Giovedì, Aprile 18, 2024

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Capozzi F. - Psicoanalisi e Salute Mentale in età evolutiva: un dialogo ancora aperto? (2016)

“ Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie……

                                                                              Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d’umore,

                                                                                dalle ossessioni delle tue manie.

                                                                              Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza.

                                                                           Percorreremo assieme le vie che portano all’essenza.”

                                                                                                                     (da La cura di F. Battiato)

PREMESSA

Quando mi è stato proposto di contribuire a questa giornata dedicata alle estensioni della psicoanalisi, ho superato la mia solita ritrosia pensando che poteva essere una buona occasione per parlare alla SPI di salute mentale dei minori, di psicoterapia del bambino e adolescente, ma anche di neuropsichiatria infantile. L’unica disciplina medica, ideata da G. Bollea tra gli anni 50- 60, che ha nel suo core curriculum, l’unità mente-corpo. Si trattava di una sfida coraggiosa al mondo scientifico-medico di allora, significava occuparsi in età evolutiva contemporaneamente di neurologia, neuropsicologia e psichiatria, di cervello, mente, neuroni, funzioni, affetti e relazioni. La neuropsichiatria infantile nasce in Italia in un periodo storico, politico e sociale, difficile ma favorevole, gli anni del dopoguerra e della ricostruzione a cui succedono gli anni 60-70 ( quelli dell’ “utopia al potere” spezzati dal terrorismo, dagli oscuri “anni di piombo”).C’era in quei tempi una grande spinta ideale, il desiderio e la speranza di cambiare il mondo, gli anni della legge Basaglia, della chiusura dei manicomi, della legge sull’integrazione scolastica , dell’abolizione delle classi speciali. La neuropsichiatria infantile si pose un obiettivo ambizioso quello di occuparsi in età evolutiva sia degli aspetti neurobiologici (primo screening in Italia per le malattie dismetaboliche), degli aspetti sociali (Marcella Balconi, a Novara fece il primo screening su 1000 bambini segnalati per difficoltà di adattamento al primo anno di scuola ) , di psicopedagogia (Maria Montessori, la prima donna medico italiana, rivolse la sua ricerca allo studio delle modalità di apprendimento nei bambini con e senza disabilità), di riabilitazione (primo corso per terapisti della riabilitazione della neuropsicomotricità in età evolutiva) e degli aspetti emotivi-relazionali e quindi di psicoanalisi[1]. Le nuove scoperte scientifiche nel campo della genetica e delle neuroscienze, i protocolli terapeutici e le linee guida, le tecniche sempre più sofisticate, le nosografie internazionali e l’evidence based medicine hanno cambiato profondamente l’intero mondo della medicina. Anche la politica sanitaria in questi ultimi 15 anni è molto cambiata aziendalizzazione, tagli, riduzione del welfare, aumento della burocratizzazione, piano di rientro per la sanità della regione Lazio con conseguente blocco delle assunzioni. Questa situazione rappresenta un grave attacco alla salute, alla prevenzione, termine ormai obsoleto e all’intera sanità pubblica in tutte le sue forme. L’ascolto, la semeiotica percepita, non strumentale (come diceva un vecchio primario“una buona anamnesi fa 3|4 della diagnosi”), alla base della formazione medica di molti di noi, sono state sacrificate in nome di una tecnologia sofisticata, di tempi sempre più ridotti (10 max 15 minuti per visita ambulatoriale), della produttività e di una falsa efficienza. Ma torniamo al nostro specifico, la salute mentale in età evolutiva, l’obiettivo di Bollea, che mirava ad un rafforzamento reciproco tra psichiatria e psicoterapia in età evolutiva (modello Tavistock Clinic), è stato disatteso sia per cambiamenti di politica esterna, che riguardano tutta la sanità e di cui ho già accennato, sia per la complessità ad integrare tante anime[2]. La neuropsichiatria e la psicoterapia del bambino e dell’adolescente erano discipline giovani, entrambe alla ricerca di un’identità e con la necessità di avere un riconoscimento; la prima come disciplina medica vera alla pari delle altre specializzazioni e la seconda come “vera psicoanalisi” alla pari di quella degli adulti. Probabilmente per questa fragilità originaria, per un comune complesso di inferiorità, invece di mettersi a dialogare tra loro, di cercare un confronto si sono chiuse a riccio, sono andate ognuna per la propria strada. Questa mancanza di dialogo ha prodotto una situazione di “separate in casa”, un atteggiamento reciproco sospettoso, pregiudiziale, se non francamente svalutante. Quali sono i risultati? La neuropsichiatria infantile (a livello accademico non ha trovato la forza e l’unità neppure di trasformare il termine da infantile in età evolutiva) è attualmente una disciplina sempre più debole, a rischio di scomparsa.E’stretta tra gli interessi forti della pediatria, che spinge per riprendersi la neurologia come neuropediatria (la neuropsichiatria è afferita nel Dipartimento di Pediatria invece che in quello molto più affine delle Neuroscienze) e gli appetiti della psichiatria, che spinge per occuparsi degli esordi psicotici in adolescenza. Né la situazione risulta migliore nel territorio, nel Lazio le UOC di NPIA sono pochissime e allo stremo, lo stesso acronimo TSREE (Tutela Salute Mentale e Riabilitazione per l’età evolutiva) usato per identificare i servizi NPIA è ancor poco riconosciuto dall’utenza. Inoltre, la mancanza di una legge per la promozione della salute mentale dei minori ha contribuito ad un’ulteriore indebolimento e frammentazione della disciplina.Stiamo assistendo al varo di una serie di leggine, spinte dalle associazioni dei familiari, specifiche per disturbo, come quella per i Disturbi di Apprendimento (dislessia) del 2010 o quella attualmente in discussione alla Camera sull’Autismo.Credo che qualcosa di analogo come una legge ad hoc solo per la schizofrenia o per la depressione sarebbe impensabile nella psichiatria degli adulti. Se la psicoanalisi ha cercato da sempre sin dai tempi di Freud di stabilire un dialogo, un ponte con la medicina e in particolare con la psichiatria, trovo che questo è avvenuto in modo più timido tra la psicoanalisi del bambino e dell’adolescente e la psichiatria dell’età evolutiva. Margaret Rustin, responsabile della psicoterapia del bambino e adolescente alla Tavistock Clinic in un’analisi approfondita e critica del lavoro psicoanalitico in istituzione scrive “la psicoterapia psicoanalitica va considerata come una delle agenzie che collabora alla cura nel settore pubblico …… occorrerà difendere il contributo della psicoterapia infantile collocandola all’interno di un servizio che abbia una definizione ampia e multi-modale” (2009). Nonostante l’apporto fondamentale che la psicoanalisi ha dato allo studio della psicopatologia dei bambini e degli adolescenti con Klein, Winnicott, A. Freud, Bowlby e più recentemente l’infant research (Sandler, Stern, Fonagy), la psicoanalisi dell’infanzia e adolescenza sembra aver vissuto, come la neuropsichiatria infantile per la medicina, un complesso di inferiorità nei confronti della psicoanalisi dell’adulto. Come ha ricordato recentemente Antonino Ferro c’era sempre in agguato  “l’anatemaè vera psicoanalisi quella dei bambini e adolescenti?”. Mi sembra che soprattutto in passato la psicoanalisi dei bambini e adolescenti per affermare la propria identità, si sia arroccata in una posizione difensiva, autoreferenziale, evitando il confronto con altre discipline. Ha difeso posizioni ortodosse e tradizionali per capirci “l’oro puro” dell’analisi nei confronti del “bronzo” della psicoterapia (superiorità della psicoanalisi rispetto ad altri metodi, propensione per trattamenti a lungo termine[3] e ad alta frequenza, impraticabili nelle strutture pubbliche, scetticismo per trattamenti integrati o terapie brevi). Mentre negli stessi anni i colleghi psicoanalisti psichiatri sperimentavano l’uso dei farmaci, la riabilitazione, gli interventi socio educativi, la terapia di gruppo come utili alleati e strumenti indispensabili nella cura di pazienti gravi.Questi stessi aspetti erano ancora materia di discussione e controversia tra gli psicoterapeuti dei bambini e adolescenti. La mancanza di dialogo e di comprensione reciproca tra neuropsichiatria infantile e psicoterapia analitica mi sembra che abbia contribuito ad indebolire entrambe. Bjorn Salomonsson (2004) è uno dei pochi analisti di bambini e adolescenti ad essersi occupato di questo tema, ridefinisce il campo di interesse specifico della psicoanalisi in età evolutiva “aiutare il bambino ad esprimersi e lavorare attraverso le sue esperienze consce e incosce”. E si pronuncia sulla diversità di obiettivi e su un possibile rapporto tra le due discipline “la psicoanalisi è utile per stabilire un’etiologia individuale, ma non a fare generalizzazioni sulla patogenesi o affermazioni sull’etiologia neurobiologica …. Se gli analisti si esprimono con chiarezza su questo punto, si può sperare di ridurre il risentimento della neuropsichiatria nei confronti della psicoanalisi”. Dal canto suo la neuropsichiatria infantile non ha saputo negli anni declinare in modo nuovo il concetto di unità mente\corpo, già nel 1998 Lebovici, psicoanalista e fondatore della psichiatria infantile in Francia, ci aveva messo in guardia sul rischio di una deriva biogenetica[4] per la psichiatria infantile. Attualmente molti neuropsichiatri infantili sulla base spesso di pregiudizi e stereotipi, ma anche costretti all’osservanza delle linee guida, sconsigliano a priori alle famiglie una psicoterapia ad orientamento psicodinamico a favore di trattamenti riabilitativi o terapie cognitivo-comportamentali. E in questa direzione sembra andare anche l’ attuale politica sanitaria della regione Lazio perchè finora nulla è stato investito sulla diagnosi e intervento precoce dei disturbi nell’infanzia, nèsui servizi territoriali, nè sulla prevenzione secondaria del disagio giovanile. Gli scarsi investimenti sulla salute mentale dei minorisembrano avere più a cuore la sicurezza e l’ordine pubblico che il benessere del minore[5]. Dall’altra parte lo scarso confronto non solo con la neuropsichiatria infantile ma in generale con le discipline scientifiche ha avuto come conseguenza che la psicoanalisi dei bambini e degli adolescenti uscisse non solo dai luoghi istituzionali deputati alla formazione (università, scuole di specializzazione, corsi di perfezionamento, master, tirocini), ma anche dai luoghi istituzionali deputati alla cura come reparti ospedalieri e servizi ambulatoriali. Non c’è da stupirsi se nelle Linee Guida sull’Autismo (2011) vengano elencati tutti i tipi di trattamento (cognitivo- comportamentale, farmaci, diete, equitazione assistita fino al massaggio tradizionale tailandese), ma non viene nominata la psicoterapia analitica o un lavoro psicoterapico di sostegno ai genitori dei bambini con autismo. Sono ormai passati decenni di esperienza di psicoterapia con bambini e come dice l’Alvarez (2012) “ gli psicoterapeuti infantili hanno imparato abbastanza per distillare un senso coerente, a livello tecnico e teorico …… come psicoanalisti , da Freud in avanti, abbiamo dovuto imparare dai nostri errori.” Credo che dall’inserimento (2009-10) del corso di perfezionamento in psicoanalisi dei bambini e adolescenti nell’istituto nazionale di training[6] (aperto a tutti i soci e agli allievi a partire dal II anno) il clima sia molto cambiato e il desiderio di confronto e di apertura sia ben rappresentato dal lavoro dei nostri attuali esecutivi.Con grande impegno sono state avviate iniziative formative rivolte ai servizi territoriali e all’università, corsi di aggiornamento per medici e pediatri di base concordati con il Ministero della Salute e l’Ordine dei Medici di Roma e vengono sostenute anche esperienze nel campo del terzo settore (Daniele Biondo). Il programma scientifico 2015 e quello di quest’annorispecchiano questo clima come la giornata su gruppi ed istituzione (Fare gruppo con Claudio Neri) e spero anche questa giornata. Concludo questa premessa un po’ lunga, ma credo necessaria, con le parole di una psicoanalista di adulti Jane Hall “Il bambino di Freud è cresciuto ……… io credo che Freud non abbia mai avuto l’intenzione di far crescere il suo bambino rigido e inflessibile o legato indissolubilmente alla conservazione a spese del progresso” (serata scientifica del 29-5-2015).

INTRODUZIONE[7]

Il termine “presa in carico” o prendersi cura è reso più efficacemente nella lingua inglese dai termini care e to care signficanti attenzione, cura, protezione, responsabilità, preoccuparsi, avere a cuore, essere responsabili, ma anche volere e desiderare. I due termini si differenziano nettamente da cure e to cure usati per cura, guarigione, rimedio, medicina, guarire e sanare. Con i termini care/to care in italiano presa in carico/ prendersi cura si vuole sottolineare la dinamicità del processo di cura, lo scambio reciproco , attivo ed emotivo tra chi cura/presta attenzione e chi è curato/riceve attenzione. La presa in carico dovrebbe essere alla base di tutte le discipline mediche, ma diventa irrinunciabile in psichiatria e nella psicopatologia dello sviluppo. Ogni intervento rivolto alla salute dei bambini e ancor più se si tratta di salute mentale necessita di una presa in carico intesa come approccio integrato, continuativo e multimodale, che tenga conto delle diverse componenti in gioco a livello diagnostico (fattori biogenetici e ambientali, fattori cognitivi ed emotivi, sociali, grado di gravità, comorbilità) , a livello relazionale dei diversi interlocutori coinvolti (genitori, insegnanti, altri operatori), e soprattutto del fattore tempo o fase evolutiva.

DISTURBI del NEUROSVILUPPO

I Disturbi del Neurosviluppo comprendono: la Disabilità Intellettiva, i Disturbi della Comunicazione, i Disturbi dello Spettro Autistico, il Disturbo del Deficit Attentivo e Iperattività (ADHD), i Disturbi Motori , il Disturbo Specifico dell’Apprendimento. L’ultima edizione del DSM V (2013) da nuova rilevanza alla psicopatologia dell’infanzia e dell’adolescenza, dedicando il suo primo capitolo ai Neurodevelopmental Disorders , che caratterizzati da ritardo, deficit o atipia dello sviluppo determinano impairments nel funzionamento non solo accademico, ma anche personale, sociale, e occupazionale. Sono tipici per un’ insorgenza in prima e seconda infanzia, una compromissione o un ritardo nello sviluppo di funzioni, strettamente connesse alla maturazione biologica del Sistema Nervoso Centrale. Sono caratterizzati da un decorso continuo, senza le remissioni e le recidive, proprie di molte condizioni morbose di interesse psichiatrico (ICD 10, 1992) e da un’alta percentuale di comorbilità, due o più processi morbosi possono coesistere “co-occur” nello stesso percorso evolutivo. Pertanto è indispensabile che all’interno di una continuità di cura il clinico affronti le continue trasformazioni dei sintomi e dei bisogni propri di una crescita atipica modificando il suo assetto mentale ed emotivo e di conseguenza la tecnica, l’ approccio alla diagnosi e al percorso terapeutico. Possono essere di un certo interesse conoscere alcuni dati epidemiologici, idisturbi del neurosviluppo rappresentano il 70 % delle motivazioni di richiesta per una consultazione neuropsichiatrica in età evolutiva, attualmente a Roma per una prima visita specialistica neuropsichiatrica in struttura pubblica per questo tipo di disturbi, c’è un’attesa di 6-8 mesi, anche per bambini di 2-3 anni, per i quali sarebbe fondamentale una risposta tempestiva. Lo studio italiano pluricentrico Prisma (Frigerio et al., 2009) riporta un tasso di prevalenza complessivo di disturbi psicopatologici (ansia, depressione, disturbi della condotta) in una popolazione italiana di 3437 preadolescenti di area urbana pari al 8,2% , a questa percentuale si deve aggiungere un 15-20% di disturbi neuroevolutivi ( Levi e Meledandri, 1994) . A fronte di un solo 6% di popolazione pediatrica che viene intercettata dai servizi NPIA ( Alighieri et al. , 2011), questa grave situazione è stata denunciata recentemente dalla SINPIA nella giornata mondiale della salute mentale[8]. Questi dati assumono una notevole rilevanza alla luce di molte ricerche (Caspi et al. 1996, Rutter et al. 2006), che documentano la natura evolutiva dei problemi di salute mentale in età adulta; in ¾ dei pazienti psichiatrici adulti difficoltà psicopatologiche sono rintracciabili già nell’infanzia e il 50 % dei disturbi mentali ha il suo esordio prima dei 14 anni (Kim-Cohen et al., 2003, Copelan et al. 2009).

PRESUPPOSTI TEORICI

Gli studi pionieristici di Spitz (1946), l’Infant research ( Sandler 1967, Stern 1987) e più recentemente le ricerche in neuroscienze ( Panksepp 1998, Rizzolatti e Sinigaglia 2006) hanno confermato la centralità dell’ unità mente\corpo nello sviluppo di un individuo e come la crescita sia un processo maturativo ed interattivo, osservabile ed analizzabile solo all’interno della relazione\ambiente. Winnicott durante un incontro alla British Psychoanalytic Society (1952) affermò provocatoriamente “there is no such thing as a baby” a significare che un bambino esiste nel momento in cui qualcuno (madre, caregiver) se ne prende cura ; successivamente questa affermazione troverà ampio seguito negli studi sull’attaccamento (Bowlby 1978) . Già Anna Freud nel 1945 sosteneva l’importanza della spinta evolutiva nello sviluppo  di un bambino, per cui la gravità di un disturbo nell’infanzia doveva essere valutata “non secondo il danno che apporta alle attività o agli atteggiamenti del bambino in un modo particolare o in un dato momento, ma secondo la misura in cui impedisce al bambino di svilupparsi ulteriormente”. Ma questo è vero solo in parte, si è constatato come in età evolutiva si cambia e si cresce malgrado tutto, malgrado il disturbo e insieme al disturbo, per cui “un sintomo può essere fisiologico in una fase evolutiva, inquietante ad un’altra e nettamente patologico ad un’altra ancora” (Bollea, 1967). Più recentemente la ricerca in psicopatologia dello sviluppo (Pennigton, 2002) ha evidenziato che la disfunzione neurobiologica/individuale (geni) si intreccia con gli aspetti emotivi e sociali (ambiente), determinando un rimescolamento delle carte (epigenetica) e un fenotipo del disturbo, che potrà caratterizzarsi per un diverso grado di espressività e per un maggiore o minore disadattamento ambientale. L’etiopatogenesi multifattoriale della patologia dello sviluppo, l’andamento continuo, che si trasforma seguendo le diverse traiettorie evolutive e la comorbilità necessitano di una continuità di cura , stabile ma allo stesso tempo aperta e flessibile.

IL PRENDERSI CURA NEL SETTING ISTITUZIONALE

In questo lavoro parleremo dell’esperienza clinica svolta presso il Servizio dei Disturbi di Sviluppo all’interno dell’Istituto “ Giovanni Bollea”( Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile, Policlinico Universitario Umberto I- Sapienza, Roma). L’ attività clinica interessa una popolazione in età pediatrica ( tra i 3 e i 13 anni) e viene svolta attraverso un servizio ambulatoriale ed ospedale diurno da un’equipe multidisciplinare, formata da terapisti della neuropsicomotricità, psicologi dell’età evolutiva, insegnanti, neuropsichiatri infantili, tirocinanti e medici in formazione, solo alcuni con un percorso di analisi personale o di training psicoanalitico. All’interno di un pensiero coerente e condiviso si è costruito   un gruppo di lavoro coeso e rispettoso di competenze e formazioni molto diversificate. Ilpercorso di cura, attuato nel servizio, si sviluppa in un continuum , all’interno di un rapporto clinico, in cui sono individuabili tre fasi (diagnostica, terapeutica e followup) alla ricerca di un equilibrio tra parti sane e malate, tra casistica clinica (nosografia) e singolo caso (unicità individuale), ma soprattutto mirato alla costruzione di un campo dove ci sia la possibilità per tutti (clinici, genitori, bambino/adolescente) di comprendere e legare la realtà esterna (competenze e conoscenze oggettive) alla realtà interna (vissuti personali ed emozionali).

  1. Fase Diagnostica

Una consultazione in età pediatrica per problemi neuropsichiatrici nasce di solito quando una difficoltà, una problematica o un disagio abbiano raggiunto un livello soglia percepito come critico dal bambino/adolescente, dalla famiglia o dall’ambiente circostante. La richiesta di consultazione, con motivazioni al momento spesso ancora confuse, è di solito mediata dai genitori, a volte da altre istituzioni , tribunale dei minori o scuola o altri centri specialistici. La raccolta anamnestica, con la storia della famiglia, della nascita e sviluppo del figlio fino al racconto delle preoccupazioni e degli ultimi eventi/sintomi è l’occasione per il clinico e i genitori/bambino /ragazzo di una prima comprensione e contestualizzazione del problema. Esplorare con “mente libera e curiosa” il reale, il quotidiano, l’apparente banale delle famiglie, apre scenari imprevedibili. La prima visita può essere l’inizio di un racconto, l’avvio di una nuova narrazione, l’occasione per aprire una porta sul mondo interno del bambino e dei suoi genitori, spesso si tratta di un mondo fatto di sofferenza, privazioni, fantasie, di cui i protagonisti sono ancora in gran parte inconsapevoli. La raccolta anamnestica permette una prima esplicitazione e condivisione di eventi della storia familiare, naturale e clinica e di preoccupazioni attuali o appartenenti al passato o al futuro. Durante la visita si osservano le dinamiche all’interno della coppia genitoriale e coniugale e il modo di comunicare del bambino con il genitore o il clinico, ma anche come il bambino occupa lo spazio, gioca, disegna o scrive. Durante il primo incontro non è necessario l’uso di prove strutturate, sono indispensabili capacità di ascolto, di osservazione e di comprensione (semeiotica percepita). In seconda battuta, se necessario, si possono richiedere ulteriori approfondimenti come tests neuropsicologici, sedute di gioco, questionari, colloqui, esami strumentali (es. audiometrico, es. eeg ecc.). Al termine della consultazione, dopo l’assessment e la discussione in equipe, nel colloquio di restituzione con genitori e bambino si formulerà un primo abbozzo di diagnosi, un orientamento diagnostico-terapeutico insaturo, che va perfezionato e verificato nel tempo. Una diagnosi, che non è una semplice etichetta, ma che Rossi Monti (2008) descrive come un “ processo dinamico che si sviluppa nel tempo ……… processo conoscitivo in continuità con lo sviluppo del processo terapeutico

  1. Fase Terapeutica

All’interno del servizio sono attivi gruppi terapeutici in regime diurno, con andamento a cicli sia di tipo riabilitativo che psicoterapeutico per bambini in età prescolare e per i bambini in età scolare con disturbi specifici di apprendimento, parallelamente vengono condotti gruppi di sostegno alla genitorialità. Per i bambini in età scolare con disturbi emozionali (ansia, depressione, disregolazione) vengono proposte nel setting istituzionale psicoterapie brevi, individuali ad orientamento psicoanalitico, a bassa frequenza e parallelamente un sostegno alla coppia genitoriale. La maggior parte dei bambini con diagnosi formulata presso il nostro centro fa terapia all’esterno; riabilitazione presso strutture riabilitative accreditate , psicoterapie private, pochi bambini ottengono un trattamento riabilitativo o psicoterapeutico presso i Servizi Territoriali NPIA a Roma. Spesso il nostro lavoro clinico si esaurisce dopo una breve osservazione con un orientamento diagnostico-terapeutico e le indicazioni per la scuola, solo alcuni pazienti resteranno nel followup clinico del nostro servizio. La fase terapeutica, parte fondamentale della cura, non si identifica con la presa in carico, si rivela una fase molto complessa per tipo di patologia, per tipi e modalità di intervento da utilizzare, per eterogeneità del gruppo curante. La psicopatologia dello sviluppo è , infatti, caratterizzata da un’etiopatogenesi multi fattoriale, un decorso continuo, un alto indice di comorbilità e trasformabilità dei disturbi nel tempo. Sono possibili più tipi di trattamenti come riabilitazione, psicoterapia, farmaci, psicoeducazione, caratterizzati da diverse modalità di approccio (individuale, di gruppo, di coppia, familiare, madre-bambino) e di tecnica (logopedia, psicomotricità, terapia neuropsicologica, psicoanalisi, terapia cognitivo-comportamentale ecc. )[9]. Il gruppo di lavoro multidisciplinare necessita di incontri regolari per discutere l’inquadramento diagnostico-terapeutico e di intervisioni sul trattamento. Il progetto terapeutico si configura come un modello di cura multimodale, integrato, dove trattamenti diversi possono succedersi nel tempo oppure più interventi possono coesistere in setting paralleli. La scelta della tipologia e del timing per i diversi interventi, che si succedono, risponde a criteri clinici oggettivi ( linee guida e protocolli terapeutici) e specifici della psicopatologia dello sviluppo come fase evolutiva o contesto ambientale (realtà esterna), ma anche ad istanze soggettive, spesso inconsce del curante e della famiglia (realtà interna) , in altre parole è indispensabile ascoltare il paziente ma anche noi stessi, i nostri pensieri e vissuti emotivi . Un modello di cura così complesso, che utilizza più approcci, in cui sono coinvolti più interlocutori (bambino/adolescente, genitori, terapeuta/terapista, insegnanti), necessita di un curante , che sappia unire ed integrare, che funzioni da “contenitore mentale di un pensiero gruppale …… espressione del lavoro di gruppo, da cui è nutrito e sostenuto” (Ferruta et al., 2009) . In questo contesto il clinico ha il compito di scegliere, programmare, coordinare, verificare, negoziare nuovi adattamenti, difendere la continuità del progetto terapeutico\educativo proposto. L’ampia offerta terapeutica, specifica della neuropsichiatria evolutiva, premessa per una terapia “su misura” (Horwitz et al., 1996), in assenza di un lavoro sulla prognosi , di un confronto con l’equipe e le altri componenti del percorso (famiglia, scuola, terapia), rischia di trasformarsi in una specie di scaffale fornito di ogni mercanzia (metodi, strumenti, tecniche, diete, farmaci), davanti al quale il cliente/genitore si trova a scegliere e a servirsi da solo in un solitario, quanto angoscioso, “fai da te”, dopo aver ricevuto spesso una diagnosi etichetta-espulsiva ( target therapy).

  1. Followup Clinico

Diversamente dalle altre due fasi il followup , non è definito nel tempo e si configura come un lavoro clinico costante, a lungo termine, al tempo stesso flessibile e aperto (Capozzi, 2000), che si realizza tra due polarità quella di “seguire e monitorare” (monitoring) la crescita e il progetto terapeutico\educativo di un bambino con un disturbo neuropsichiatrico e quella di “preoccuparsi, essere responsabile, venire in aiuto e sostenere” (counselling) la relazione e le relazioni disturbate dall’atipia di sviluppo. Dopo l’accoglienza, l’ascolto , l’osservazione, la comprensione e la condivisione della diagnosi e della scelta terapeutica, il curante, figura stabile e responsabile del percorso, prosegue il followup clinico per alcuni anni (da min. 2-3 a max 10-15 anni) attraverso visite di controllo a bassa intensità, previste ogni 3-6 mesi, che possono modificarsi per frequenza e modalità in rapporto a criticità ambientali, evolutive o della patologia, e attraverso assessment dello status nei passaggi critici della crescita. Si tratta di un setting istituzionale rigoroso, come assetto mentale del gruppo clinico, ma aperto nell’accogliere e nel significare i frequenti fuori programmi, rotture o acting che avvengono nel setting (cambio di stanza o orario, interruzioni, ritardi) o nel rapporto clinico , come nel caso in cui si richiede un colloquio con la coppia genitoriale e si presenta solo la mamma, che ritiene il fatto assolutamente normale, non degno di attenzione. La prima domanda, che ci poniamo insieme ai genitori all’inizio del percorso di cura, al di là dell’etichetta, della definizione diagnostica nosografica “stiamo pensando e parlando dello stesso bambino?”. Perché è solo all’interno di una prima rappresentazione condivisa che il curante potrà iniziare insieme al bambino e ai genitori a dare significato, a pensare e immaginare un percorso “nuovo” di crescita. In alcuni casi , all’inizio sarà necessario costruire uno spazio di contrattazione/negoziazione con i genitori o con il bambino/adolescente con lo scopo di raggiungere un primo compromesso riguardo alle scelte diagnostiche e terapeutiche (Seikkula, 2014). Anche nei colloqui con altri operatori (terapeuti, terapisti, educatori o insegnanti), di solito in presenza dei genitori, la ricerca di una rappresentazione condivisa del bambino resta la premessa indispensabile per concordare un progetto terapeutico\educativo comune.  In questa fase il lavoro con i genitori è irrinunciabile “è difficile se non impossibile curare un bambino senza interagire con i suoi genitori non solo in neuropsichiatria infantile, anche in pediatria. Il punto da chiarire in NPIA è che i genitori non sono persone da curare né persone da educare, per il fatto semplice e doloroso di avere un figlio con problemi. I genitori come compagni di lavoro”( Levi, 2013)[10]. Si può ormai escludere un rapporto causale tra patologia del figlio e genitorialità, ma non si può negare l’esistenza di un circolo virtuoso, di una relazione complessa, di reciprocità, una sorte di feedback , a volte cortocircuitato, tra le due componenti; da una parte il disturbo del figlio mina il senso di sicurezza e competenza del genitore determinando colpa,rifiuto, svalutazione verso sé stessi e il figlio, dall’altra una relazione genitoriale/coniugale disturbata, conflittuale o assente, precedente o reattiva alla patologia del figlio, va ad influenzare le modalità di relazione e di adattamento del bambino/adolescente e l’evoluzione del disturbo stesso. In questo contesto il counselling con i genitori si configura come un lavoro psicologico specifico, che segue una precisa sequenza [11], un aiuto evolutivo , non solo educativo (Fonagy et al., 1993), centrato non solo sulla difficoltà del bambino né solo sui genitori in difficoltà, ma sulla dinamica della relazione genitore-figlio, alterata da una crescita atipica (Capozzi, 2000). Il timing è dato dall’interazione tra variabili oggettive e soggettive in gioco durante il processo, come l’età, la tipologia, la gravità del disturbo, i life events della famiglia, ma anche e non certo meno determinanti le implicazioni emotive ed affettive sempre presenti nella relazione clinico-paziente. Il clinico cercherà di far emergere la sofferenza sommersa, fatta di contenuti emotivi profondi e dolorosi[12], spesso del tutto inconsapevoli, che il clinico può rendere pensabili e alfabetizzabili[13]se riesce a soffrire il dolore così inteso e a starci; e così comprende la situazione e la sostiene” (Lupinacci et al. 2015). Durante la presa in carico il curante, il “compagno vivo” di una crescita bloccata dalla patologia, dovrebbe essere in grado di tollerare il peso dell’impotenza e dell’incertezza, e allo stesso tempo mantenere una mente curiosa, non conformista,”giocosa”, capace di confrontarsi, di mettersi in discussione, di sperimentare e creare nuovi percorsi.Con il passare del tempo il clinico assumerà una funzione fondamentale di snodo tra passato e futuro, sarà memoria del passato, ma anche testimonianza dei cambiamenti presenti e scommessa per il futuro , in questa prospettiva il suo obiettivo sarà quello di disegnare con “memoria e desiderio” un percorso partecipato, dove le potenzialità conoscitive, emotive e relazionali del bambino e le competenze genitoriali emergano e si esprimano con modalità nuove e autonome. Solo continuando a significare, ad avere fiducia, desiderare e sognare un futuro possibile di crescita per quel bambino e la sua famiglia, è possibile raggiungere quell’ “ampliamento della libertà psichica” indicato dalla Manfredi Turllazzi (1994) come uno dei principali scopi del lavoro psicoanalitico o come dice più recentemente la Hall (2015) “compito dell’analista è aprire la strada alla crescita”. In questo tipo di setting l’alleanza terapeutica, che il clinico va costruendo in termini di base sicura per genitori e bambino, rappresenta un obiettivo, un punto di arrivo più che la pre-condizione della cura[14]. I movimenti transferali e controtrasferali, che si attivano non solo nel rapporto clinico –paziente, ma nello stesso setting istituzionale allargato[15] , non saranno interpretati, ma registrati e usati implicitamente per orientare la qualità emotiva nel qui e ora della relazione terapeutica.

CONCLUSIONI

Una formazione medica, che non si basi solo sull’apprendimento di conoscenze scientifiche aggiornate e tecniche sempre più sofisticate, ma interessata alla dimensione emotiva della relazione medico-paziente e alle dinamiche di gruppo e un assetto mentale del clinico e dell’equipe curante, più centrato sulla comprensione, sull’ascolto di sé stessi e degli altri e sul rispetto della persona più che solo sulla malattia, sono due aspetti strettamente collegati tra loro, determinanti nel promuovere una cura “sufficientemente buona” di cui si potrebbero avvantaggiare sia i pazienti che gli operatori della salute. Credo che il pensiero psicoanalitico, applicato al setting istituzionale, può dare ancora un’importante contributo alla promozione della salute mentale (Fonagy e Lemma, 2012) e aggiungo alla salute in genere. L’ascolto psicoanalitico e l’assetto mentale dello psicoanalista, pensato da sempre per dare senso all’esperienza, possono andare a rivitalizzare e risignificare anche una pratica clinica fatta da anamnesi, valutazioni, certificati, riunioni di reparto, schede RAD, budget, che nella fatica del quotidiano rischiano di essere svuotate di senso e diventare inutili rituali. Cercare di comprendere le motivazione , il senso di un disturbo o di una sintomatologia è ultimamente da molti considerato un modello vecchio da rottamare in nome della riduzione dei tempi, della produttività e di una falsa efficienza[16]. Episodi, che testimoniano questa mancanza di comunicazione nella nostra sanità, riempiono le cronache dei giornali come il TSO , finito male ( “lo hanno un po’ soffocato” ) avvenuto il 5 Agosto scorso a Torino di Andrea, 45 anni, affetto da schizofrenia, che trascorreva la sua giornata sempre sulla stessa panchina del giardino sotto casa o le quattro morti in sala parto alla fine di quest’anno[17] o le sempre più frequenti notizie di maltrattamenti su disabili ricoverati in centri specializzati[18]. Ma ritornando alla salute mentale dei minori prendersi cura dei disturbi neuropsichiatrici nell’infanzia e adolescenza si configura come una co-costruzione, un processo di “crescita e riparazione” (Winnicott, 1971), condiviso con il bambino/adolescente in difficoltà e i suoi genitori, aperto e in relazione con tutte le altri componenti del percorso (famiglia allargata, scuola, terapia). A questo proposito mi ritorna in mente un proverbio africano, citato da Carla Busato, “per far crescere un bambino ci vuole un intero villaggio” questo è ancora più vero se il bambino è malato e presenta un disturbo o una disabilità neuropsichiatrica. Il lavoro del clinico potrebbe procedere su un doppio binario parallelo ben rappresentato dall’efficace metafora, suggerita da Bion (1962), della visione binoculare attraverso la quale entrambi gli occhi concorrono nel vedere un oggetto, dando tridimensionalità e profondità alla visione. Un dialogo aperto, privo di reciproci pregiudizi, un costante ascolto a doppio registro tra un’oggettivazione “più medica”(conscio, realtà esterna, classificazioni, linee guida, evidence-based medicine) e una soggettivazione “più psicodinamica” (inconscio, realtà interna, movimenti transferali , ascolto e comprensione), possono contribuire in maniera nuova e positiva alla cura dei disturbi neuropsichiatrici in età evolutiva e ripeto non solo. Non abbiamo molto tempo a disposizione, credo che se in tempi stretti non riusciremo a stabilire un reale scambio tra psichiatri e psicoterapeuti dell’età evolutiva e alla fine della storia decideremo di dirci “addio” prendendo ognuno la propria strada, perderemo tutti molto, psicoterapeuti, neuropsichiatri infantili, specialisti in formazione, ma soprattutto perderanno i bambini, i ragazzi e i loro genitori, che resteranno sempre più soli con la loro sofferenza.

Desidero ringraziare le colleghe e i colleghi , che nel tempo hanno partecipato agli incontri dell’Osservatorio di Psicoanalisi del bambino e dell’adolescente e che da molti anni rappresenta per me un luogo di crescita e di scambio aperto, sincero e affettuoso.
 
 

Lavoro presentato al Centro di Psicoanalisi Romano il 27 febbraio 2016 in occasione della Giornata Scientifica "Chiamale se vuoi…..Estensioni"


 

1 “una funzione formativa straordinaria è stata svolta dall’Istituto di Neuropsichiatria Infantile dell’università Sapienza di Roma, là dove Bollea, Giannotti, De Benedetti Gaddini (e aggiungo Novelletto per l’adolescenza) hanno aperto le ricerche sulle relazioni primarie e sulla cura unitaria della coppia madre-bambino, dando vita ad una scuola di pensiero, che a partire dalla traduzione e diffusione dei testi di Winnicott costituisce ancor oggi un punto di riferimento fondamentale nel campo della neuropsichiatria infantile e della psicologia evolutiva.” (Ferruta, 2013)

2 “nonostante il desiderio dell’obiettività, che è in ognuno di noi, è indubbio che ancora si sia portati, a seconda della propria impostazione teoretica e certo a causa della complessità del problema ad orientarsi prevalentemente verso l’una o l’altra delle possibili ipotesi patogenetiche e non è raro, anzi, notare atteggiamenti polemici e chiusi intorno a posizioni diverse. Chi persiste nel dare importanza essenziale ai fattori ereditari ed organici, negando quasi il condizionamento ambientale; chi si sofferma a volte meccanicamente solo su fattori ambientali e sociali dimenticando sia il condizionamento biologico che l’intervento di meccanismi psicologici; chi sembra interessarsi solo della vita fantasmatica e conflittuale, non situando il bambino nella realtà sociale e culturale in cui evolve” (Balconi e Berrini, 1958)

3 “più riusciremo a modificare l’immagine stereotipata degli psicoterapeuti ad orientamento psicoanalitico come persone interessate unicamente o formate a un lavoro a lungo termine. Non posso che sottolineare che un tale stereotipo si è rivelato molto dannoso per la psicoterapia infantile nel Sistema Sanitario Nazionale ed anche molto resistente al cambiamento” (M. Rustin, Consultant child and adolescent psychotherapist, Tavistck Clinic, 2009)

4 “il punto di vista genetico-biologico condanna il bambino affetto da autismo ad essere visto non più come psicotico ma come un disabile. E per questo le famiglie potrebbero essere lasciate senza alcuna forma di assistenza psichiatrica” (S. Lebovici,1998)

5  Nell’agosto 2015 è stato siglato l’accreditamento per nuovi 20 posti letto in strutture residenziali terapeutico-riabilitative (SRTR, ex RSA) per adolescenti all’interno di una clinica psichiatrica convenzionata per adulti e c’è il progetto di costruire dentro il nostro istituto un reparto di emergenza psichiatrica per minori (un piccolo SPDC ad imitazione di quello degli adulti) per coprire il fabbisogno di acuzie psichiatrica dei minori per tutto il centro-sud (e la continuità di cura? e il post acuzie?)

6 A questo proposito vorrei ricordare  Benedetto Bartoleschi, Adda Corti, Pierandrea Lussana, psicoanalisti del nostro centro da sempre sostenitori convinti della necessità di un training di psicoanalisi dell’infanzia e adolescenza all’interno della SPI

7 Il lavoro , che sto per presentare, è stato condiviso con Francesca Piperno, con cui ho lavorato per anni all’Istituto di Neuropsichiatria Infantile ed è stato presentato con il titolo “Il pensiero psicoanalitico nella cura dei disturbi del neuro sviluppo nel setting istituzionale” al gruppo di lavoro “Psicoanalisi e istituzioni: luoghi di vita e luoghi di cura” al III Convegno Nazionale sul lavoro analitico con i bambini e con gli adolescenti , che si è svolto a Caserta alla fine di novembre 2015. Il desiderio, che ci ha guidato nell’elaborazione di questo lavoro, è stato quello di lasciare traccia di un’esperienza di cura, praticabile e sostenibile all’interno di un setting istituzionale, basata sull’incontro tra pensiero psicoanalitico e conoscenze cliniche. Trattasi di psicoanalisi applicata, come si diceva un tempo, di un’estensione della psicoanalisi? E’psicoanalisi? A voi l’ardua sentenza

8 “Benchè nella maggior parte delle situazioni un trattamento precoce e tempestivo possa modificare la prognosi, meno di 1 bambino/adolescente su 4 riesce ad accedere alle cure di cui ha necessità. Si stima che non siano più di 600.000 gli utenti dei servizi pubblici di NPIA a fronte di una popolazione complessiva sofferente di circa 3,6 milioni di unità.” (A. Costantino, presidente SINPIA, comunicato stampa del 10 ottobre 2015, giornata mondiale della salute mentale)

9 “è importante ricordare che Joseph (oltre la psicoterapia) aveva genitori devoti, insegnanti, logoterapista e musicoterapeuta, con cui mi coordinavo regolarmente, per cui il trattamento era uno sforzo collaborativo” (Alvarez, 2012)

10 “Temo di morire e non lasciarlo autosufficiente. Temo di morire troppo presto perché lui capisca la morte. Temo che non ce la faccia da solo, temo che non l’amino in tempo. Tutti amano i bambini, poi lui è un bel bambino, con quelle guance è così facile volergli bene, ma quando sarà un ragazzo lungo e secco e avrà ancora questa stessa testa che non ordina i pensieri? E a trenta anni lo stesso passo incerto di oggi, su un metro e ottanta di altezza, e io sarò vecchia e vecchia lo accompagnerò? E se non avrà una vita affettiva oltre me? Io ho trentapassa anni più di lui e morirò , con me moriranno le persone che lo amano, e se non avrà affetto? E se la sua vita sessuale non ci sarà o sarà incompleta o maniacale o devastante sotto i colpi dell’ormone? Se non ci sarà pensione o indennizzo? Se non saprà comprare il pane o il latte? Se dimenticherà di lavarsi e vestirsi? Se sarà preda degli altri?” (Tempo di imparare di V. Parrella, 2013)

11 Nel counselling con i genitori è riconoscibile una sequenza evolutiva fatta di fasi, funzioni e contenuti come la conoscenza oggettiva del disturbo, la condivisione ed elaborazione del trauma/lutto, la costruzione di una separatezza tra genitori-figlio, il passaggio dalla genitorialità alla coniugalità, lo stabilirsi dell’alleanza ( F. Capozzi, 2007)

12 “sono realmente difficili da far circolare nella comunicazione: non vuole sentirselo ricordare e non può parlarne chi lo ha sperimentato; non può immaginarlo e sentirselo dire chi lo ascolta”(F. Borgogno, 1999)

13 “Il dolore così alfabetizzato, trasformato, inserito in trame biografiche e relazionali diventa con evidenza un elemento della psicoanalisi” (A. Ferro nella prefazione a Il dolore dell’analista, 2015)

14 “Bisogna essere molto pazienti” rispose la volpe “In principio tu ti siederai un pò lontano da me, così, nell’erba. Io ti guarderò con la coda dell’occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono fonti di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ più vicino” (Il piccolo principe, Antoine de Saint-Exupéry, 1943)

15 “c’era un transfert all’edificio, alla sala di attesa, alle segretarie” ( Alvarez, 2012)

16 Recenti dati dell’OMS denunciano che “ogni anno 43 milioni di pazienti subiscono danni per cure sbagliate in ospedale (circa 1 ogni 10 ricoverati) …….. si può arrivare alla riduzione del 50% se migliora la comunicazione tra gli operatori (e aggiungerei con il paziente). La cattiva comunicazione è la causa principale di eventi avversi in medicina” (Quotidiano della Sanità del 21-6- 2015)

17 Nel caso del Sant’Anna di Torino, gli ispettori del Ministero della Salute sottolineano che “non sono emersi al momento elementi di inappropriatezza, ma si sono rilevate criticità nella comunicazione struttura-famiglia e nella gestione dell’emergenza sul piano comunicativo non adeguata. Dal 2011 esistono le “linee guida per gestire e comunicare gli eventi avversi”emanate dal Ministero della Salute, che invito a leggere per l’assoluta mancanza di profondità e complessità

18 La risposta del Ministero della Salute è la proposta di un ddl che preveda l’aumento di pena per gli autori di abusi nei confronti degli ospiti di strutture socio-sanitari, senza prevedere anche una formazione adeguata e forme di sostegno psicologico per gli operatori di queste strutture.


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