Giovedì, Marzo 28, 2024

Laggiù qualcuno mi ama. Una cura per la timidezza. Note di Adriana D’Arezzo

Documentario biografico (2023)

Regista: M. Martone

Sceneggiatura: M. Martone A. Pavignano

Durata: 128’

 

Il cinema di Troisi si esprimeva per frammenti,

per soprassalti improvvisi, alternava pieni e vuoti, ora era acceso,

ora era stanco. Il cinema di Troisi era bello

perché aveva la forma della vita”.

Mario Martone

 

M. Martone nel documentario “Laggiù qualcuno mi ama” nell’indagare la personalità ed il percorso artistico di Massimo Troisi, sceglie di farsi guidare dall’affetto, sonda le profonde ragioni che fanno di lui uno degli attori più amati dal pubblico del Sud Italia.

Martone si pone col passo del ricercatore, mosso dal desiderio di approfondire un rapporto interrotto, dichiara, infatti, il rimpianto per una collaborazione che non ha avuto il tempo di crescere, un film pensato e rimasto lì, in sospeso nel tempo, che vede ora la luce.

Nell’indagare intervista tra i tanti che l’hanno conosciuto da vicino, coloro che più lo hanno amato, gira nei luoghi che gli appartenevano, cerca di rintracciarne il percorso. Anna Pavignano, che collabora con Martone alla realizzazione di questo documentario, compagna di vita di Massimo Troisi e coautrice di molti suoi film coinvolge con misura lo spettatore in aspetti intimi della vita insieme, ci mostra bigliettini e annotazioni, frammenti di agende che sono diventati poi celebri battute. Pino Daniele, Paolo Sorrentino, Francesco Piccolo, per citarne solo alcuni.

Cosa può dire uno psicoanalista della comicità di MT, la parte più nota che per prima ci colpisce?

Facendo seguito alle parole di Martone ci si interroga sul significato “dei soprassalti improvvisi” su quello “dei pieni e dei vuoti”, dell’“acceso e spento”, è come se Massimo dovesse rapidamente allontanarsi da qualcosa, distogliere in fretta il pensiero e lo sguardo. Non so se abbia mai incontrato uno psicoanalista nella realtà ma in uno dei suoi film, “Le vie del Signore sono finite”, col suo stile, interroga la psicoanalisi a proposito della malattia “psicosomatica” del protagonista, ci gioca. Massimo gioca con la malattia, ma anche con la cultura, “…loro sono tanti a scrivere e io uno solo a leggere…”, con la religione e anche con una certa tradizione.

Mi torna in mente l’esilarante scena del matrimonio in “Ricomincio da tre” in cui dialoga con il prete a proposito del miracolo della ricrescita della mano che il padre aspetta, scena che si chiude con uno sguardo che va lontano, oltre il mare. Come non pensare al suo cuore malato, che si porta dentro e lo affatica, ma da cui distoglie lo sguardo per andare oltre, verso gli altri, verso la vita. Ci si chiede come la grave malformazione cardiaca abbia impresso nella psiche il suo segno indelebile, trasformandosi poi in gioco, creatività artistica. E viceversa, come le caratteristiche delle sue prime relazioni, dell’ambiente in cui è nato e cresciuto, abbiano contribuito a formare la sua straordinaria sensibilità, a determinare la distanza/vicinanza che sentiva tra sé e gli altri, tra sé e le cose di valore, cosa ha segnato il suo cuore? La psicoanalisi che indaga la psiche incarnata nel corpo da cui ha cominciato a prendere forma e con cui continuamente è connessa, tenta proprio  di colmare lo iato che sovente è pensato tra il corpo e la mente, rinvia ad un inconscio radicato nei processi somatici.

Il “motto di spirito” (1905) per Freud è una delle modalità comunicative più capaci di mettere in contatto l’altro con le profondità dell’inconscio, portandole in superficie all’improvviso, di colpo, mostrando aspetti che altrimenti sarebbero rimasti nascosti, inespressi, tagliati fuori da altre istanze interiori, più timorose del giudizio degli altri o di quella parte di sé giudicante. La comicità di Massimo Troisi delicata, mai volgare, venata dalla timidezza che pure cerca di sconfiggere, tocca temi del vivere, ingaggia questioni fondamentali, l’amore, i rapporti familiari, la malattia, le ingiustizie sociali ma sempre col piglio leggero di chi non è sicuro di potersi permettere di parlare. È così capace di descrivere l’aria dei vicoli, l’intensità di certi rapporti familiari e amicali, dei rapporti di coppia, sembra farci rintracciare le origini del suo desiderio di emancipazione. La sua carriera artistica, che parte dal teatro, dal piccolo cabaret tra amici in un circolo parrocchiale e che pian piano arriva all’attenzione del grande pubblico, al successo dei film di cui è autore, regista, attore, per proseguire con i film in cui diretto da E. Scola lavora accanto ad attori del calibro di Mastroianni, fino alla realizzazione dell’ultima straordinaria prova d’attore “il Postino” diretto da M. Radford accanto a P. Noiret.

Martone si muove nel raccontare Massimo Troisi tra la fine degli anni 70 e il 1994 anno della sua morte, tra spezzoni dei suoi film più noti e le ipotesi sugli sviluppi della sua carriera artistica, lo paragona a François Truffaut proprio per la prossimità delle tematiche tra la vita vera e i personaggi dei suoi film. Sono gli anni di una Italia in fermento, di profondi cambiamenti sociali, della DC non più egemone al sud, della legge e del referendum sul divorzio, della nascita del femminismo in Italia, di Basaglia che apre i manicomi. Giunto al successo, acclamato e invitato spesso si ritrae, rifiuta di salire sul palco di Sanremo visto che non è stato autorizzato a parlare liberamente. Questo non poteva più permetterlo. A guardare ora l’intero percorso artistico di Massimo Troisi sembra assumere la forma di una autocura, l’ironia unita ad una certa vena poetica gli hanno consentito poco a poco di conquistare il diritto di prendere la parola, di esprimersi, dando voce, inflessione e anima ai suoi personaggi, senza forse mai arrivare a crederci però fino in fondo. Ironia venata di malinconia, che continua ad affiorare e sembra rappresentare la continuità del suo essere.

Così la fragilità ironica e seduttiva di MT assume il carattere di una forza che arriva alle persone, diventa anche discorso politico, critica delle disuguaglianze e delle ingiustizie, amara analisi degli stereotipi imprigionanti di quella parte di Napoli di cui era parte, che credo non amasse completamente ma a cui restava fedele e con cui sapeva dialogare senza però immergersi del tutto, rimanendo un po’ sul margine, forse con la distanza che c’è tra Napoli e S. Giorgio a Cremano.

  

Al mio cuore malandato
Almeno a lui ho messo le ali…
Io, padrone di un bel niente
Neppure di me stesso.

Soffoco d’affetto
e vivo di nascosto
Ma al mio cuore malandato
Almeno a lui ho messo le ali…

Intorno si stupiscono
del mio modo di fare
Per loro sbaglio tutto
ancora prima di iniziare

Non è così’ importante
che muoia qualcosa dentro
Io cedo qualche sogno
e un po’ di libertà
Un compromesso che in fondo accetto per viltà’…

Ma al mio cuore malandato
Almeno a lui ho messo le ali…

Passar tutto il tempo
a pensare al modo migliore
E in quale occasione
sfiorarti la mano
per dire ti amo

Mentre la situazione
politica italiana
Andrebbe seguita
con molta più attenzione
Vuoi che mi lasci andare sulle note di una canzone d’amore…

Ma al mio cuore malandato
Almeno a lui ho messo le ali…

Massimo Troisi

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