara Matteini: “Paesaggi del futuro. I paradossi della nostalgia”.

La suggestiva relazione di Chiara Matteini ci mette di fronte ad una ineluttabile verità, ovvero che, a volte, attendere nel futuro una catastrofe che è già avvenuta, in un altro tempo, in un altro luogo, in un'altra vita può essere una delle modalità che come esseri umani abbiamo per immaginare un domani. Secondo la relatrice provando a rimettere in gioco quello che di perturbante il futuro porta con sé potremmo chiederci in che modo il tempo inconscio, anacronico, aritmico, discontinuo, comprenda il futuro. Allora potremmo dire che il pensiero del futuro, il futuro dei luoghi che abitiamo, delle città che attraversiamo, del pianeta che subisce il peso della nostra presenza, sembra contenere da una parte l'angoscia perturbante di quello che ci sarà ancora quando noi non ci saremo più, dall'altra il corrispondente tentativo degli individui e della comunità umana di ipotecare il futuro, forse per negare che qualcosa proseguirà senza di noi. Immaginandolo ed evocandolo cerchiamo costantemente di imporre al futuro una forma, che contenga qualcosa di noi, dei nostri sogni, o dei nostri incubi. Matteini propone di utilizzare la nostalgia come vettore per esplorare il lavoro dello psichico in cerca di futuro. Nella nostalgia la dimensione del piacere/desiderio si articola con quella della ripetizione/rimpianto, convocando tutti i tempi.

Alessandra Balloni: “Tollerare il reale, immaginare il futuro: la funzione dell’arte”.

L’intervento di Alessandra Balloni, partendo dai dati della realtà complessa, difficile e disarmante che abbiamo di fronte, si incentra, passando in rassegna i maggiori artisti contemporanei, sull’importanza dell’arte per gli esseri umani e sulla funzione che essa svolge nel rapporto che istituiamo con il reale. L’Arte ci sollecita a prendere coscienza dei limiti, interrompendo l’esercizio di un dominio onnipotente sulla Natura dalla quale le nostre vite e quelle delle future generazioni dipendono. Balloni sottolinea come pervertendo il rapporto uomo-natura, abbiamo modificato i processi biochimici del nostro ambiente innescando un cambiamento dell’equilibrio della biosfera e generando l’estinzione di massa di altre specie viventi. Minacciamo la biodiversità alla quale dobbiamo la nostra stessa vita. Consapevoli, inoltre, che i tempi di restaurazione della distruzione in atto si misurano in milioni di anni. Molto appropriata la definizione, ripresa da Balloni, di uomo contemporaneo proposta da Hann Jonas (1979): “un Prometeo definitivamente liberato dalle catene al quale la scienza conferisce una forza mai conosciuta e l’economia il suo impulso sfrenato”.

Interventi dal pubblico.

La discussione, coordinata da Giuseppe Bruno, converge sulle connessioni tra gli interventi delle tre relatrici. Il dibattito si conclude con uno scambio stimolante.

 

Vedi anche 

Report Convegno Intercentri - “Immaginare il futuro: il pensiero oltre le angosce catastrofiche e il diniego” (4 novembre 2023) di Flavia Salierno

Immaginare il futuro: il pensiero oltre le angosce catastrofiche e il diniego (4 novembre 2023)

 

 

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