Venerdì, Aprile 19, 2024

Anna Nicolò (a cura di), L'ascolto psicoanalitico in emergenza. 2021. Recensione di Giovanni Meterangelis

Il Volume “L’Ascolto Psicoanalitico in emergenza”, curato da Anna Maria Nicolò con la collaborazione di Carla Busato Barbaglio, Cesare Davalli. Amedeo Falci e Giuseppe Saraò, e prefatto da Herbert Blass e con una introduzione di Marianne Lauzinger-Bohleber, raccoglie lavori di colleghe e colleghi che volontariamente ed a titolo gratuito si sono raccolti in gruppi nei diversi Centri di Consultazione della SPI, per partecipare, in seguito alla emergenza Covid, ad una iniziativa di ascolto psicoanalitico verso persone che presentavano un disagio psicologico a causa della pandemia. L’esperienza si è svolta fra l’Aprile ed il Giugno del 2020, ha coinvolto circa 400 Psicoanalisti, che hanno risposto a 1350 richieste di intervento fornendo quasi 3500 colloqui. Il Volume è diviso in due sezioni che raccolgono lavori che hanno fra di loro un’affinità di contenuti. La prima è chiamata “La psicoanalisi in emergenza” e la seconda “La tecnica dell’ascolto”.

Il Volume tutto, come sostiene Anna Maria Nicolò nella premessa al suo lavoro:” La Psicoanalisi alla prova dell’emergenza” discute “i dubbi ed i vantaggi dell’applicazione della psicoanalisi al di fuori del setting duale, in condizioni di emergenza.”, e pone una domanda, che mi pare centrale: ”Possiamo, a partire dall’esperienza fatta, individuare delle invarianti che caratterizzano il metodo psicoanalitico in qualunque setting si applichi?”. È una domanda che, a mio parere, pone una questione di grande interesse teorico, oltre che clinico, e riguarda quella che è una risorsa degli analisti dell’IPA e cioè il pluralismo di idee e teorie che ci distingue da tutti gli altri metodi di intervento psicologico. La lettura dei vari contributi testimonia l’esistenza di una Psicoanalisi clinica che va oltre le varie metapsicologie, e che le accomuna, e che, quindi, rappresenta la risposta affermativa alla domanda posta.

Cercherò di individuare alcune questioni, fra le tante presenti nei lavori, che mi sembra rappresentino quell’invarianza del metodo psicoanalitico a cui faceva riferimento la domanda della Nicolò. Una di queste è proprio l’ascolto psicoanalitico che, come si evince da tutti i casi clinici presentati, qualunque sia il modello teorico di riferimento utilizzato, ha un denominatore comune a tutti: gli psicoanalisti ascoltano i loro pazienti in una modalità che permette a questi ultimi di ascoltare se stessi. Nel suo lavoro (pag. 6l) la Nicolò propone il concetto di “ascolto elaborativo”, attribuendo alla mente dell’analista la possibilità, dissociandosi terapeuticamente, di cogliere i diversi aspetti dell’effetto del trauma sulla mente del paziente, dalla attualizzazione di difficoltà precedenti, alla accentuazione di quelle presenti, compresa anche l’apertura a nuovi significati. Inoltre, sottolinea come nell’ascolto elaborativo l’analista ascolta anche se stesso. Mi sembra che dalla lettura dei casi clinici presentati, e\o in forza della situazione pandemica data dalla emergenza Covid, ci sia stato, anche, un ascolto messo in atto dai pazienti, un ascolto dei modi con cui venivano ascoltati o interpretati dall’analista, oltre che dei modi con cui questo si relazionava a loro. Modalità che ha permesso una circolarità dell’ascolto che ha influenzato entrambi i partecipanti alla relazione clinica, e che potremmo definire “intersoggettivo”. Dove per soggettività di un individuo si intende il modo con cui i diversi assunti personali, cioè il suo modo di essere, influiscono sulla sua attività mentale, che in ogni relazione influenza e a sua volta viene influenzata dalla soggettività dell’altro. L’aiuto che le nostre colleghe ed i nostri colleghi hanno messo in atto nella esperienza d’ascolto in emergenza, può essere paragonato all’aiuto prestato da un soccorritore ad un naufrago che sta affogando in un mare in tempesta, mare che mette in difficoltà il soccorritore stesso. Situazione resa bene da Bion (1982) che descrivendo il processo analitico in particolari situazioni usa la metafora “Pensare sotto il fuoco dell’artiglieria”. Lavorare in una situazione di emergenza ha reso ancora più evidente che stare in contatto con le nostre emozioni, accedere a queste ed utilizzarle, ha delle importanti ricadute sui nostri pazienti. Pertanto la soggettività dell’analista è divenuta lo strumento di ascolto privilegiato per comprendere ciò che i pazienti cercavano di comunicare, comprensione che, da ciò che si evince dalla lettura dei lavori, è avvenuta senza nessuno sforzo cosciente, attualizzando ciò che diceva Freud (1912 Vol 5 OSF) nei consigli al medico, che l’inconscio dell’analista se è ben sintonizzato, è in grado di cogliere l’inconscio del paziente senza passare dalla coscienza.

L’uso della soggettività dell’analista, inoltre, ha permesso la costruzione di un campo intersoggettivo, espressione della connessione affettiva di cui analista e paziente fanno esperienza quando sembra ad entrambi di stare in contatto con la stessa versione della realtà. Come sostenuto da Amedeo Falci nella sua Postfazione: ” è apparso generalmente riconosciuto nei diversi contributi come l’esposizione degli psicoanalisti stessi alle ansie dei rischi epidemici e del disorientamento dei propri assi di riferimento, personali e professionali, abbia richiesto un delicato compito autoanalitico per contenere identificazioni con le ansie dei soggetti, introiezione delle proiezioni idealizzanti e salvifiche dei richiedenti, e negazioni onnipotenti della realtà”. A questo aspetto fanno riferimento diversi lavori, quello del Centro Psicoanalitico di Roma: Superfici e Profondità di un incontro. Fra ascolto e pensiero in gruppo. Il setting analitico in emergenza dove in questa emergenza la realtà esterna, inevitabilmente presente e incontrollabile, fa sì che “la storia attuale, con la sua irruenza traumatica, (assorba) paziente ed analista”. Su come l’evento traumatico Covid abbia per certi versi “potenziato” e fatto emergere modalità di ascolto più sensoriali ci viene descritto in diversi lavori.

Le colleghe Nanetti e Pesce nel loro contributo L’ascolto al buio sottolineano come con l’ascolto psicoanalitico in emergenza, l’analista mette a disposizione tutti i suoi sensi proprio per creare quel contatto ampio, profondo e insaturo, ed anche quella “senso-percezione composita” che molte assonanze ha con il concetto di terzo analitico di Ogden (1994). Da questa prospettiva l’ascolto è reciproco nel senso che vengono sottolineati i modi con cui l’analista ascolta il paziente e di come questo registra ed elabora ciò che dice l’analista in una circolarità che informa tutto il dialogo psicoanalitico, intendendo dire che analista e paziente creano il terzo analitico e a loro volta, poiché il terzo non è una struttura, sono creati dal terzo.

Di analogo punto di vista è il lavoro degli psicoanalisti del Centro Psicoanalitico di Firenze, Saraò e colleghi nel loro contributo Quale ascolto in un setting di solidarietà? Gruppo allo stato nascente e funzione psicoanalitica della mente in cui ritengono che l’ascolto psicoanalitico si è rivelato “una risorsa per entrare in contatto con parti profonde del paziente” permettendo all’analista di attivare “capacità di reverie …che ha consentito di trasformare in immagini le quote di sensorialità provenienti dall’ambiente e dalle atmosfere veicolateci dal paziente… fatte anche di suoni e voci.”.

Dello stesso avviso è il lavoro di Filograna: L’ascolto delle emozioni: dalla pandemia all’ordinaria emergenza clinica in cui vengono sottolineate le capacità di sintonizzazione emozionale dello psicoanalista nel setting di ascolto in emergenza.

Posizione per certi versi analoga a quella che ritroviamo nel contributo di Rocchetti e Rocchetto dove fra le altre considerazioni viene valorizzato il ruolo svolto dalla comunicazione emozionale, nel primo contatto, assunto dalla “musicalità” e del “timbro” della voce che vengono offerti alla decodificazione, da parte dell’analista, delle loro valenze inconsce, dando avvio ad un primo movimento transfert-controtransfert. Posizioni, queste, molto più vicine a quella visione di terzo analitico proposta da J. Benjamin (2004, 2007, 2019) per la quale vi è un ”terzo primordiale” che ha origine nello scambio musicale o ritmico fatto di suoni e gesti nella relazione di accudimento madre-bambino e che Trevarthen chiama protoconversazione e che nella relazione paziente -analista si manifesta come sintonizzazione affettiva, adattamento e regolarità degli scambi. Condizione che ci riporta sia al concetto di Fusionalità descritto dai nostri Colleghi, Neri, Pallier, Petacchi, Soavi, Tagliacozzo, sia a ciò che Modell (1994) definisce come ”Attualizzazione simbolica di un contenitore materno idealizzato”. Situazione, questa del primordiale che si riscontra dalla lettura di tutti i lavori clinici presentati, nei quali sembra che, per gli ovvi motivi di brevità dell’ascolto, non si raggiunga una simbolizzazione intesa come riconoscimento dello stato di separazione, e la condivisione di principi condivisi di valutazione della verità.

Alcuni altri lavori valorizzano i modi con cui l’ascolto in emergenza ha richiesto all’analista di essere maggiormente sintonizzato su se stesso e sul suo contributo al dialogo analitico come i lavori di Lussana Conversazioni in remoto sulla pandemia covid-19 e quello dei colleghi del Centro Psicoanalitico dello Stretto Un’ectopia trasformativa Trarre il meglio dalla tempesta in cui gli Autori indicano nella presenza di un setting interno degli analisti , lo strumento centrale regolativo della tecnica di ascolto. E il lavoro di Colella, Davalli, La Torre, Mondini Quale restituzione per quale emergenza? in cui “paziente ed analista sperimentano simultaneamente la stessa situazione traumatica, le stesse angosce derivanti dalla loro vita quotidiana e dall’essere contemporaneamente coinvolti in uno stato di emergenza”. Qui, come nei lavori citati in precedenza è il tema della “simultaneità” che domina, in quanto, mi sembra, che il termine sottolinei sia una costruzione transferale basata sul qui ed ora che su i now moments, cioè momenti di incontro carichi di affettività, trasformativi e co-costruiti, descritti dal BCPSG (Gruppo di Boston), come elementi centrali per l’azione terapeutica.

Sulla peculiarità delle interpretazioni in emergenza si soffermano, tra l’altro, i lavori dei colleghi del Centro Napoletano di Psicoanalisi con L’ascolto psicoanalitico e le “interpretazioni lievi” durante l’emergenza sanitaria da Covid-19 e il contributo di Pini su Il tempo si contrae, dove nel primo lavoro viene ritenuto importante l’utilizzazione di un modello di “interpretazioni lievi”, termine con cui si intende la capacità di fornire interpretazioni minime come sostegno all’Io, e nel secondo viene sottolineato l’uso di brevi interventi non definibili proprio come interpretazioni con lo scopo di restituire alla paziente descritta la creazione di un nuovo spazio interno. Dove le interpretazioni si sono basate prevalentemente su di un uso della capacità empatica primitiva dell’analista in grado di focalizzare questa su “…come egli sente che è il soggetto, piuttosto che sull’obiettivo dei bisogni e delle domande del paziente” (E. Schwaber, 1979) per cui la psicoanalisi viene considerata, da questa prospettiva, innanzitutto come una psicologia del profondo, la cui unità terapeutica fondamentale è costituita dalla comprensione e dalla interpretazione. Questi livelli, secondo Kohut (1977) devono esprimersi in un appropriato rapporto fra di loro.

Sui differenti modi di affrontare l’ascolto in emergenza per bambini, adolescenti ed anziani si focalizza il contributo a più voci L’ascolto nelle varie età della vita di colleghe del Centro di Psicoanalisi Romano e del Centro Milanese di Psicoanalisi.

Busato nel lavoro sottolinea come l’ascolto per i bambini si è connotato come un lavoro di restituzione di competenza parentale, sostenendo nei genitori l’importanza del gioco e del contatto fisico. Alessi e Comandini opportunamente fanno una distinzione, nel lavoro con i genitori, fra relazioni di aiuto e relazioni di transfert per distinguere le richieste di consigli da quelle relazioni che hanno richiesto una elaborazione transferale nell’ascolto. Nell’esperienza con gli adolescenti è prevalsa una funzione di contenimento e di elaborazione di traumi pregressi.

Di grande interesse è l’esperienza di ascolto delle persone anziane, dove isolamento reale, interruzione dei rapporti famigliari, solitudine e paura del contagio e delle sue conseguenze mortali, hanno spinto i colleghi a svolgere ruoli di rassicurazione mettendo in secondo piano i bisogni legati al riprendere contatto con le memorie positive del passato.  

L’argomento presente in tutti i lavori del volume, è quello del trauma collettivo, che in alcuni di questi fa da cornice e sfondo alle riflessioni, ed in altri è posto in primo piano. Marianne Luzinger- Bohleber nella sua introduzione fa sia una disamina sul Disturbo da stress post traumatico come viene riconosciuto dalla Psichiatria nord americana nel DSM-5, che una storia del confronto con lo psicotrauma nella psicoanalisi e sugli approcci psicoanalitici alla traumatizzazione estrema e alle sue conseguenze. Sulle conseguenze del trauma in termini di slatentizzazione di patologie pregresse ci dicono Silvia Mondini in Il Servizio d’ascolto per l’emergenza Covid-19 e la rete: Uno stimolo alla libertà di pensiero in una situazione esterna eccezionale, e Scotto di Fasano in Atmosfera emotiva, disorientamento, destabilizzazione e rivisitazione del setting in pandemia, quest’ultima coglie anche nel trauma la causa della patologia sociale costituita dalla palpabile incombente sensazione di “un nemico invisibile” che ha determinato un’atmosfera di “un terrore senza nome” (Bion, 1962). Il tema del trauma è affrontato anche dalla Rizzitelli che Dalla stanza d’analisi ad una psicoanalisi per l’emergenza sociale: la psicoanalisi senza lettino sottolinea come un contenimento delle angosce attuali ma anche l’espressione di traumi e sofferenze mai affrontate possono permettere di arrivare ad una esperienza di condivisione con l’altro.

Anna Maria Nicolò, nel già citato lavoro introduttivo, entra nel vivo del tema del trauma introducendo la questione del tempo nella ripetizione traumatica indotta dal Covid-19, e citando Varvin dice:” una mente traumatizzata si fissa su momenti specifici che possono anche perdere l’ancoraggio al flusso del tempo sentito in maniera soggettiva e ostacolare la percezione cronologica in cui il passato precede ed è distinto dal presente e dal futuro…Si può descrivere questo modo di percepire l’ambiente come un collasso del tempo”(Varvin, 2003). Il trauma “congela” il passato privandolo della sua plasticità, le memorie sono rigide e concrete, caratteristiche queste che fanno perdere loro adattabilità e generatività, qualità di cui necessitiamo per creare nuove esperienze.

Vorrei chiudere questa recensione, citando l’attento lavoro di Amedeo Falci Esperienza di ascolto in emergenza nel quale viene fatta una disamina del contenuto dei lavori presenti nel Volume, che è stata anche per me un valido aiuto nella lettura del libro e nella scrittura di questa recensione. Ho omesso alcuni pensieri e delle riflessioni contenuti nei vari contributi, che vanno molto oltre le mie descrizioni, e non ho citato, per i limiti di spazio posti alla recensione, il lavoro di qualche collega e me ne scuso. Ma il mio è semplicemente un invito alla lettura di ciò che ritengo essere, per la ricchezza teorica di tutti i contributi, anche una fotografia del dibattito teorico e culturale presente nella nostra Società di Psicoanalisi.

Nel chiudere il suo lavoro Falci fa una riflessione sulla Demartiniana crisi della Presenza considerando questo libro un tentativo di recupero di questa, attraverso una modificazione adattiva dei propri quadri teorici e delle proprie pratiche: “…è importante ricordare come solo le culture in grado di accettare la crisi e di riorganizzarsi possono sperare nella fondazione di un nuovo ciclo vitale della loro “presenza” (A. Falci). Frase che a me ha ricordato il modo con cui Gabriel Garcia Marquez chiude il suo mitico Cent’anni di solitudine: ”… perché le stirpi condannate a cent’anni di solitudine non avevano una seconda opportunità sulla terra”.                  

                    

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