Mercoledì, Maggio 07, 2025

"La cura psicoanalitica. In un intreccio interdisciplinare tra fisica quantistica, filosofia e neuroscienze” di B. Genovesi. Invito alla lettura di Paola Linguiti

 Non è facile aggiungere pensieri e considerazioni su questo saggio, dopo la prefazione di Tonia Cancrini, la postfazione di Giuseppe Civitarese, la recensione su Spiweb della collega M.G.Pappa (https://www.spiweb.it/la-ricerca/libri-psicoanalisi/la-cura-psicoanalitica-di-b-genovesi-recensione-di-m-g-pappa/): questi testi, densi, accurati e puntuali, offrono una disamina del testo ricca e più che completa.

Penso, allora, di provare a spiegare come ho soggettivamente vissuto questa lettura, perché e con quali risonanze ho letto il libro tutto di un fiato e poi l’ho riletto, per ordinare l’enorme mole di notizie ricevute. Un fiume in piena trascinante, un’energia personale vulcanica e non a caso scelgo metafore naturali: c’è tanta luce, mare, odore, sapore, suono della Sicilia dell’autore, intessuti nelle sue teorizzazioni. L’intento, raggiunto, è di condurci anche ‘sensorialmente’ nei luoghi delle sue riflessioni che, come già nel sottotitolo, si espandono dalla psicoanalisi alle neuroscienze, alla neurofisiologia, dalla filosofia alla fisica, alla chimica, dalla teoria alla clinica. C’è un filo conduttore forte per tutti e in tutti questi ambiti delle scienze, più volte dimostrato e asserito: ogni elemento del cosmo è in relazione, ogni aspetto dell’esistere nasce dalla ed è in relazione.

Anche io, come gli autori citati, sono stata catturata dalla descrizione della placenta (pag. 34):

“La placenta è un organo per metà endogeno e per metà esogeno, ovvero è formata da un lato, da tessuti originati dall’embrione….dall’altro lato da tessuti originati dalla madre…è un organo comune tra l’organismo della madre e l’organismo dell’embrione, in una collaborazione reciproca”.

E da qui alla affascinante metafora di Paola Camassa, proposta nel 2019, il passo è obbligatorio: la relazione analitica è “una raffinata placentologia”. Ogni paziente, come ogni embrione, crea la sua placenta”.

Appare chiaro come il tema di fondo della relazione sia pervasivo: è individuato e spiegato dall’autore nella fisica quantistica, nelle scoperte dei neuroscienziati sul funzionamento dei nostri apparati: “ogni cosa esiste solamente se interagisce con un’altra”. “La realtà è data dalla relazione tra diversi sistemi fisici” – come Genovesi ampiamente dimostra nel Cap. 1 –:“Un elettrone da solo non va da nessuna parte”, e nel Cap.3, “La questione quantistica”. Sono pagine, queste, certamente più accessibili ai chimici e ai fisici, ma che conquistano e informano anche chi, come me, si sente immerso da non esperto in questi parallelismi, in questa “cosmogonia” di corrispondenze reciproche.

“L’organismo è psicofisico” (pag. 37); “Le esperienze interpersonali e i fattori sociali possono esercitare un’azione nel cervello, andando a modificare l’assetto epigenetico, per cui la cultura può modificare la natura. La nostra natura è bio-psico-sociale” (pag. 39).

È lo stesso autore che con queste parole offre la sintesi più chiara della tesi del suo scritto, e la lettura è continuamente sollecitata da immagini evocative e poetiche. Tutto continuamente ci riconduce, di conseguenza, alla relazione primaria madre-bambino, studiata nelle caratteristiche relative al suo sviluppo nel pensiero di Winnicott, Bion, e tra i contemporanei, specialmente Tonia Cancrini. È il tema al quale l’autore dedica molto spazio (cap. 4 La nascita e cap. 5 La qualità della relazione): ne segue il dispiegarsi dalla vita intrauterina quando “i corpi della madre e del bambino si compenetrano… in un avvolgimento sensoriale reciproco”, come poi nelle primissime esperienze di contatto dopo la nascita (pag. 57). Queste esperienze vanno a costituire il nucleo originario sensoriale-emotivo, che ha un valore e significato affettivo, scrive Genovese, dopo aver ricordato gli studi di Mancia (2004) e di Correlale (2021). Dopo aver presentato gli studi neuroscientifici riassume ed esplicita che “a partire dalla relazione madre-bambino, si attivano i processi neuro-psico-biologici dello sviluppo non solo del sistema nervoso, ma anche dei sistemi endocrino, immunitario, cardiovascolare, muscolare, scheletrico e riproduttivo (pag.59). All’inizio della vita l’essere umano si trova tuttavia anche di fronte a un bivio, come Tonia Cancrini illustra: se la mente della madre può offrire una accettabile sintonizzazione, offrendo con amore cura, accoglienza, rêverie, tutto lo sviluppo del neonato potrà dispiegarsi in direzioni positive. Se invece questa relazione è disfunzionale, ne nasce la sofferenza emotiva e ne nascono le patologie, con cui sempre ci confrontiamo, fino alla psicosi. Patrimonio del nostro pensiero psicoanalitico che ci portiamo dentro, ma che ritroviamo ricostruito in questo libro a partire dal pensiero dei grandi fondatori, da Freud alla Klein, e confermato e rafforzato dagli autori contemporanei nell’Infant Research e dagli scienziati nella sua natura psicofisica neurologica.

Ne consegue la centralità della relazione analitica, le potenzialità trasformative e rigeneratrici della cura: non dimenticherò l’aver appreso che i ceramisti giapponesi riparano i vasi rotti con l’oro, con la tecnica del Kinsugi, e accentuano così il loro pregio, “rendendo la fragilità un punto di forza e bellezza” (pag. 116): la relazione analitica che tocca, allora anche ripara e valorizza le fratture dell’anima…

Non sempre tuttavia si può riparare… Con uno stile che definirei “noir” l’autore ci fa sprofondare nel buio, nella notte del mondo della psicosi (Cap.6): il bambino deprivato dell’accoglimento e del rispecchiamento materno viene sopraffatto dall’angoscia di disintegrazione. L’apparato percettivo è sconquassato, il neonato precipita in uno stato di fusione e confusione e può affogare nel nulla. Un uragano incontenibile di impulsi distruttivi e autodistruttivi, (e qui l’autore si volge e ricorda anche Ferenczi), o la violenta implosione che fa sprofondare nella “noia” come in un buco nero, come illustra Tonia Cancrini. Allora tutto è annientato: l’oggetto non c’è e il soggetto è solo, avvolto in una fitta nebbia e in un mondo desertificato. Genovesi continua a descrivere “il ribaltamento della sensorialità, la quale anziché funzionare in senso ricettivo, funziona in senso evacuativo. Prevale il meccanismo della identificazione proiettiva massiva e si possono sviluppare trasformazioni proiettive e trasformazioni in allucinosi, entrambe espressioni della parte psicotica della personalità”; e di seguito l’autore scrive: “assistiamo all’espulsione di contenuti emotivi. Se procediamo lungo il continuum, nel procedere dalle trasformazioni proiettive verso le trasformazioni in allucinosi, si trova l’iperbole” (pag. 77). Segue la descrizione della violenta azione evacuativa di sensazioni, emozioni come anche della personalità deputata a pensare le esperienze, tenendo molto presente le teorizzazioni di Riolo, e proponendo un paragone tra l’espulsione dei contenuti e del contenitore con la deflagrazione, la detonazione e le fissioni nucleari. (pag. 79). Ancora qui, come in altri luoghi, si attiva il confronto con le neuroscienze: la conferma dagli studi di Gallese sull’insula, tra i più importanti. In essi il riscontro nella psicosi della iperattività dell’insula, a causa della quale quest’ultima non si deattiva a contatto con un’esperienza sensoriale dell’altro, e in conseguenza non è possibile arrivare a esperire un confine tra il soggetto e l’altro, nessun confine tra Sé e altro da Sé (pag.81).

Presto, dopo questo sprofondare nelle tenebre, l’autore torna alla vitalità: da ricercare nella natura e ancor di più negli scambi e nella intensità della relazione: e per contrasto Genovesi spiega la stanchezza come mancanza di relazione, di affetto, di significato e aggiunge: “e se si cerca qualcosa che non si trova mai, allora ci si stanca…”. Proverò a non dimenticare, nei momenti di flessione un po’ grigi, che ciò che stanca “è vivere senza musica e senza sogni” (pag. 121).

Nella presentazione dei casi clinici (Cap. 10) genovesi insiste sull’importanza dello sguardo, dell’essere visti, come esperienza strutturante la possibilità di vivere, e non può che trovarci concordi. E sempre la fiducia nelle potenzialità della Cura psicoanalitica, di superare anche i traumi più drammatici e ciò che da essi consegue: la nullificazione delle emozioni, la dissociazione, la rimozione, ai quali dedica il Cap. 7 Trauma e Dissociazione.

Spero di essere riuscita almeno in parte a trasmettere la densità di questo testo e la polivocità delle competenze dell’autore. Molto propriamente Civitarese gli attribuisce lo spirito di un vero “enciclopedista” e lo definisce “un umanista scienziato… che ci regala un esempio di divulgazione intelligente, intima e affettuosa, pervasa da una eccitazione costante ma discreta, che diventa irresistibilmente contagiosa per il lettore” (pag.128).

Tutti gli autori che hanno scritto su questo testo si sono sentiti vicini a grandi espressioni dei poeti: Tonia Cancrini a Leopardi, ripreso anche da M.G.Pappa, G.Genovesi al Lucrezio del De Rerum Natura. Anche io mi sono sentita risuonare memorie poetiche, pensando alla relazione, allo scambio, alla reciprocità tra madre e bambino, anche nei lunghi mesi della gravidanza. Quella relazione che se positiva apre alle espressioni di sé, alla possibilità di vivere con gli altri, consente di accedere alle gioie, al “banchetto” della vita e ancora di più alla capacità di amare. Quale augurio migliore allora di quello che, con intuizione profonda, da sempre appannaggio dei grandi poeti, Virgilio rivolge al figlio dell’amico Asinio Pollione, appena nato (Ecloga IV, vv. 60-64):

Incipe, parve puer risu cognoscere matrem

Matri longa decem tulerunt fastidia menses

Incipe parve puer: qui non risere parenti

Nec deus hunc mensas, nec dea dignata cubili est

 

Comincia, fanciullo, a riconoscere la madre col sorriso

Lunghe fatiche le portarono i nove mesi

Comincia fanciullo: chi non sorrise al genitore

Né un dio rese degno della sua mensa, né una dea del talamo.

 

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