Venerdì, Aprile 19, 2024

Emilio Masina, Guidare a fari spenti nella notte per vedere... (2023)

“…E guidare come un pazzo a fari spenti nella notte per vedere se poi è così difficile morire”. Le parole del grande Lucio Battisti mi sono venute in mente pensando alla recente tragica morte di cinque adolescenti in macchina sulla via Nomentana, alle porte di Roma. Una morte ancora più crudele perché all’apparenza, a uno sguardo superficiale e moralistico, frutto di uno dei tanti sabato sera avvelenati dall’alcool, dalla droga o dalla ricerca di sensazioni inebrianti. Erano in sei dentro una piccola macchina omologata per quattro, i corpi abbarbicati gli uni agli altri: una massa che garantiva un senso di calore e intimità ma che, a giudizio degli inquirenti, è stata la causa principale della loro morte.
Quando ci occupiamo degli adolescenti ci accorgiamo che non ci sono solo gli hikikomori che si chiudono nella loro stanza e carcano di controllare le relazioni con il mondo attraverso la protesi del computer. Ci sono anche quelli, e sono molti di più, che la vita se la rischiano: l’incidente, infatti, è la più frequente causa di morte in adolescenza e i ragazzi sono l’unica fascia di età su cui non ha inciso l’introduzione di misure protettive che hanno ridotto in misura notevole la percentuale di decessi nella popolazione generale.
Chi incontra questi ragazzi e ragazze nei consultori, nei pronto soccorso o nei centri di aggregazione giovanile scopre che il senso che attribuiscono alla vita e alla morte non è lo stesso di quello degli adulti, capaci di adottare una visione prospettica dell’esistenza e di procrastinare i propri bisogni nel futuro. I giovani, spesso, barattano la speranza di vivere a lungo (magari in compagnia di passioni tristi) con la possibilità di sperimentare e godere sensazioni eccitanti e vitali: per loro la vita è “adesso”: oggi si è vivi, domani non si sa, perché tutto è dominato dal Caso (o da un qualche Dio invisibile, beffardo e dispettoso, come i Trickster a cui credono le popolazioni primitive).
Potremmo interpretare le corse dei giovani la notte a folle velocità, oppure l’impegno negli sport estremi come il balconing (saltare di balcone in balcone per dimostrare la propria destrezza) come una sorta di condotta ordalica, un bisogno disperato di riuscire a imprimere il proprio segno sul mondo, un segno che potesse rassicurarli sul proprio diritto di vivere?
Gli psicoanalisti che studiano l’area del rischio adolescenziale ci dicono che vi è un continuum tra gli estremi dell’incidente casuale e l’incidente come conseguenza di un’azione autolesiva deliberata; e sottolineano la presenza nei giovani “sensation seeker” di massicci meccanismi difensivi come la negazione e l’intellettualizzazione: in questa prospettiva, l’incidente rappresenterebbe un agito di tensioni non elaborabili attraverso il pensiero e si collocherebbe nell’area di non integrazione tra vita affettiva e capacità cognitive.
È dunque cruciale che gli adulti, e fra questi gli psicoanalisti, si assumano una responsabilità, personale e collettiva, nei confronti dei giovani che troppo spesso vengono lasciati soli, inventino modalità per raggiungerli là dove essi si incontrano spontaneamente – muretti e piazze, rave e centri sociali, gruppi e associazioni, scuole – proponendosi come compagni adulti competenti per aprire un dialogo sul senso della vita. Senza porsi in un atteggiamento moralistico, magari travestito da intenzione diagnostica.
Come ci ricorda Jeammet, il rischio in adolescenza non è solo fisiologico ma necessario; mentre Erikson, più di trent’anni fa, evocava l’immagine del trapezista che deve lanciarsi nel vuoto per raggiungere un nuovo appoggio.
Dobbiamo, cioè, riuscire a metterci nei panni di chi deve staccarsi da ciò che è noto per avventurarsi verso un mal definibile futuro, magari imparando ad attingere dalla nostra adolescenza: chi non ha dovuto rischiare figuracce o addirittura momenti di dolorosa depressione per conquistare un/una partner o per imparare a sopportarne la separazione? Chi non ha dovuto farsi forza per intraprendere per la prima volta un viaggio lontano dalla famiglia o per andare a vivere da solo? Chi non ha rischiato sanzioni, anche gravi, per manifestare un dissenso politico, oppure per opporsi a un genitore o a un professore autoritario? Il tragico incidente sulla Nomentana, l’ultimo di una serie che sta inesorabilmente allungandosi, ci ricorda la necessità di scendere in campo, magari fuori dal proprio studio professionale, per capire di volta in volta, soggetto per soggetto, quando il rischio assunto dagli adolescenti è un’indebita esposizione al pericolo e quando, al contrario, un’espressione di intraprendenza.

 

 

София plus.google.com/102831918332158008841 EMSIEN-3

Login