Venerdì, Marzo 29, 2024

Memorie dal sottosuolo. (Un’ombra sulla verità (L'Homme de la Cave), di Philippe Le Guay, 2021. Note di Giuseppe Riefolo

“Scusi, ci conosciamo? E se non ci conosciamo perché cazzo avete da guardarmi?”

(Manchester by the Sea, 2016)

  

Il sottosuolo…

Ricordavo Le Guay per la felice e leggera scoperta dei locali del sesto piano, mentre ora lo ritrovo nel progetto di affittare uno scantinato che anche in questo caso ti serve per cambiare la tua vita (“Perché la vende? Una cantina è sempre utile”; “abbiamo già un’altra cantina e vorremmo utilizzare la somma che ci viene da questa vendita per un nuovo appartamento!”). Di questa cantina non conosci la storia traumatica legata ad eventi che per la tua famiglia rappresentano una ferita indicibile. In quel luogo si era insediato un profondo dolore che forse conoscevi, ma di cui non sapevi (Bollas, 1987): uno zio che ci aveva abitato per nascondersi dai tedeschi, ma che poi uscirà da quella cantina solo per andare a morire ad Auschwitz. La cantina è abitata da reminiscences perché ciò che accadeva allora non è possibile recuperarla attraverso recollections (Freud, 1894; Loewald, 1955), ovvero le memorie prima e al posto dei ricordi: “i traumi non sono ricordati come avvenimento, ma come una forma di ‘conoscenza’ di caratteristiche negative di Sé” (Meares, 2009, 444).

… e gli altri piani.

Ho visto il film seguendo contemporaneamente su altri schermi “Le donne del sesto piano” (2011), “Il coraggio” (Colella, 1957) e, soprattutto “L’uomo che venne a cena” (R. Morley, 1941) di cui ha parlato Winnicott (1966, 3). Questi altri schermi forse erano inevitabili se volevi coltivare la speranza che poi alla fine vince la vita. Il film, invece, propone l’impossibilità di integrare il trauma che, nel tentativo necessario di essere accolto nella tua vita, potrà trovare posto solo nella cantina dove stravolgerà la quotidianità del condominio. Accade che tu, per recuperare la continuità irrimediabilmente compromessa, lo respingerai via dando fuoco al suo giaciglio. Il film non riesce a dare posto al signore che viene a cena. È agli antipodi de Le donne del sesto piano. Magari, per questo, alla fine del film Andrea, Annamaria e Daniela, con me al cinema, erano un po’ perplessi e affaticati dal film forse perché ti viene da pensare alla fatica di ricontattare un trauma. Per la prima psicoanalisi – e poi soprattutto il cinema - un trauma era all’origine delle ragioni di un disturbo psicologico: lo rintracciavi in esperienze insostenibili dalla coscienza la quale era costretta a rimuoverli. Poi il processo al posto del contenuto “un’esperienza anteriore al linguaggio alla quale non è mai stato possibile pensare e che, di conseguenza disorganizza la vita psichica” (Botella, 2005, 8) finché diventa chiaro che trauma è una esperienza che sospende – in modo drastico (complesso) o relazionale (cumulativo) – la continuità del senso di Sé.

Simon…

Il trauma per Simon si costruisce attraverso il tentativo di ricontattare un’esperienza del passato senza curarsi del costo implicito in un nuovo contesto. Però, quando quell’esperienza si ripresenta, non è casuale. Un tuo bisogno incontra il bisogno di un altro – che si scopre nella posizione simmetrica alla tua, ovvero un “negazionista”. Il processo parte da un trauma che ti è stato consegnato e che tu abiti felicemente, ma questa volta non andrai al sesto piano dove le governanti spagnole ballano e portano sensualità che non conoscevi, ma farai abitare la tua cantina da Fronzic che tutti evitano e lui che parla senza curarsi di essere ascoltato: “il negazionismo conta al massimo 30 persone in Francia, ma con internet instillano dappertutto il loro veleno”. Anche negli altri tre film contano le azioni e non i contenuti. Simon senza saperlo vende la cantina accettando l’assegno e se accetti l’assegno “quando c’è l’accordo sul bene e sul prezzo la vendita è conclusa! Si o no?” chiede Fronzic alla notaio che non sa cosa rispondere! Nel Le donne del sesto piano non scegli di trasferirti, ma come per Fronzic, sei costretto a farlo perché al secondo piano non c’è più posto per te. Anche ne Il coraggio, se salvi Gennaro Vaccariello che voleva suicidarsi, allora ne sei diventato padre. Nel film citato da Winnicott se accogli un ospite non puoi illuderti che valgano solo le tue regole di ospitalità formale, ma dovrai fare i conti con ciò che realmente l’ospite di porterà e che tu, per definizione, non conosci e dovrai riorganizzare il tuo assetto. Poi accade che, su un altro schermo, compare Francesca che mi racconta il sogno di questa notte alla ripresa dopo la pausa estiva: “ero in una grande sala… forse una festa della mia famiglia, caotica, ma mi faceva piacere. Un mio zio che mi invitava a sedermi con lui in un angolo. È uno zio non particolarmente amato dalla mia famiglia, ma, per quanto bizzarro e problematico, lo trovo simpatico. Da un’altra parte, mio padre solo. Mi sento come paralizzata. Dovrei occuparmi di mio padre, ma non riesco a muovermi!”

 …paralizzato!

Il film che sto vedendo questa volta, a differenza di quelli che vedo sugli altri tre schermi, e a differenza di Francesca che mi parla del processo di ricomposizioni dissociative riproposte drammaticamente dalla ripresa dell’analisi, è più disperato e parla di uno stravolgimento che non si ricompone se non in una deriva paranoica. Mi dice che se metti mano ad una zona traumatica ovviamente tutto sarà sconvolto, ma è una scommessa che la vita (continuamente?) ti impone: “la nostra anima…è sempre disponibile a lanciarsi nell’ignoto, se solo saremo pronti a correr rischio!” (Nevo, 2021, 204). Sarai chiamato necessariamente a fare i conti con l’economia del tuo sistema e, non è detto che tu riesca a riorganizzare l’assetto della tua casa dopo aver incautamente (felicemente, perché speravi in una nuova casa?) invitato un nuovo ospite a casa tua. Non a caso Winnicott vede che il nuovo ospite sia un bambino… Un analista, si chiede sempre: perché ora? Me lo chiedo anche io mentre seguo i tentativi goffi di Simon di mettere a reddito la cantina che pure era lì da tanti anni. Il film ce lo propone subito: perché Simon vorrebbe abitare una nuova casa ancora da acquistare. Fronzic risponde che porterà risorse inattese e sperate, ma porterà anche la propria disperazione di non appartenere alle dinamiche del mondo. Fronzic - il film lo dice fino alla fine - è la persona più sola al mondo, ma non nel senso di solitudine (che, sempre Winnicott, 1965, ci dice che quando accade può essere una buona esperienza…), ma nel senso di non appartenente a nulla e a nessuno. Forse: “perché ora” è l’incontro impossibile fra due tensioni simmetriche: Simon che vuole avere una nuova casa da abitare e Fronzic che rivendica il diritto di un “appartamento suo” all’interno di un condominio che dovrà fare i conti con i propri bisogni. Mentre gli altri tre film e Francesca descrivono un processo dove alla fine “è possibile un nuovo assetto”, il film che sto vedendo inaugura molto presto un percorso caratterizzato da esclusioni piuttosto che integrazioni dei nuovi elementi che pure cercavi. Sta di fatto che non potevi continuare a vivere in una casa dove “abiti da generazioni”, e di cui scopri che non possiedi un atto di proprietà (è tua perché ci vivi da sempre oppure perché ti appartiene?). Scopri che quella cantina è già stata abitata, ma da uno zio che doveva nascondersi per sopravvivere ai nazisti e, quando lascerà per forza la cantina, sarà solo per andare a morire ad Aushwitz. Quello che viene, ora, dalla cantina, sconvolge la tua vita: tua figlia sta diventando donna e non si accontenta più che sia tu a vederla bella nonostante l’apparecchio ai denti che il dentista non vuole toglierle. Ora si vuole scontrare con Gerome da cui prenderà un pugno in faccia. Tua moglie, Hélèn, ti invita a fare attenzione alle parole che usi: “sopravvissuto”, ora, per te che sei ebreo, ha un solo significato che il trauma impone eliminando tutti gli altri che tu vai inutilmente a ribadire attraverso il vocabolario. Nessun avvocato ti può aiutare perché tutti ti chiedono tempo e pazienza, ma il vortice aperto dal trauma non ti permette di avere tempo perché, nel vortice, il tempo è distruzione. Di fronte al trauma che assume un decorso esponenziale ti confronti solo con il registro di Fronzic, ovvero incistare quell’esperienza che pure hai sollevato. Questa volta ciò che emerge dalla cantina non è solo qualcosa di rimosso, ma esperienze che non hai potuto rimuovere perché quando sono accadute tu non avevi possibilità di contenerle ed ora scopri che “il trauma non può essere rappresentato nella memoria in forma narrativa” (Bromberg, 2006, 83). Ho pensato che il film descrive il percorso della paranoia che nello stesso etimo dice di un dolore, non integrabile e che si colloca parallelo e ai margini della tua vita. Potrebbe non esistere, se tu non lo convocassi. Infatti la soluzione è lo scontro fisico: “se tu volessi risolvere il problema veramente, entreresti in quella cantina e spaccheresti la faccia a quel bastardo” gli suggerisce Hélène.

Con Fronzic non è stato possibile parlarci neanche con gli avvocati, però accade che, quando ti scontri con lui fisicamente, finalmente, senti il dolore! Questa sembra essere la sola soluzione che questo percorso permette: se non è possibile integrare, allora finalmente puoi presentarti ferito dove tutto ciò che hai ti si presenta fragile e dove puoi essere accolto non perché decidi da solo della vita degli altri, ma questa volta senti che hai diritto a stare nella tua brutta cantina ed è lì che gli altri verranno ad abbracciarti.

La soluzione della paranoia

Intanto, se le ferite ti riconnettono alla tua vita, l’assenza di Fronzic non è la soluzione perché per te quella cantina non doveva mai essere abitata da qualcuno che poi andrà a morire ad Auschwitz. L’assenza di un elemento non integrato equivale alla presenza persecutoria. Gli analisti sanno che non c’è differenza. In entrambi i casi è qualcosa che può solo esplodere e tu provi all’infinito a cancellarne le tracce. L’unica soluzione che Fronzic ti suggerisce è la resa che vince sul fallimento (Ghent, 2002), ma il film dice che questa volta non è andata così.

“i traumi non sono ricordati come avvenimento, ma come

una forma di ‘conoscenza’ di caratteristiche negative di Sé”

(Meares, 2009, 444)

 

Bibliografia

Bollas C. (1987). L'ombra dell'oggetto Borla, Roma, 1989).

Botella C. (2005). Levels of memory and truth: their interpretations. In Levine H.B. (2022), La psicoanalisi e il non rappresentato. Cornice, sito e processo, Riv di Psicoanal., LXVIII, 2, pp. 529-549.

Bromberg Ph. M. (2006). Destare il sognatore, Cortina, Milano, 2009.

Ghent E. (1990). Masochism, Submission, Surrender—Masochism as a Perversion of Surrender. Contemp. Psychoanal., 26:108-136.

Loewald H.W. (1955). Hypnoid State, Repression, Abreaction and Recollection. J. Amer. Psychoanal. Assn., 3:201-210

Meares R. (2009). La memoria episodica, il trauma e la narrazione del Sé, in Williams R. (a cura di) Trauma e relazioni. Le prospettive scientifiche e cliniche contemporanee, pp. 437-452, Milano, Cortina.

Nevo E. (2021). Le vie dell’Eden, Pozza, Vicenza.

Winnicott D. W. (1965). La capacità di essere solo, in Sviluppo affettivo e ambiente, Armando, Roma, 1970.

Winnicott D. W. (1966). La madre normalmente devota, in I bambini e le loro madri, Cortina, Milano, 1987.

 

Film citati

L’uomo che venne a cena, 1941 (R. Morley)

Il coraggio, 1955 (D. Paolella)

Le donne del sesto piano, 2011 (Ph. Le Guay)

Manchester by the Sea, 2016 (K. Lonergan)

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