Venerdì, Aprile 26, 2024

Women talking - Il diritto di scegliere. Note di Mariaclotilde Colucci

“In tempi duri dobbiamo avere sogni duri,

sogni reali, quelli che

se ci daremo da fare si avvereranno.”

“Arrivano momenti in cui è d’obbligo liberare

una rabbia che scuota i cieli.

Occorre per questo scegliere

il momento giusto,

la collera non va scatenata

in modo indiscriminato.”

“La pazienza soccorre la collera.”

“Quando si lotta per qualcosa di importante bisogna circondarsi di

persone che sostengono il nostro lavoro.

È una trappola e un veleno avere persone che      

hanno le nostre stesse ferite ma non il desiderio vero di guarirle.”

C. P. Estés[1]

 

Basato sul libro di Miriam Toews, il film, uscito l’otto marzo, Giornata internazionale della donna, si ispira ad una storia vera, drammaticamente vissuta nei primi anni 2000 dalle donne di una comunità mennonita in Bolivia.

Come quella reale, anche la comunità mennonita del film vive in un eterno 1800 al di là dello spazio e del tempo. L’indefinito e desolato paesaggio della campagna rurale che circonda le abitazioni prende vita unicamente laddove il vociare dei bambini, che corrono e giocano tra i campi ignari degli accadimenti, si alterna al vociare delle madri, delle nonne e delle sorelle che combattono la loro guerra.

Di notte gli uomini della loro stessa comunità abusano sistematicamente di loro narcotizzandole. Gli stupri avvengono mentre sono prive di coscienza e al risveglio le ferite e le tumefazioni vengono giustificate come la “mano del Signore” che punisce i loro peccati e le gravidanze che ne derivano “miracoli dal cielo”. I sospetti vengono messi a tacere come “frutto dell’immaginazione femminile.”

Quando però il trauma da fantasia diviene reale e da segreto indicibile diviene oggetto di confronto e narrazione ecco che improvvisamente i rigidi principi arroccati sulla fede e perpetuati in suo nome saltano e un gruppo di donne, scoperti gli orrori subiti, si riunisce in un fienile per decidere del proprio destino. Solo tre le scelte possibili: fare finta di niente, restare e combattere, andarsene e cambiare.
Il riconoscere il proprio diritto alla parola consente alle protagoniste di diverse età di attivare un confronto duro e schietto transgenerazionale, all’interno di un processo veritativo doloroso e commovente a tratti violento, dove religione e fede, pacifismo e guerra, vendetta e perdono, libertà e sottomissione, istruzione e ignoranza divengono i pilastri portanti per consentire loro di divenire soggetti agenti del proprio cambiamento e di quello delle generazioni successive.
Prende forma il progetto per un futuro carico di responsabilità, una responsabilità tutta al femminile di donne che parlano con donne, di come fin dall’infanzia siano state persuase a non pensare con la propria mente, a non prendere decisioni e a dipendere da uomini abusanti e incestuosi, ma ritenuti più capaci e più responsabili e delegando loro qualsivoglia processo decisionale.
Ciascuna di loro, narrando di sé e delle violenze subite, dà vita e parola non solo alla propria sofferenza, ma anche alla propria possibilità di elaborare una presa di coscienza che sulle prime è soggettiva ma che nel corso del processo e della narrazione diviene coscienza collettiva. Le donne della comunità si costituiscono come un nuovo soggetto collettivo pensante e capace di ricreare nel qui e ora una nuova cultura di gruppo, una nuova pensabilità. Il campo emergente promuove la nascita di un Noi-esecutivo che le condurrà con ostinazione e competenza verso un possibile futuro.
La regista Sarah Polley dirige un cast di sole donne che vanta nomi come Frances McDormand, Claire Foy, Jessie Buckley, Rooney Mara. Le singole attrici con le loro performance riescono rappresentare differenti psicologie femminili al di là del dolente vissuto comune e soprattutto al di là della profonda fede religiosa che le accomuna. Le singole personalità in scena non perdono la loro specificità pur confluendo in un noi omogeneo per genere, ma capace di far evolvere un processo di trasformazione che autodeterminandole conferisce ad ognuna un ruolo preciso.
Un unico uomo nel cast, Ben Whishaw, interprete di un ruolo apparentemente marginale, ma di grande forza evocatrice. A lui viene consegnato il testimone per provare a generare il cambiamento dall’interno, per chi resta.

[1]Donne che corrono con i Lupi. Clarissa Pinkola Estès, 1989. Frassinelli-Gruppo Mondadori.

 

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