Domenica, Maggio 19, 2024

Giuseppe Riefolo (2015), Il film di 50 minuti, Antigone. Recensione di Daniela Federici (2015)

IL FILM DI 50 MINUTI   di Giuseppe Riefolo (Antigone, 2015)

Daniela Federici

Si tiene alle Feltrinelli di Parma un appuntamento mensile di presentazioni di libri organizzato dai soci e candidati SPI insieme a colleghi di formazione psicodinamica (SIPRe, il Ruolo Terapeutico, Psicoform). L’auspicio è quello di offrire alla cittadinanza momenti di riflessione con un particolare taglio di ascolto sulle letture. Per questo abbiamo pensato di incorniciare questi incontri con la didascalia “Freud’s Books”.

A inaugurare la rassegna “Il film di 50 minuti” di Giuseppe Riefolo (Antigone, 2015), testo suggestivo che parla di film non attraverso una loro interpretazione psicoanalitica ma nel racconto di personali visioni che l’Autore correda delle immagini che gli sono state evocate, mostrandoci l’uso che fa di queste immagini per pensarsi e per pensare i propri pazienti. Una narrazione intima ed evocativa, che ci accompagna nello spazio sospeso fra gli universi del cinema, del sogno e dell’incontro analitico, a osservare una mente analitica al lavoro.

Un film come un sogno: la regia inconscia, i meccanismi di condensazione, spostamento, i processi di simbolizzazione che configurano i contenuti rappresentativi in una specifica organizzazione formale; la comoda immobilità e l’oscurità che avvolge lo schermo mimano la condizione regressiva del sonno, consentendo allo spettatore l’immersione in una dimensione altra, fuori dal tempo e dallo spazio, complice la sospensione dell’incredulità e l’alto grado di illusione di realtà che è propria di questo mezzo espressivo, condizioni che consentono l’abbassamento delle difese e lo schiudersi di varchi emozionali. Come non pensare al paziente sul lettino, con l’analista che sottraendosi allo sguardo gli fa il buio intorno, favorendogli di seguire il flusso delle associazioni, l’instradarsi delle rappresentazioni e quel prodigioso motore dell’analisi che è il transfert, con la sua forza e verità di un’esperienza attuale.

I film di cui parla l’Autore sono prima di tutto un’esperienza affettiva, vitale per ciò che evocano, per la capacità di mettere a disposizione nuove impreviste visioni del proprio mondo interno, da non analizzare secondo il codice logico del discorso ma secondo quello evocativo delle emozioni.

L’arte ha questo grande potere di consentire a chi la pratica di trasferire parti di sé nelle forme che crea, liberando fantasmi, desideri e angosce, trasformando i ceppi del proprio mondo interiore in metafore creative. Lo spettatore della settima arte vede rappresentate vicissitudini e personaggi con i quali può identificarsi e, in un contesto protetto dalla qualità come se della realtà che va in scena, può riavviare funzioni di rappresentazione grazie alla potenza evocativa delle immagini. In fondo cinema viene da kinèma, che significa movimento, così come le emozioni.

Abituato a farsi spettatore dei paesaggi evocati dai pazienti, Riefolo guarda all’immaginazione iconica come un livello di funzionamento mentale specifico, precedente la simbolizzazione centrata sul linguaggio: immagini che anticipano il discorso e, come proiezioni sulla caverna platonica, provano a dar forma con un registro figurativo a sensazioni sospese. Quelle immagini sono per l’Autore la prima intersezione tra ciò che il paziente rivela e la sua capacità di accoglierne il racconto, passando inevitabilmente attraverso proprie immagini. La partecipazione sognante dell’analista offre materiale alla tessitura poietica dell’esperienza di sé del suo paziente e attraverso un lavoro di raffigurabilità, le sue capacità metaforiche, la rêverie, l’ascolto del proprio controtransfert, l’analista può consentire al conosciuto non pensato di trovare accesso alla rappresentabilità.

La stanza d’analisi, dice l’Autore, è un potente dispositivo di soggettivazione della realtà.

L’iconico è una posizione dell’ordine materno, funzione alimentativa; l’ordine paterno reca con sé il simbolico e le discriminazioni dei significati.

La seduta diventa un luogo dove si presenta un film, dove le immagini mentali sono funzioni del pensiero, prestate all’incessante funzione trasformativa dello psichico verso la pensabilità, una elaborazione e un’integrazione arricchite della comprensione del proiettato emozionale. Per dirla con Green, la modalità specifica dell’ascolto psicoanalitico scopre un proprio film attraverso le risonanze al film presentato, reagisce a una produzione dell’inconscio e ne interpreta gli effetti sul proprio inconscio, mettendo alla prova la propria interpretazione.

Perché l’analisi, che viene da analein (slegamento), è un dispositivo atto a presentificare e indagare le tracce dei processi primari su cui si edifica la logica cosciente, il testo manifesto che l’analista slega per restare in ascolto del discorso inconscio.

Si potrebbe immaginare questo libro come un dvd: questa è la visione che è andata in scena davanti a una platea di non addetti ai lavori. Ma in un dvd ci sono anche i contenuti speciali.

Punteggiati nel testo, l’Autore fa dei rimandi a una psicoanalisi che negli ultimi decenni ha scoperto un nuovo modo di ascoltare e parlare con i propri pazienti. Come una filigrana, quella visione si fa invito ad approfondire il “backstage”, che racconterebbe di una psicoanalisi che si è spostata dalla centralità del rimosso alla mobilizzazione dei processi di trasformazione della mente. Una psicoanalisi che ha fra i suoi strumenti una teoria del sogno nelle sue funzioni metabolico-trasformative e comunicative, che distingue l’esperienza onirica e il significato del testo, un “sognare come pensare” che qualifica fortemente il paradigma del creativo, funzione vitale e gioco configurante che allestisce sfondi a un conoscersi mentre ci si immagina. Ma anche una psicoanalisi che guarda alla dissociazione non tanto come operazione difensiva ma come dimensione creativa alla base delle trasformazioni e dell’esperienza di acquisizione, nel Sé, di parti non ancora esperite.

Nel libro si ritrovano richiami a temi cari all’Autore: la sorpresa come indice degli eventi trasformativi, che alla base dell’attenzione fluttuante, consente di vedere le cose da un altro vertice; l’autenticità come processo attivo nel campo che permette l’emergere e il progredire di fenomeni vitali e di trasformazione.

Per questa psicoanalisi il motore di fondo delle trasformazioni del discorso del paziente prende l’avvio dall’incontro di due menti, di un contenuto che si accoppia in modo fecondo con un contenitore che ne consente lo sviluppo, sviluppandosi a sua volta.

Sarebbe stata stimolante la visione di un confronto sui diversi modi di intendere e declinare quella mescola trofica di un fare esperienza e comprendere che è l’analisi.

Come i due protagonisti del film “Nella casa” (di F. Ozon, 2013), citati nella discussione, che nell’ultima scena osservano le vicende che si snodano dietro le diverse finestre del palazzo di fronte. Come le storie scritte dal sedicenne Claude, novella Sherazade, sospese su un invitante “continua…”.

Ma questo è un altro film.

 

“Chi ci guida nell’avventura creativa?

Soltanto la fiducia in qualcosa o qualcuno nascosto dentro di te,

qualcuno che conosci poco, che si fa vivo ogni tanto,

una tua parte sorniona e sapiente che si è messa a lavorare al posto tuo…

tu l’hai aiutata, questa tua parte inconscia,

dandole fiducia, non contrastandola, lasciando fare a lei.”

F. Fellini

Pubblicato sul sito del Centro Psicoanalitico di Bologna.

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