Lunedì, Aprile 29, 2024

Malde Vigneri, 6 maggio 1856 Nascita di Sigmund Freud. 6 maggio 2023 Frammenti di memorie private in occasione della ricorrenza.

Il 6 maggio 1856 nasceva a Freiberg (Příbor) Sigmund Freud, padre fondatore della psicoanalisi.

Per questa ricorrenza vi proponiamo una suggestiva e originale riflessione di Malde Vigneri che ci piace introdurre con le sue stesse parole, riferite all'interno di uno scambio tra di noi seguito al nostro invito: "L'idea è di immaginarlo come una persona cara, di famiglia, di cui serbiamo un ricordo intimo e affettuoso…un uomo che è stato padre, marito, figlio, ma della cui grandezza abbiamo usufruito (come nani sulle spalle di giganti, come diceva di Chartres) e la cui immagine, anche per questo, è riposta fra i cimeli più importanti…"

Laura Porzio Giusto e Agostina Toscano

 

 

Non so se a voi capiti di pensare ad un autore che amate molto, le cui opere avete studiato e che ritenete abbia segnato una svolta letteraria e culturale, come fosse figura familiare nella vostra mente, come se in qualche modo lo aveste conosciuto direttamente e ora di lui morto vi restasse nel ricordo, un’immagine, una sensazione personale, una privata conoscenza.

Mi sovviene di pensare, nel momento in cui accetto la gentile proposta di Laura Porzio Giusto di onorare con una breve pagina la ricorrenza della nascita di Freud (Forse sulle pulsioni? Lei mi suggerisce), che sì, certamente tutti i suoi scritti lo elevano ad una imperitura grandezza e ne testimoniano la gloria e la genialità, ma che forse ciò che di lui più insiste dentro di me è una sorta di rimembranza, una specie di rappresentazione della figura di uomo oltre che di scienziato: una memoria intima, quasi parentale per quanto immaginifica e irreale.

In un delizioso libretto sulla malinconia di una filiazione tradita, Francesco Orlando ricorda il suo mentore ormai deceduto presentandolo in una veste composita, con accenti affettivi, ricercando nella sua grande opera ciò che di personale disvelava “l’amaro e stanco principe”. Avrete capito che parlo di uno dei più famosi dei miei connazionali, Giuseppe Tomasi e del suo “figlio spurio” che mai poté rassegnarsi alla sua sorte di pupillo abiurato. Non smise mai quest’ultimo di studiare “da distanze diverse” gli scritti del suo maestro, forse alla ricerca di un segno che di lui attestasse orme di quando ancora era vivo.

Potrei confessarvi, adesso che la mia vita è quasi tutta dietro di me, che mi sono sempre sentita in un simile modo nei riguardi di colui che fu il padre della psicoanalisi? È forse proprio questo profondo senso di affanno nel riuscire a trarre competenza ed efficacia dai suoi insegnamenti senza essere stata tuttavia mai esonerata dal patema dell’ignoto e dell’irraggiungibile che me lo mantengono nella mente e nel cuore presente ed attuale: un amico invisibile che accompagna i miei sempre difficili passi nella Psicoanalisi. Da un lato il gigante che mi porta sulle spalle consentendomi di vedere più lontano non per l’acutezza della mia vista quanto piuttosto per la sua grandezza, dall’altro la segreta lezione da lui impartitami: che forse nonostante tutto non c’è salvezza. In fondo quello che gli devo è che ha soffuso il cammino di una particolare luce, abbastanza vivida da rischiarare la via della conoscenza ma non sufficiente a dipanare i chiaroscuri, luce ed ombre tuttavia in intima connessione. Ricordo dunque Freud, che visse nelle generazioni a me precedenti ma che pure è come se avessi direttamente incontrato, per i suoi preziosissimi e luminosi scritti ma anche, nella mia memoria più intima, per la persona che fu, per le sue contrapposizioni: per la sua forza ma anche per quelle sue debolezze che me lo rendono più che mai autentico, e vivo. Mi accorgo di fantasticare sulla sua vita, lo immagino figlio, marito, padre, ne immagino gli affetti ma anche le abitudini; immagino i giorni, i viaggi, gli anni, come tasselli di una storia che in qualche modo mi appartiene e mi ha generato. Penso a lui come un “principe solitario”, per riprendere gli accenti nostalgici di Francesco Orlando, un leader della scienza in qualche modo reso vagamente malinconico forse in ragione dei suoi contrasti: un Maestro e insieme l’uomo schivo, riservato e a tratti fortemente contraddittorio che ho sempre immaginato. Ecco, forse sono questi i tratti che più lo caratterizzano nella mia mente: la compresenza di opposti a tratti persino inconciliabili. Li ritrovo, con un voyeurismo alla Sainte-Beuve, qualche volta persino nei suoi scritti. Un esempio? Mi ha sempre intenerito il modo in cui nel ‘20, excusatio non petita, nega qualsiasi connessione fra la morte della figlia Sophie e il contenuto di “Al di là del principio di piacere”. Nel protestare vivacemente a chi sosteneva tale tesi definendola “verosimile” ma non “vera”, assegnò di fatto ad altre “verosimiglianze”, la guerra appena finita, la perdita dell’amato nipote caduto in battaglia, il dolorosissimo lutto della figlia, la più significativa cornice alla sua “pulsione di morte”. Così come mi ha colpito l’emergere dei suoi più accesi moti dell’animo, quando nei Tre Saggi si scaglia contro chi pure qualche tempo prima aveva sentito amico, “Si rinuncia a tutti i risultati dell’osservazione psicoanalitica raggiunti fino ad oggi” scrive “se seguendo C.G. Jung si fa volatizzare il concetto stesso di libido…”, arrivando a dire del collega, con la durezza che sapeva trovare verso chi riteneva l’avesse deluso, che “perseguisse senza scrupoli i propri personali interessi”.

Non è che io intenda proprio accedere ad una mera ricostruzione storiografica, ma ripercorro le sue opere chiedendomi dove fosse mentre le scriveva, in che momento della sua esistenza, quali fossero i suoi sentimenti. Penso a quei 15 giorni caldi ed estivi in cui in un fervore creativo quasi frenetico portò a termine I tre saggi, e penso ad un'altra estate, 10 anni dopo, quando nelle stanze dell’Hotel de France un po' buie ed austere come è d’uso nella mia terra, diede mano ad un altro dei suoi capolavori, il caso Schreber. Conosco gli scritti quasi a memoria per averli letti e studiati tante volte, ma esco per così dire dalle pagine per seguirlo per le strade di Palermo sudato e accaldato, ad asciugarsi di continuo la fronte con un fazzoletto, un po' curvo per i crampi allo stomaco, vagamente infastidito dalle richieste del suo accompagnatore, un timido e sprovveduto Ferenczi con cui da lì a poco arriverà quasi a litigare. Ed è come se intravedessi in un testo traslucido il giudice di Dresda e il dottor Flechsig, che furono vivi in un’altra era, il Maestro viennese e il giovane ungherese alle prese con le loro umane emozioni nella mia città, e Groddeck che ne testimoniò l’epilogo, resi tutti insieme attuali e presenti, in un segreto legame al di là del tempo compresa me oggi, come personaggi su un palcoscenico.

O ancora lo immagino fuori dal contesto professionale in procinto di prendere un treno, mentre in piedi sulla banchina circondato dai bagagli freme con la sua solita apprensione attendendo il compagno di viaggio, la moglie, un figlio, il collega, alle prese con le annuali vacanze estive. Ne ricordo le testimonianze talora meramente descrittive, talora nostalgiche e affettuose. Mio caro tesoro, scrive nel ‘98 da Landeck a Martha…ci sarà ancora molto da raccontare…abbiamo visto un gran mucchio di belle cose… Viaggi spesso collegati ai suoi lavori, come il caso Schreber in Sicilia, o L’interpretazione dei sogni pubblicato alcuni mesi prima di uno dei molti arrivi a Lavarone. Viaggi sempre pieni dei suoi contrasti: la sua ossessione per Roma e le sue smanie di fuga dalla deprecata Vienna; la sua didascalica identificazione con Annibale il Conquistatore e il suo deliquio sull’Acropoli… e i lapsus numerosi e prolifici, gustose esemplificazioni che trovo nelle pagine della Psicopatologia della vita quotidiana: come l’errore di aver perso il treno che gli consente di restare in Olanda, potendo così realizzare il sogno di vedere i quadri di Rembrandt. Li continuò i suoi viaggi finché la malattia glielo consentì. “Miei cari”, scrive da Roma ai familiari agli esordi del tumore, “Sono i nostri ultimi giorni. Per facilitare il commiato oggi c’è di nuovo lo scirocco e le razioni alla mandibola che mi affliggono più che mai...”

E nel pensarlo così, prima giovane e intraprendente, poi uomo di mezza età rigoroso ma gentile e disponibile, e infine anziano, malato e pur tollerante, ritrovo proprio l’immagine che conservo di lui, come di un parente che fu una volta importante e che è ricordato dalla famiglia con affettuoso orgoglio. Come lo ricorda dopo la sua morte, Margarethe Walter una delle sue pazienti. Nelle sue parole lo vedo infine al lavoro, professionista attento e accogliente fino all’ultimo. “Aveva ottant’anni, io diciotto. Mi apparve nobile e tanto vecchio. Indossava un vestito grigio. Camminava leggermente curvo, eppure non avrei mai pensato che avesse il cancro, come venni a sapere più tardi.” “I suoi occhi erano attentissimi” continua a raccontare Margarethe “Prendemmo posto, io mi sedetti su di una poltroncina, davanti a un sofà coperto da un drappo. Era una stanza piena di libri e ornamenti. Mi sentii subito a mio agio.”

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Bibliografia

Clark R., Freud, Vita e opere del padre della psicoanalisi, Ed. Rizzoli, Milano, 1983.

Eisenstein F. A. S., Grotjahn Martin, (a cura di), Pionieri della psicoanalisi, Feltrinelli Ed., Milano, 1971.

- Freud S., Psicopatologia della vita quotidiana, O.S.F. vol.4, Boringhieri, Torino, 1901.

- Freud S., Tre saggi sulla teoria sessuale, O.S.F., vol.4, Boringhieri, Torino, 1905.

- Freud S., Per la storia del movimento psicoanalitico, O.S.F., vol.7, Boringhieri, Torino, 1914.

- Freud S., Al di là del principio di piacere, O.S. F., vol.9, Boringhieri, Torino, 1920.

- Freud S., Il nostro cuore volge al sud. Lettere di viaggio. Soprattutto dall’Italia (1895-1923), Ed. Bompiani, Milano, 2003.

- Freud S., Ferenczi S., Lettere, Vol. 2, 1914-1919, Raffaello Cortina Ed., Milano, 1998.

- Jones E. Vita e opere di Sigmund Freud Il Saggiatore, Milano, 1973.

- Orlando F Ricordo di Lampedusa Hanry Beyle, 2022

- Rodrigué E., Freud. Il secolo della Psicoanalisi, Ed. Borla, Roma, 2010.

- Winnicott D., Lettere, Raffaello Cortina Ed., Milan, 1988.

 

 

 

 

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