Venerdì, Aprile 19, 2024

Giornata internazionale contro l'omolesbobitransfobia, 17 maggio 2023. Intervista a Cristiano Bramani, fondatore di Tango Queer Roma. A cura di Laura Porzio Giusto

17 maggio 2023
Giornata internazionale contro l’omolesbobitransfobia

Laura Porzio Giusto

Il 17 maggio 1990 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) rimuove l’omosessualità dalle malattie mentali.
Dal 2004, in questa data, si celebra ogni anno la Giornata contro l’omofobia, la bifobia, la lesbofobia e la transfobia, riconosciuta dall’Unione Europea e dalle Nazioni
Unite, e originariamente pensata dallo scrittore e attivista LGBTQI+ Louis-Georges Tin.

Nel 2007 l’Unione Europea istituisce ufficialmente la celebrazione di questa Giornata invitando gli Stati membri a dotarsi di un sistema di leggi che superi le discriminazioni
nei confronti della comunità LGBTQI+.

Obiettivo della Giornata è promuovere eventi e riflessioni al fine di sensibilizzare, prevenire, e contrastare l’omolesbobitransfobia.

A questo scopo abbiamo pensato che fosse interessante dare la parola e metterci in ascolto di chi vive l’esperienza di appartenere a una minoranza sessuale e che ha
dato vita a un progetto, il Tango Queer, che si propone come spazio di libertà, riconoscimento e visibilità delle persone LGBTQI+, e di contrasto a stereotipi di
genere e pregiudizi omolesbobitransfobici.

Vi proponiamo quindi un’intervista a Cristiano Bramani, ballerino, maestro di tango, fondatore dell’associazione Tango Queer Roma e ideatore de La Malquerida, la
prima milonga queer stabile europea.


Dopo aver accolto la mia proposta, prima del nostro incontro, Cristiano mi invita ad assistere ad una sua lezione, dove ho la possibilità di vedere dal vivo ciò di cui mi
parlerà, raccogliere impressioni, suggestioni e curiosità che contribuiranno a costruire la trama del nostro dialogo.

Che cos’è il tango queer?

Il tango queer è un tango che non assegna di default il ruolo al genere del ballerino o della ballerina. Nel tango tradizionale l’uomo guida e la donna segue, ossia il tipo di
ruolo è legato al genere. Il tango queer lascia la libertà, al di là del sesso biologico, dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere, di prendere qualsiasi dei due
ruoli all’interno della danza. L’abbattimento di questo automatismo uomo-donna / guido-seguo, ovviamente apre la strada a tantissime possibilità e lascia a chiunque
l’opportunità di afferire al tango. In questa libertà tutti e tutte possono trovare uno spazio anche nel tango, che è il luogo un po’ per antonomasia degli stereotipi di
genere.


Perché?

Perché nel suo sviluppo si è cristallizzato intorno a un’immagine, anche nel gesto, in cui c’è un uomo molto macho che impone la sua volontà e una donna molto femminile che interpreta ed è solamente passiva alla volontà del suo partner. Questo ha a che fare con stereotipi e ruoli di genere. L’abbattimento di questi stereotipi è importante, è un mezzo per arrivare a modificazioni del pensiero e a trasformazioni culturali. Questo può aprire la possibilità a tutti quanti di afferire a delle cose senza per questo avere un giudizio conseguente. Faccio un esempio banale: sono un uomo e mi tingo i capelli di rosa, questo significa che sono gay. No, se questi stereotipi sono abbattuti, il fatto che mi tinga di rosa non significa niente, non dà nessuna indicazione su quello che sono, e non ne consegue un giudizio. Anche un uomo eterosessuale potrebbe tingersi i capelli di rosa. Ora questa è una strada, e probabilmente l’unica percorribile per arrivare a qualcosa altro. Ma io vorrei essere libero di poter raccontare quello che sono anche attraverso il mio modo di manifestarmi, voglio magari poter raccontare che sono gay, non mi disturba l’automatismo “hai i capelli rosa sei gay”, anche se come ho detto è un automatismo figlio di stereotipi, mi disturba il giudizio conseguente e ovviamente la penalizzazione, il bullismo, la negazione dei diritti che a questa cosa consegue. Capisco che l’abbattimento degli stereotipi di genere è forse l’unica strada, però al contempo non mi convince fino in fondo perché questo per me equivale in qualche modo ad una
omologazione, e quindi ad un disconoscimento, della “diversità”. Come a dire: rendiamo tutto neutro in modo da impedire il giudizio-pregiudizio a priori. Sì, certo…
ma è come allargare un sistema per comprendere tutti, dove però le regole restano comunque quelle vecchie. Io vorrei la celebrazione delle differenze, nuovi sistemi,
non l’omologazione e la concessione all’accesso a regole e sistemi già esistenti e definiti da una cultura binaria. E non mi interessa che la rappresentazione che io
faccio di me alla società sia “neutra”, non mi spaventa l’etichetta che posso ricevere dagli altri…però pretendo riconoscimento, rispetto e diritti. Questa è la vera sostanza
a cui dobbiamo tendere.


Trovo molto interessanti queste tue riflessioni. Mi sembrano far riferimento alla storia da “in the closet” a “out of the closet”, quindi al tema della visibilità. Un processo
storico, ancora attuale, che ha tracciato la strada per temi fondamentali di cui parli, riconoscimento, rispetto, diritti. Temi che interessano molto noi psicoanalisti, e in
generale chi si occupa di salute mentale, perché il disconoscimento, l’invisibilità, la mancanza di rispetto e diritti portano a sofferenze significative nelle persone.
La dialettica tra omologazione e visibilità mi ha fatto poi venire in mente le parole di Audre Lorde quando diceva: “ma più di tutto credo che abbiamo paura della visibilità,
senza la quale però non si può veramente vivere” …

Sì, è proprio questo, e secondo me questo è importante. Non a caso ho un posto che si chiama Milonga Queer perché fa parte di una visibilità che per me è importante,
visibilità come celebrazione. Io mi auguro che si arrivi a non aver più bisogno di luoghi, dibattiti, lotte per rivendicare certi diritti, riconoscimento, rispetto, ecc., ma
secondo me ancora non ci siamo, ancora dobbiamo mettere una bandiera, ancora  dobbiamo fare i Pride. È come chi dice “il Pride a che serve, noi mica facciamo
l’etero Pride”. È assurdo.

Non c’è bisogno di un etero Pride …

Esatto, non c’è bisogno di un etero Pride perché tutto quanto, la cultura, la società in cui viviamo è conformata in senso eteronormativo. Noi dobbiamo rivendicare qualche
altra cosa, siamo stati anche uccisi, incarcerati … mi commuovo veramente quando leggo biografie di grandi artisti e scrittori che hanno dovuto dissimulare la loro omosessualità anche nella loro arte. Il primo che mi viene in mente è Morgan Forster che aveva questa necessità di raccontare se stesso e certe cose e l’ha dovuta
veicolare attraverso le parole di personaggi femminili e ha chiesto che il suo libro, in cui parla per la prima volta di una relazione omosessuale, fosse pubblicato postumo. Ma perché? Questi sono grandi geni che avrebbero apportato tantissimo alla nostra cultura e hanno vissuto una vita di frustrazioni e nascondimento. A pensarci mi
sanguina il cuore.

Mettere una bandiera diventa anche una possibilità per far conoscere, perché spesso il pregiudizio si annida nell’ignoranza, nella non conoscenza…

Verissimo, sono molto d’accordo. La familiarità con il tema può abbattere il novanta per cento del pregiudizio.

Nella tua milonga infatti ci sono persone sia omosessuali che eterosessuali, cisgender e trans*. Dunque la visibilità può essere veicolo per la conoscenza, per la familiarità e per quella trasformazione culturale di cui parlavi. Lo consideri anche un gesto politico?

Sì, lo considero un gesto politico il mio, capisco che è poco, che incide poco, perché è un ambito molto ristretto, perché con il tango forse non si fanno le rivoluzioni,
anche se in Argentina le fanno, scendono in piazza e ballano tango per rivendicare i propri diritti e anche per cercare di sollevare il problema per quei Paesi in cui
l’omosessualità è criminalizzata. Però per me anche il mio è un gesto politico. Per questo ci deve essere ancora un luogo che rivendica e che accende una piccola
lucina su una problematica.

Mentre assistevo alla tua lezione mi hanno colpito alcune cose, tra queste l’uso che tu facevi del linguaggio. Intanto nominavi i due ruoli che nel tango tradizionale sono
attribuiti all’uomo e alla donna, in termini di leader e follower. Poi mi hanno colpito alcune parole specifiche: il/la leader propone e il/la follower interpreta. E a un certo
punto, spiegando alcune sequenze, quasi rimproverando un tuo allievo, hai detto: “il/la follower è attivo/a, non esegue!”

Questo è un tema sul quale ancora dibattiamo. Leader e follower vengono usati, come dicevo prima, per separare l’idea del maschile dalla proposta e del femminile
dall’interpretazione, però è comunque una terminologia che a me non piace, ancora stiamo cercando perché nell’idea di leader e follower c’è comunque una volontà
preminente, c’è sempre una gerarchia. Mi piace di più, come dicevi tu, l’idea che c’è qualcuno che propone e l’altro che interpreta perché in qualche modo questo
restituisce anche una parte attiva al/la follower, e alla donna nel tango tradizionale. Questo è fondamentale perché il tango nasce così, in assenza di schemi precostituiti,
dove i due elementi della coppia improvvisano e dove sono responsabili ognuno del proprio ruolo, nessuno dei due ruoli è conseguenza dell’altro. È libertà di entrambi
all’interno del vincolo della coppia e dell’abbraccio, ma il tipo di approccio attivo è lo stesso sia in un ruolo che nell’altro, non c’è qualcuno che decide e qualcuno che
esegue. C’è qualcuno che può proporre e chi segue ha tutta la libertà di interpretare. Per cui è molto difficile trovare dei termini che rappresentino questa idea, perché
come in un normale dialogo linguistico c’è uno che parla, l’altro che ascolta, che interloquisce poi interrompe, poi ripassa la palla. Il tango è questo. In questo rientra
anche la possibilità dello scambio dei ruoli all’interno della stessa danza.

Come a dire le parole contano, veicolano significati e possono dar vita a nuovi significati e nuove prospettive. Parlare di proposta e interpretazione anziché di guida
ed esecuzione cambia il senso, apre altre possibilità …

Credo che il linguaggio aiuti a modificare il pensiero, è un mezzo per cambiare un po’ il pensiero e che, come diceva Nanni Moretti, “Chi parla male pensa male!”. Quindi
riportare una parità nel linguaggio dei due ruoli ristabilisce un’equità. Questo vale anche nel caso di un uomo e di una donna, credo infatti che la questione queer sia
molto legata alla questione femminile. Anche per questo ritengo importante rompere questo stereotipo di dominio/asservimento. O peggio ancora, magari chi si sente
illuminato dice che nel tango l’uomo propone perché la donna abbellisca, relegando quindi la donna a un ruolo decorativo.

Ho letto in un’altra tua intervista che qualcuno ti ha criticato dicendo che questo spazio rischia di ghettizzare le persone queer. Come rispondi a questa critica?

È una cosa che mi fa molto arrabbiare perché mi viene detto “ma io mica scrivo Milonga eterosessuale perché tu devi scrivere Milonga queer? Tu vieni qua fai quello
che vuoi, vieni con il tuo amico e fai quello che vuoi”. Questo può apparire un atteggiamento tollerante e mi domando, intanto, che cosa ci sia da tollerare. Può
sembrare un atteggiamento aperto, ma non lo è. Certo che posso andare in una milonga tradizionale e ballare con il mio amico, che già chiamarlo così, a proposito
dei significati del linguaggio… e nessuno mi dice niente, ma io posso ballare con lui e basta, non ho le stesse possibilità che hanno tutti gli altri, cioè di poter ballare con
chiunque. Io sono relegato a ballare con il “mio amico” e nessuno mi dice niente. Quello che penso è che occorra ristabilire delle regole nelle quali tutti possano essere compresi. Io sono gay ed è una vita che mi alleno ad adeguarmi a condizioni stabilite dalla maggioranza delle persone, che sono eterosessuali e cisgender. Voglio poter andare in un posto dove tutte le persone di qualsiasi orientamento sessuale e identità di genere possano stare comodamente con delle regole che li comprendano. La Milonga queer è proprio questo, non vuole creare un ghetto, vuole creare un luogo dove tutti possano stare. Un ghetto, peraltro, non è creato da chi lo abita, ma è creato da chi ne sta fuori, questo non lo dico io, lo diceva David Leavitt. Ma, soprattutto, quello che alcuni chiamano ghetto per me è un luogo che celebra le differenze, celebra le unicità, una bandiera che sta lì a ricordare “guardate che c’è una cultura che ci ha per troppo tempo criminalizzati, penalizzati o scordati”. La diversità, l’unicità va celebrata anche attraverso luoghi che la accolgono e che creano nuove regole. Questa è l’idea, è una cosa che mi sta molto a cuore.

Un’ultima curiosità. La tua milonga si chiama La Malquerida che significa la detestata…

È stata una piccola provocazione perché quando ho iniziato a ballare tango queer ero visto strambo …

Quindi un’operazione simile a quella che è stata fatta con il termine queer

Sì, ho voluto dire “questo è un posto che potreste criticare, è la non voluta, la non querida, mi va bene così. Il ribaltare un concetto, riprenderselo, dargli un nuovo
significato, come è avvenuto appunto per il termine queer, il recupero di un termine che è stato usato per offendere. Anche questa secondo me è una strada interessante.

Cristiano ed io ci salutiamo. Lo ringrazio di cuore per averci dedicato tempo, reso testimonianza di una sua esperienza, condiviso le sue riflessioni.
La serata a La Malquerida continua con un’esibizione. Ve la proponiamo per dare corpo e rappresentazione alle sue parole.

Cristiano Bramani e Walter Venturini, suo partner di ballo, ballerino e maestro di tango, vicepresidente dell’associazione Tango Queer Roma, co-organizzatore de La
Malquerida

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