Il libro è un appassionato riconoscimento dell’eredità scientifica di Lydia Pallier, esponente di spicco della psicoanalisi italiana e dello storico “Gruppo di Via Salaria 237”. Scritto dagli allievi psicoanalisti a Lei più vicini, il testo, descrive la complessità, l’originalità e la vivacità del pensiero della Pallier ed estende i principali temi della sua ricerca clinico-teorica in sintonia ed in risonanza con gli sviluppi attuali della psicoanalisi contemporanea e delle neuroscienze.
Nelle due Introduzioni i curatori Maria Grazia Chiavegatti e Giancarlo Di Luzio raccontano dell’“Onda Emotiva” che, dopo la sua morte, ha reso possibile scrivere questo libro e di come esso nasca dal desiderio di riunirsi con l’obbiettivo di non lasciare incustodita la sua eredità; Lydia Pallier non soleva scrivere ma diffondere il suo pensiero a voce.
Le brevi note biografiche a firma dei figli Alessandra e Antonio ci consentono di entrare nel vivo delle origini cosmopolite, mitteleuropee e delle esperienze di vita vissute a Praga durante i regimi totalitari del ‘900, fino all’arrivo in Italia ed a Roma. Queste esperienze hanno contribuito a formare la sua personalità eclettica di psicoanalista dalla grande capacità empatica e di umana responsività, oltre che a dotarla di un pragmatico buon senso tanto nella vita quanto nella stanza di analisi.
Stefano Bolognini nella sua Prefazione ben coglie queste qualità nel tratteggiare diffusamente il clima, l’atmosfera e la specificità dell’assetto interno della “famiglia analitica” di cui Lydia Pallier era “matriarca”. Bolognini sottolinea come da tutti i contributi tratti dalla conoscenza diretta di ciascun relatore con Lydia Pallier non emerge soltanto la qualità del suo pensare, ma ciò che emerge prevalentemente è l’esperienza significativa fatta di una presenza viva e vitale, affettivamente autentica nella relazione analitica e che ha rappresentato la sua cifra distintiva nel trasmettere il suo sapere e la sua conoscenza in modo diretto. Scrive Bolognini: “Leggendo questo libro, si resta colpiti dalla rilevanza attribuita in modo unanime dagli autori dei vari capitoli – pur palesemente così diversi tra loro – alla personalità e al modo di essere di Lydia Pallier. L’impressione che ne ho ricavato è che in questo caso si possa e si debba distinguere in modo chiaro tra l’effetto del transfert idealizzante e quello di una reale, fruttuosa relazione – in analisi o in supervisione – con una personalità molto specifica e caratterizzata.” (p.13).
Il volume si divide in due parti. Nella prima parte, Scritti di Lydia Pallier, vengono riproposti i suoi storici articoli pubblicati nel libro Fusionalità (1990) nato dal gruppo composto da Claudio Neri, Giancarlo Petacchi, Giulio Cesare Soavi e Roberto Tagliacozzo. In questi brevi ma densissimi saggi, pur collocandosi all’interno di una matrice kleiniana, Lydia Pallier, formula i suoi concetti più originali in risonanza con il pensiero di Heinz Kohut verso il quale manifestò sempre apertamente un prevalente interesse. L’attenzione nella clinica alla fusionalità, agli aspetti mostruosi del Sé, al sentire di dover pagare il pizzo in caso di progresso e al conseguente crollo dell’autostima, anticipa il suo interesse verso una condizione psichica molto frequente nella clinica contemporanea e molto invalidante per l’integrità e la coesione del Sé e per le sue componenti creative e vitali. Questa condizione psichica Lydia Pallier la riferiva all’impossibilità di poter vivere pienamente il diritto alla vita e all’esistenza psichica ed è strettamente correlata a quella che lei denominerà sindrome del bluff o meglio ancora sindrome del millantatore in quanto il soggetto teme di millantare un credito che non ha due volte: l’una perché non crede di avere alcun valore l’altra perché finge di averlo. Nella seconda parte Il Diritto di Esistere vengono pubblicati i lavori degli analisti suoi allievi. I contributi, qui raccolti, di Alfredo Lombardozzi, Cristiana Pirrongelli, Maria Grazia Chiavegatti, Giancarlo Di Luzio, Gianfranco Giordo e Carla Busato Barbaglio, sono un esempio di buona eredità ovvero di come i concetti studiati e approfonditi con passione da Lydia Pallier e con altrettanta passione trasmessi ai suoi allievi, siano divenuti, nel tempo, per ciascuno di loro criteri diagnostici, strumenti di lavoro, e non dogmi, utili per ulteriori, specifici e liberi sviluppi.
Alfredo Lombardozzi ispirandosi al pensiero clinico e teorico della Pallier nei termini di una “psicoanalisi del Sé” articola il proprio discorso nel tentativo di delineare un modello integrato che tenga conto del pensiero di Heinz Kohut e di quello di Wilfred Bion così come sono stati sviluppati da autori contemporanei. Lombardozzi affronta una rivisitazione approfondita dei concetti di fusionalità e di oggetto-sé correlati in un’ottica bioniana al concetto di contenitore-contenuto.
Il contributo di Cristiana Pirrongelli esamina estesamente il rapporto tra il diritto di esistere così come formulato da Lydia Pallier, ovvero il diritto a godere di una vita piena, e gli ultimi sviluppi delle neuroscienze affettive di J. Panksepp. Pirrongelli pone alcuni quesiti interessanti anche dal punto di vista deontologico sui tempi e modi di cambiamento e riconsolidamento delle memorie implicite e si chiede se nuove esperienze di piacere e di emozioni positive possano essere predittive di un nuovo assestamento nel senso di orientare diversamente il comportamento su un livello il più vicino possibile alle sensazioni di diritto all’esistenza.
Lo scritto di Maria Grazia Chiavegatti affronta la concezione del bambino mostruoso trent’anni dopo. Attraverso due esemplificazioni cliniche Chiavegatti descrive come all’interno della relazione analitica la fantasia del bambino mostruoso possa essere bonificata gradualmente di modo che i bisogni profondi di oggetto-sé del paziente siano riattivati e vivificati in una relazione di buona fusionalità e di transfert-d’oggetto sé con l’analista.
Nel suo saggio Giancarlo Di Luzio sviluppa uno dei concetti più significativi della ricerca psicoanalitica di Lydia Pallier, la Sindrome del Millantatore. Questa particolare configurazione psichica presenta un Sé deficitario e svalutato, che il soggetto cerca di valorizzare in ogni modo, ma tuttavia, senza successo, in quanto la svalutazione strutturale della propria identità è tale da impedire al Sé di riconoscersi il proprio valore. In caso di raggiungimento di un significativo valore di Sé il soggetto sembra dover “pagare un pizzo”, un compenso, ad una entità psichica sovradeterminata mettendo in atto meccanismi di auto-sabotaggio attraverso agiti autolesivi e autosvalutanti. Né l’approccio psicoanalitico classico né quello improntato ad una psicologia psicoanalitica del Sé sembrano avere efficacia nel trattamento di questa configurazione psicopatologica quando la si incontra nella stanza di analisi. Di Luzio esprime la necessità di “una ricerca psicoanalitica approfondita su strumenti tecnici e interpretativi innovativi ed efficaci per trattare tale condizione clinica, fonte di infelicità, tanto invalidante quanto diffusa” (p.175).
Gianfranco Giordo esplicita ampiamente la sua personale elaborazione del paradigma clinico e di cura ereditato della propria analista collocandolo nella dimensione fusionale che ha sempre costituito il filo rosso dell’esplorazione analitica di Lydia Pallier e che secondo Giordo “arricchisce il modello pulsionale e quello delle relazioni oggettuali.” (p.193).
Carla Busato Barbaglio raccoglie alcune “vive” testimonianze dell’ultima generazione di psicoanalisti e di candidati, me compresa, in Training con Lydia Pallier, con la quale ha lavorato fino all’ultimo con dedizione ed entusiasmo. L’Autrice pone l’accento sul significato dei “lasciti” e afferma: “È curioso che chi ha fatto analisi o supervisioni con lei, senza sapere l’uno dell’altro si ritrova nelle discussioni e nella ricerca, in una libertà di pensiero, in una sintonia e apertura di essere e di pensare anche se con teorizzazioni diverse, ma dentro una risonanza affettiva che sembra prolungare una esperienza di “fusionalità” sperimentata, “bioritmi sincronizzati interiorizzati” e che fa scoprire fratellanze più o meno sintoniche, ma che parlano dell’aver fatto esperienza del rapporto con lei.” (p. 211). Un esempio, secondo Busato Barbaglio, di come la teoria della fusionalità sia un ponte verso la teoria della intersoggettività che consente il transito alla co-costruzione nel quale il Sé nasce, cresce, e si regola nella relazione di cura consentendo l’emergere di un senso di Sé coerente e di tonalità positiva.
In conclusione lo sforzo degli Autori va apprezzato per essere riusciti non solo ad aver ben custodito l’eredita di Lydia Pallier, ma anche di averla sviluppata in modo sapiente e originale lasciando il campo aperto a nuovi quesiti che spingono a promuovere e a continuare la ricerca clinico-teorica in questo senso e a diffondere il Suo pensiero al di là della stretta cerchia di coloro che l’hanno personalmente conosciuta e “frequentata” per lungo corso.
Vedi anche:
Recensione di Laura Porzio Giusto