Domenica, Marzo 23, 2025

“Non sai mai dove sei” di Emilio Masina. Invito alla lettura di Anna Bincoletto

Il romanzo si sviluppa lungo un intreccio costante tra il lavoro di uno psicoterapeuta alle prese con le prime esperienze cliniche ed un bambino di otto anni alle prese con una dolorosa definizione della propria identità di genere, si legge con piacere senza indulgere in pause o interruzioni.

La ritrosia del clinico nel prendere in carico il piccolo paziente, che lo convoca potentemente nei giochi teatrali che inscena indossando abiti femminili, rappresenta l’occasione per riflettere sull’adeguatezza o meno dei nostri strumenti di lavoro e sul lavoro di controtransfert e di autoanalisi che ci sostengono nel tentativo di non cadere nel moralismo quando le manifestazioni del paziente ci possono giungere come aliene ed estranee alla nostra esperienza psichica.

Stefano mentre osserva i movimenti armoniosi della danza che Alberto improvvisa nel corso di una seduta si trova a pensare con disgusto:” E’ una checca….un frocio…”. Nello svolgersi del processo terapeutico, si troverà ad abbandonare l’imbarazzo iniziale per inoltrarsi nei territori rimossi dei ricordi della propria esperienza omoerotica infantile. Il viaggio dei due protagonisti si sviluppa lungo percorsi paralleli che finiscono per incontrarsi in un’esperienza di crescita personale condivisa in cui ciascuno viene ‘creato’ e ‘trovato’ dall’altro in uno luogo che non è né esterno né interno, lo spazio transizionale dentro la seduta.

L’ Autore ci introduce al complesso scenario dell’analisi infantile che comprende i genitori e implica un’inclusione nel transfert del bambino delle fantasie inconsce genitoriali e spesso di aggregati inelaborati proiettati nel figlio, rimasti incistati e non metabolizzati.Incontriamo i personaggi di Speranza e di Gianni, i genitori di Alberto, legati da una trama collusiva di vissuti violenti e mortiferi, è quest’ultima a creare dei lacci psichici che imbrigliano la crescita e l’integrazione di elementi maschili e femminili in Alberto e ne ostacolano la costruzione di una soggettività separata e differenziata. Emerge con forza il tema del transgenerazionale che si ripresenta da un lato attraverso la violenza del nonno paterno che viene ‘agita’ da Gianni nella relazione con il figlio, dall’altro nello sfruttamento della famiglia d’origine nei confronti di Speranza, che aveva ricercato una relazione protettiva e idealizzata con la Divinità e che ripropone all’interno della relazione di coppia.

A questo si aggiunge il ‘segreto famigliare’ del doppio lutto della prima moglie e del primo figlio di Gianni di cui Alberto, ignaro, porta il nome.

Tutto ciò che parla di Alberto, ancor prima del suo ‘esserci’ se non nelle fantasie dei genitori, si intreccia con le aspettative inconsce del suo ambiente famigliare, in questo caso il genere sembra precederlo e riguardare soprattutto il modo in cui è stato immaginato nella mente dei genitori. L’autore ci introduce, tra le righe, alla distinzione tra corpo anatomico, oggettivo e corpo fantasmatico che si riferisce alla rappresentazione del corpo e del vissuto ad esso associato che nel caso di Alberto chiede di essere raffigurato. Nel dipanarsi della narrazione, entrambi i personaggi, di Stefano ed Alberto dovranno confrontarsi con l’esperienza della perdita.      

Alberto dovrà affrancarsi da una madre potente e seduttiva che lo intrappola in una relazione fusiva, interferendo con i processi evolutivi di separazione-individuazione, una madre rappresentata attraverso il gioco come avvolgente e al tempo stesso come pericolosa. Attraverso il travestitismo, Alberto può entrare ed uscire dall’immagine del corpo materno rimanendo sempre nel proprio corpo.

Il giovane psicoterapeuta dovrà anch’egli affrontare la separazione dai genitori dell’infanzia per approdare ad identificazioni adulte e ridimensionare il desiderio narcisistico di un oggetto d’amore sempre disponibile, la fidanzata Valeria che deciderà di porre fine alla loro relazione. Riusciranno entrambi, infine, a capovolgere e trasformare la propria condizione di passività passando attraverso la sofferenza della perdita e l’uso delle proprie risorse personali. Winnicott attribuisce ad un ambiente facilitante e ai processi maturativi, che operano fin dal concepimento, la capacità del bambino di diventare quello che è. Alberto troverà nel felice incontro con lo psicoterapeuta l’occasione di accedere ad un ambiente facilitante, dove imprimere la prima traccia di un Sé in formazione. Lo stile narrativo agile e diretto del romanzo consente un facile accesso alla lettura dei temi affrontati anche ai ‘non addetti ai lavori’. Il lettore è catturato da un ritmo che non consente indugi ma che non precipita mai in un vorticoso succedersi degli eventi.

Buona lettura!

 

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