Sabato, Aprile 27, 2024

Le verità in controluce (The Fabelmans, di S. Spielberg, USA, 2022). Note di Giuseppe Riefolo

“Non diciamolo a tuo padre! Sarà il nostro film segreto: tuo e mio”

(Mitzi)

 

Il film.

Arizona del secondo dopoguerra. Mitzi e Burt portano il loro figlio Sammy al cinema. Ha sei anni e scopre come il potere dei film nel flusso dei suoi fotogrammi può aiutarlo a cogliere infinite verità.

Il film dice che se hai una ferita il dolore può passare, ma la cicatrice la porterai sempre. La soluzione è che “se l’esperienza è un senso di dolore, la psiche deve avere un’immagine” (Bion, 1992). Non si tratta di ripetere, ma di usare il dolore per sostenere processi che, insieme alla cicatrice, possono portarti in infinite direzioni. Il film dice anche che, nonostante tanti film diversi, girerai sempre la stessa scena: una donna che, come una ballerina di alabastro, danza in controluce! Le “mille scene che quella immagine permette” (Bollas, 2000) ti presenteranno la sensualità, l’amore di tuo padre insieme a quello di Bennie il quale ti porterà via tua madre. Ho pensato che persino la scena western a cui Sammy lavora molto con il pistolero solitario che si aggira fra i corpi dei compagni morti è ancora la stessa scena: il pistolero è solo e non sta più recitando quando, finito il ciak, non torna più indietro: “Ma dove va? Perché non torna indietro?”. Gli analisti sanno che esistono due forme di dolore. Quello concreto dove ti fermi a osservare le ferite sapendo di essere solo e che quel dolore ti impedirà la vita, oppure un altro dolore che può permetterti “mille immagini” e potrà essere la tua fortuna. In fondo tutta la nostra civiltà è nata dal dolore, da Adamo ed Eva a Pandora a Ercole a Davide, a Sansone. Il film di Spielberg è bello e, alla fine è difficile alzarsi dalla poltrona perché in una parte dissociata di te, tu durante la visione hai potuto scoprire che sei Sammy e ti aggrappi ai titoli di coda per uscire piano dalla caverna dei sogni che improvvisamente viene ferita dalla luce e gli altri spettatori ti indicano l’uscita. Era un po’ che non capitava che alla fine di un film nella sala emergesse un applauso. E’ un buon segnale di restituzione al regista del felice dialogo che ti è stato permesso ed è stato lo stesso regista all’inizio del film ad invitarti direttamente in una sua dimensione intima.

Quando ti portano al cinema per la prima volta sono tutti preoccupati ed eccitati per te perché quello è davvero “Il più grande spettacolo del mondo” (De Mille, 1952). Loro però si preoccupano del rischio dell’impatto con un nuovo mondo, ma per Sammy il problema - e la fortuna – è l’esperienza di scontro in un percorso finallora lineare. Scopri che gli incontri possono essere scontri e che (forse a quell’età…) quel mondo eccitante e pericoloso ti riguarda. Ho pensato che il dialogo di Mitzi e Burt al loro bambino Sammy fosse un rito di iniziazione nell’adolescenza come la cresima e Hanukkah, “inaugurazione” e le luci che finalmente si accendono. Infatti i sogni ti dicono che sei entrato nel percorso eccitante e violento degli scontri dei treni che chiederai in dono per Hanukkah. Ma la vera rivoluzione nella tua vita è quando qualcuno intuisce che quell’eccitamento pericoloso ti appartiene e non dovrai rinunciarci, né dovrai rischiare per riaverlo: potrai filmarlo e, come nei sogni, potrai entrarci mille volte. Mitzi inventa per suo figlio Sammy il dispositivo della cinepresa: “farai scontrare il treno una volta sola e quando faremo sviluppare la pellicola lo guarderai all’infinito finché non ti farà più paura. Il tuo treno vero non si romperà mai!” In realtà Sammy scoprirà che non si tratta di ripetizione per risolvere il trauma, ma che quella cinepresa rappresenta una opportunità per rivivere infinite volte la stessa scena da inquadrature diverse. Non si tratta di mettere una finzione al posto della realtà, ma di dare infinite possibilità di verità ad un evento semplice. Quello che tua madre ti consegna, e che tuo padre chiama “hobby”, sono una espansione della realtà che, altrimenti sarebbe rimasta molto piccola e circoscritta. Per questo gli analisti si differenziano dagli psichiatri: sanno che i sintomi non devono essere eliminati, ma possono solo essere trasformati introducendoli ed associandoli a infinite altre scene della tua vita.

La scena più emozionante (forse, a 16 anni, è veramente Il più grande spettacolo del mondo…) è Mitzi che balla nel campeggio. Non c’è luce per la telecamera, ma Bennie accende i fari della macchina. Lei danza come se stesse su un palco, ma soprattutto i fari rendono trasparente il vestito: “non guardare” impone, inutilmente, una bambina alla sorella più piccola! Siamo nel pieno del cinema: come si può non guardare una danza che ti arriva inattesa e ti porta l’eccitamento della femminilità che alle bambine arriva in trasparenza? Anche Burt e Bennie ne saranno toccati perché entrambi, ciascuno dal proprio vertice, conoscono quell’eccitamento che, come per lo scontro del treno, vorresti vedere ripetutamente. Solo Sammy vede la danza da dietro la cinepresa, e in quel momento, non ne sente l’eccitamento forse perché è concentrato sulla pellicola e non sulla danza. Ma solo Sammy potrà rivedere mille volte la scena in cui sua madre danza trasparente. Come per i percorsi di analisi, se rivedi mille volte la scena e cambi i vertici, ti accorgi che sullo sfondo Bennie abbraccia tua madre e lei lo ama.

Per un attimo Sammy trova che la soluzione al suo insostenibile dolore – che proprio la telecamera ti ha portato - sia la sospensione (fuga?) e il blocco (rimozione?). Quindi, pur di non accettare che tua madre ama Bennie, te la prenderai con il dispositivo e smetterai di fare film perché ti sei liberato anche della tua ultima telecamera! Bennie, che sa di essere uno dei personaggi di quel dolore, ne propone a Sammy la dimensione vitale che non si ferma ad una formale accettazione, ma può parlare il linguaggio del sogno e, quindi non solo rimozione, ma anche possibilità: “pensa di me quello che vuoi ragazzo, ma se smetti di fare film spezzerai il cuore a tua madre! E questo non lo puoi fare!”. Gli analisti tollerano con i loro pazienti la vergogna e condividono la vitalità della resa. Sammy, quindi può riprendere il processo laddove si era dissociativamente sospeso e può ricontattare Bennie. Quindi: “posso comprarti quella telecamera per 35 dollari!”

Finzioni?

Colpisce che nel film di Sammy dello scontro del treno ci sia già l’arte del cinema: il fumo della locomotiva; le inquadrature studiate e soprattutto il montaggio. Verrebbe da pensare ad una soluzione per anticipare e presentare il futuro regista. È possibile! Ma a me è piaciuto pensare che la finzione che passa attraverso le inquadrature e il montaggio sia esattamente quello che poi accadrà in tutto il film che sto vedendo: una storia reale che assume un’altra verità. E non c’è finzione, ma espansione! Se nella storia reale cambi i vertici, tocchi una verità che non sospettavi affatto e che si svela solo quando, alla fine, rivedi il film del (tuo) montaggio. È l’emozione che colpisce Sammy mentre prova a montare le scene casualmente girate durante il campeggio della famiglia. La realtà dice che vi sono molte verità ed una riguarda tua madre e Bennie (e tuo padre, e te, e le tue sorelle…).

Ho pensato che il film del campeggio sia lo stesso della marinata del college. Come per i sogni puoi scoprire qualcosa che prima non potevi dire perché rimosso o non sapevi affatto che esisteva e ora, la collisione tra scene che puoi permetterti nel montaggio crea una dimensione che non era mai accaduta prima (qui non si tratta di rimozione ma di dimensioni creative…). Il film del college potrebbe sembrare una celebrazione di Logan il quale potrebbe crederci come accade a tutti gli altri. Ma le immagini parlano alla pancia e nella pancia chiedi: “perché l’hai fatto? Cosa volevi dire?”. Non vale che Sammy forse volesse vendicarsi di Logan, ma Sammy nello scontro con Logan nel corridoio deserto della scuola scopre che tutti quei muscoli e quella bellezza patinata non erano né vere né finte, ma il film dice che Logan le portava con sé senza che gli appartenessero. È la stessa dimensione che riguarda Mitzi la quale riusciva a tenere con sé Burt, Bennie e tutta la sua famiglia ed è sicura di poter evitare il conflitto: “puoi credere quello che vuoi, Sammy! Ma tra me e Bennie non c’è mai stato quello che credi. Vi amo tanto che non rovinerò mai la vostra vita…”. Anche per lei accade che la visione del film dice che vi sono oggetti che, non lo sai, ma ti appartengono. Infatti per entrambi – Mitzi e Logan – sarà sancito un segreto: “non lo dirai a nessuno, sarà un segreto solo fra te e me! (Logan) e “Mamma, non lo dirò a papà: è un nostro segreto!”. In entrambi i casi accade che se è stato filmato (sognato), quel segreto non è più un segreto perché è uscito dalla caverna dei sogni e potrà essere “usato” per la tua vita. E’ bella la risposta di Sammy a Logan il quale gli impone il segreto intimo: “sì, ok. Promesso!... a meno che non decida di farci un film!”

Il mio film

Non amo i film in cui la autobiografia sia esplicita e faccio fatica ad entrare in una storia ammiccante e seduttiva. A meno che, come evoca il titolo del film, riesco a farla diventare una fiaba. Cerco i film che mi portino storie mie in modo obliquo e tangenziale dove io possa “vedere ciò che mi riguarda, mentre mi mostrano un’altra storia” (Auster, 1982). Per questo il finale epico mi ha un po’ allontanato (ovvio: è emozionante l’eccitamento del dialogo con Ford/Lynch sugli orizzonti…). Ho continuato a sentire, invece, il dramma ovviamente dei due protagonisti: Sammy e Mitzi. Non mi interessa dove vogliono arrivare (una a Bennie l’altro a Hollywood…) ma come possono diventare, ciascuno, nei loro rispettivi film.

Il film dice che alla fine la tua vita si muove sempre intorno ad una storia, quella che ti riguarda profondamente e Sammy non smetterà di riprendere quella donna che danza leggera come una ballerina che, come nella sala del cinema, cogli solo nel contrasto fra il buio e la luce. Questa volta la lasci andare da Bennie e tu dovrai lasciare tuo padre per abitare finalmente un cinema.

Ho pensato che, finora, attraverso i tuoi film chiedevi che qualcuno arrivasse a salvarti se ti sentivi inseguito da un camionista fantasma, oppure da un terribile e imprevedibile squalo, o bloccato in una guerra o messo in una lista di ebrei o che parlavi una lingua aliena che bisognava tradurre o con cui sintonizzarsi. Il film questa volta non chiede aiuto, ma coglie la bellezza di tua madre che danza per Bennie, ma anche per te e tu finalmente sei Logan che non deve essere salvato, ma che può chiedere: “perché l’hai fatto?”.

 

“i classici sono film che possono essere confusi con la vita”

(Crespi, 2022, 28)

 

Note bibliografiche

Auster P. (1982). L’invenzione della solitudine. Einaudi, Torino.

BionW. R. (1992). Cogitations. (trad. it. Armando, Roma, 1996).

Bollas C. (2000). Isteria, Cortina, Milano, 2001.

Crespi A. (2022). Short Cuts, Laterza, Bari.

 

София plus.google.com/102831918332158008841 EMSIEN-3

Login