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Riefolo G., Nel mezzo di cammin di nostra vita. Riconfigurazioni edipiche nell’età di mezzo. 2013

 

 

“…dall’età dell’adolescenza quel concetto quasi impersonale

degli anni non gli era mai apparso come una realtà per sé stante,

né mai ancora gli era sorto in mente il pensiero: c’è qualcosa

che tu non puoi più fare” (Musil, 697)

Proposta

Proverò a suggerire come i cambiamenti psicologici significativi dell’età dimezzo siano immediatamente connessi all’evidenza di progressiva e lenta verifica che il soggetto fa di ferite nel corpo: considero ciò una configurazione elementare di base che, ad un certo punto del ciclo vitale, costringe il soggetto a riconfigurazioni del Sé nella posizione edipica in cui egli non può più sostenere la conflittualità col padre in senso simmetrico, ma è costretto ad identificarsi con il padre ferito. Ciò, sul piano terapeutico, può suggerire un’importante posizione dell’analista all’interno del campo intersoggettivo in cui si compie la cura.

Ovviamente considero l’edipo non come una fase, ma come una posizione sempre attiva durante tutto l’arco della vita: “… il complesso di edipo è espresso con uguale o maggior vigore a 70 come a 20 anni di età e … il funzionamento mentale nelle persone anziane non è fondamentalmente differente da quello delle persone più giovani… la tecnica è la stessa” (Quinodoz, 2009, 774).

 

Sintetizzo i punti centrali della mia proposta:

  1. la centralità del corpo come motore delle sollecitazioni di base alle trasformazioni psicologiche dell’età di mezzo; il contesto esterno è il primo livello in cui il corpo non viene più confermato nella sua potenza e il soggetto, al fine di mantenere una continuità del Sé, inizia a negoziare stati del Sé con i segnali che vengono dall’esterno, ovvero dal suo contesto relazionale;
  2. pongo l’accento sulle caratteristiche dello stato del corpo nel qui-ed-ora dell’esperienza del soggetto prima che sul tema dell’invecchiamento o della morte;
  3. l’equazione sul piano psicologico del corpo ferito con nuove configurazioni del genitore edipico che può essere integrato in quanto tale nel Sé;
  4. la necessità di declinare, ora, la relazione edipica in un dialogo in cui il soggetto sa riconoscere ed è interessato alle buone ragioni del genitore ferito;
  5. i disturbi che possiamo chiamare “dell’età di mezzo”, emergono a seguito di un blocco del       fisiologico Processo Dissociativo connesso alle evoluzioni naturali del corpo;
  6. la terapia si concentra nel sostenere il movimento di riformulazioni edipiche;
  7. il tema della cura analitica di pazienti dell’età di mezzo è importante, a mio parere, perché concerne significativi elementi controtransferali degli analisti i quali, diventano tali soprattutto in un’età in cui queste configurazioni dell’età di mezzo si impongono nella loro esperienza.

Prima tesi (principale): Il Corpo

Propongo che le configurazioni edipiche del Sé siano chiamate a rimodularsi a seguito della evidenza sostenuta inderogabilmente dal corpo di una perdita discreta e continua di potenza: “cominci… a sentire che non hai più quella forza bruta e dirompente” (Roth, 2009, 30). Non mi riferisco ad eventi patologici, ma, nella linea di Damasio (1994; 1999), alla naturale partecipazione del corpo alla continua strutturazione del Sé rappresentato come “una collezione di configurazioni neurali non coscienti che rappresentano la parte dell’organismo che chiamiamo corpo” (Damasio, 1999, 166). Sicuramente, nel trattamento di pazienti dell’età di mezzo, vi è la riemergenza necessaria ed inevitabile di fasi o situazioni traumatiche il cui peso viene ad essere evidenziato proprio dal passaggio in una particolare fase del ciclo vitale, ma questo, ritengo, non sia specifico. Ciò che è centrale, non traumatico, ed inevitabile, è il prevalere di configurazioni del tipo “età di mezzo” che gradualmente vengono a definire il tono di fondo degli stati del Sé, continuamente organizzando la continuità del Sé secondo il loro registro. La parabola della perdita, discreta e continua, di potenza – che incide immediatamente sulla coscienza di ciascuno di noi - ha inizio molto prima che sia accettata dalla consapevolezza e si inscrive nel dialogo inconscio o preconscio che si organizza soprattutto, nelle prime fasi, attraverso il processo di dissociazioni difensive. Nelle fasi iniziali della progressione verso l’età di mezzo sono fisiologiche le comuni soluzioni di sufficiente negazione all’emergere e all’avanzare di tale processo: più attenzione al proprio corpo; diete, fitness; maggiori attenzioni per il relax… Il campo patologico si organizza poi, gradualmente, nel blocco del Processo Dissociativo (Bromberg, 2006; Riefolo, 2011: 2012). Contemporaneamente a tali “fisiologiche” risposte dissociative difensive, questo processo di perdita di potenza fisica riesce a coniugarsi con l’evidenza di dipendenza delle figure genitoriali. In questo percorso graduale e fisiologico, che all’inizio si sostiene sulla prevalenza di soluzioni dissociative difensive (negazione, rimozione,…) e che, gradualmente lascia spazio alla inefficacia di queste soluzioni, l’evento di vere e proprie patologie fisiche è nella linea di semplice accelerazione del processo. Alcuni di questi pazienti chiedono l’analisi, ad esempio dopo una malattia che incide sulle loro performances o dopo un intervento chirurgico, o la perdita di un parente o dei genitori. Si tratta di eventi che possono avere, per se stessi, tratti anche gravemente “traumatici”, ma alcune volte sono patologici semplicemente perché, insediandosi nel progetto di riconfigurazioni edipiche della mezz’età, ne accelerano in modo insostenibile il processo. In tali casi questi pazienti sono traumatizzati dall’accelerazione del processo, prima che dall’evento e, pertanto, formalmente chiedono il superamento del trauma, mentre sostanzialmente chiedono di essere aiutati a recuperare il giusto passo perché si ripristini il fisiologico movimento di riconfigurazioni edipiche dell’età di mezzo.

Cristiano

“se non mi tengo i pensieri continuo a pensare e a parlare con le mille persone e le mille situazioni che mi rincorrono durante la giornata… non riesco a staccare… Sì… giovedì, comunque sono andato a Istanbul.. ho staccato… La casa in cui i nostri amici ci ospitavano era bellissima, ma l'ho vista con occhi diversi dalle altre volte: mi soffermavo a cogliere le rughe alle pareti… il colore invecchiato… un po' come mi capita per la casa di famiglia a Sabaudia dove sono colpito soprattutto dalle rughe…”

Vuole dire crepe…

“Sì… certo!… A Istanbul, questa volta c'era qualcosa di insolito e di instabile che mi riguardava. Ho avuto l’immagine che per conoscere bene la zona del mercato bisognava guardarla dall'alto… da un pallone aerostatico e da lì immaginavo si vedesse una persona come in un labirinto… ma il labirinto del topo che deve trovare il formaggio. Il quartiere del mercato era grande e bellissimo, ma vedevo la gente del posto che si incontrava perché quella era la loro vita… non era per i turisti… poi montagne di bambini…”

Il suo dialogo con me le permette di chiedersi che cosa io veda di lei: era la sua sensazione iniziale in cui non sapeva staccarsi da pensieri che la rincorrevano come le montagne di bambini e lei non riusciva a tenerli. A Istanbul deve aver sentito che dal mio vertice quei bambini o i suoi pensieri incalzanti si potessero contenere…

“L'elemento veramente incredibile sono i bambini… montagne di bambini che in una situazione economica anche precaria, giocano per strada, si azzuffano e sembrano vivere bene… i loro giochi sono quelli che facevamo noi da bambini… nessuna differenza: io ero bravo!|… evidentemente quel sistema, seppur povero e precario, tiene… ma bisogna conoscerli da vicino… non ci si può avvicinare da turisti”

Seconda tesi (principale): Edipo

La seconda tesi è stata già introdotta. Ovvero che, a seguito dell’aumento progressivo e sempre meno rinviabile di configurazioni del Sé in cui prevale il registro del declino del corpo, il soggetto, al fine di mantenere una continuità dell’esperienza del Sé, è costretto a riorganizzare le proprie posizioni edipiche. Intendo, per “posizione edipica”, quella posizione sempre presente e dinamica nell’esperienza del soggetto che informa sia stati affettivi che scelte concrete nella vita di ciascuno, dove Edipo è “…il passaggio da una situazione di linearità ad una situazione di triangolarità (complessità). Il passaggio… sarebbe in relazione con la capacità di tollerare lo spazio di differimento che introduce alla pensabilità e alla simbolizzazione” (De Simone, 2002, cit. in Ferro, 2007, 84). Soprattutto mi colloco nella linea di Ogden che propone “tre diverse modalità generatrici dell’esperienza”. La posizione edipica ritengo informi e determini ciascuna delle tre posizioni descritte da Ogden, ma in processi particolari come quello dell’età di mezzo, per la rilevanza che, a mio parere, assume, potrebbe essere individuata come posizione a se stante, con le proprie caratteristiche di “permettere e generare esperienza”: “una parte importante della crisi di mezza età è che l'uomo è definitivamente costretto a diventare “suo padre”, proprio come una donna a diventare “sua madre” (…). Una persona di mezza età, che non sia stato in grado di diventare “suo padre” o “sua madre”, non è socialmente capace di vivere ruoli di padre o madre all'interno della famiglia e nella vita pubblica. Queste persone in qualche modo appaiono incompiuti, se li si osserva come si comportano in quanto figlie o figli” (Schalin, 1985, 127-128). Le figure genitoriali partecipano, ora, della stessa progressione della parabola del corpo del soggetto/figlio: si impongono necessariamente come limitate e il soggetto può dare senso e funzione all’evidenza della perdita della potenza fisica proprio cogliendo specularità e dialogo con le figure genitoriali poiché “l’essere visti nella mente dell’altro si modifica continuamente nel corso della vita” (Bromberg, 2011, 58).

Aldo.

(La scorsa seduta all’inizio, mi aveva comunicato di non poter venire per la seduta successiva perché impegnato in ufficio, ma alla fine propone che prenderà un permesso e verrà). “Ho fatto incubi in cui non ero capace di fare operazioni che normalmente so fare e il mio direttore mi osservava in silenzio. Una collega sottolineava che forse non stavo facendo il massimo”. Associa che, in realtà in questa fase si sente attaccato dai colleghi al lavoro e questo lo blocca...

Suggerisco che può essere attaccato dalla collega, ma la collega non attaccherebbe il suo direttore…

“Infatti! E’ prioritario che oggi io cerchi di parlare col direttore!”

Sottolineo che oggi ha scelto di incontrare me: il problema non è se essere o meno bravi, ma che senta di poter essere sostenuto da un padre capace!

Per Jaques (1965) la Commedia rappresenterebbe “il quadro iniziale di una lucida, perfetta descrizione della crisi emotiva di mezza età” (id., 30). Ciò non toglie che questo stato del Sé di Dante non coincida, o non sia sostenuto e scatenato anche da eventi della vita concreta quali l’esilio e la colpa. Voglio dire che, in un altro periodo questi eventi della vita probabilmente non avrebbero avuto l’esito di motivare Dante alla rielaborazione depressiva della sua posizione edipica. Infatti nella struttura della Commedia, Dante recupera la posizione filiale con pieno riconoscimento della funzione del padre che lo guida in un percorso eccitante e sconosciuto, mentre fino a quel momento si era trovato in condizioni di isolamento e colpa persecutoria. Non so se per Dante sia l’incontro con la morte, ma ritengo sia soprattutto l’incontro con un padre che lo conduce da Beatrice, fino a quel momento inaccessibile. E’ il passaggio continuo da una posizione narcisistica ad una di oggetti narcisistici, possibile attraverso una rielaborazione della relazione edipica che ora – per contingenze fisiche – riguardano il padre con cui sono possibili identificazioni prima precluse. In questo processo fisiologico, le soluzioni S-P, Depressive e C-A potrebbero porsi come registri di soluzioni patologiche nella misura in cui il soggetto non assecondi il graduale processo che inscrive nel Sé l’evidenza della decadenza del corpo e le relative riconfigurazioni edipiche. Per Kernberg (1980a) le riconfigurazioni edipiche sono necessarie nel fisiologico processo del narcisismo normale durante l’età di mezzo. Si tratta di un “… modo particolare di ricreare più volte un ciclo di esperienza personale che fornisce significato e continuità, ma riattiva anche vecchi conflitti , e innesca una rinnovata ricerca della loro risoluzione” (id., 63). Tali riconfigurazioni edipiche attengono alla necessità di accettare “… i limiti del proprio passato e specialmente di quel che possono realizzare nel futuro… Per accettare questi limiti occorre saper padroneggiare i compiti edipici – vale a dire superare la rivalità edipica – e quelli preedipici, vale a dire superare l’invidia preedipica… La normale risoluzione di questo penoso processo di apprendimento aumenta la capacità di identificarsi con ciò che creano gli altri, di sperimentare godimento e gratitudine anziché gelosia, vergogna, invidia” (Kernberg, 1980a, 62-63). I “limiti” per Kernberg non riguardano immediatamente il corpo, ma, già dell’ordine psicologico, riguardano “l’esperienza acquisita nel corso del tempo, di cicli ripetitivi di relazioni oggettuali significative riattivate” (id., 64).

Nell’ricordo sull’Acropoli, Freud introduce il tema dell’Edipo rispetto al padre, ma lo propone come elemento di disturbo della coscienza, di derealizzazione come se l’incontro edipico fosse stato fino a quel momento rimosso con successo e l’evento del viaggio ad Atene lo riproponesse nella sua forma classica, immodificato nel tempo. Freud, però, nella lettera a Romain Rolland riconosce come “il ricordo dell'esperienza sull’Acropoli mi riaffiori così sovente, da quando io stesso sono diventato vecchio” (Freud, 1936, 481). Suggerisco che il ricordo riaffiori “così sovente” a seguito della riformulazione della relazione edipica col padre che ora propone identificazioni mentre Freud, nel testo, è in dialogo proprio con una persona più giovane a cui chiede “di accordare ai dati della mia vita personale un’attenzione maggiore di quella che meriterebbero” (id., 473).

Giovanni.

Mi descrive la nuova azienda in cui lavora (Io mi trovo a ricordare una situazione simile, di un reparto con gravi difficoltà di comunicazione con l’ospedale centrale in cui io ho lavorato anni addietro). Comunica che il padre è stato a trovarlo in azienda e gli ha fatto piacere girare col padre per gli uffici dove lui, quando c’è il padre, viene riconosciuto come “il figlio di…!”. Un tempo lo infastidiva, ma ora non gli dispiace: anche se può essere … un limite, può ricavarne un’utilità! Ha dimenticato di dirmi che lo scorso sabato è stato il suo compleanno! Si è trovato a pensare molto al verso di Dante “nel mezzo di cammin di nostra vita…”: ha pensato che può essere soddisfatto della prima parte della sua vita e la seconda parte si annuncia buona. Si chiede, però quando smetterà di sentirsi figlio… quando si diventa adulti?

Sottolineo che, paradossalmente, proprio in questa fase dell’analisi sente che incontra spesso suo padre che, nella sua infanzia ricorda era sempre assente. Forse in questa fase può presentare al padre situazioni che sente sono interessanti per lui, mentre fino a poco tempo fa doveva continuamente temere che arrivasse il padre assente e lo scoprisse in situazioni negative. Forse, come succede con me, la presenza del padre è necessaria per presentarsi non più da soli in situazioni nuove…

Le riconfigurazioni edipiche dell’età di mezzo sono variegate e complesse, concernono anche il mantenimento in senso ribaltato dell’antica conflittualità con le figure genitoriali[2]: “stranamente tendiamo a trascurare che la leggenda di Edipo comincia con i tentativi di Laio di uccidere Edipo, un tema che… emerge anche nell’ordine impartito da Dio ad Abramo di uccidere il figlio Isacco… L’odio per ciò che è nuovo coincide naturalmente con l’odio verso i giovani” (Kernberg, 1980a, 68-69). Tali configurazioni dell’età di mezzo si organizzano secondo i miti di Ulisse, di Laio, di Abramo. Il mito di Ulisse sembra utile a rappresentare le configurazioni del Sé in cui vi è la fatica di potersi insediare in una nuova posizione sessuale accettando che il tempo è passato, i figli sono cresciuti e Argo, dopo averci riconosciuto, muore. La vittoria sui Proci sembra essere la soluzione maniacale proprio rispetto all’evidenza della forza che, in modo persecutorio, viene a mancare e ti chiede di lasciare il posto a configurazioni in cui la forza ci riguarda sempre meno. Najman (1994) suggerisce che a partire dalla prima comparsa del mito di Ulisse, nel passo dell’ Interpretazione dei sogni, in cui si parla dei “sogni di nudità e di esibizione”, oltre che l’esplosione della sessualità infantile si tratta “dei conflitti di un padre che ha a che fare col pudore in presenza delle figlie che crescono” (id., 19). Anzieu (1988, 23) segnala come Freud usi per la prima volta pubblicamente il termine “psicoanalisi” nel 1896 quando a 40 anni, è appena entrato nella crisi dell’età di mezzo e negli anni immediatamente successivi scriverà sulla sessualità infantile e il complesso di Edipo. Ulisse, nelle riconfigurazioni edipiche dell’età di mezzo, si declina piuttosto nell’Edipo a Colono che, almeno secondo alcuni autori, sarebbe molto connesso alla individuazione del mito di Edipo da parte di Freud non solo come elemento esplicativo delle prime fasi della vita psichica infantile, quanto anche – e soprattutto in relazione a particolari eventi della biografia dello stesso Freud - in chiave di riconfigurazione edipica dell’età di mezzo: “alla fine di Edipo a Colono, il distrutto Edipo muore, mentre alla fine dell’Odissea, Ulisse è vigorosamente vivo… In Edipo a Colono, Edipo maledice i suoi figli; nell’Odissea, Ulisse recupera un ottimo rapporto col figlio Telemaco” (Najman, 1994, 25).

Terza tesi (complementare): configurazioni

Un altro punto che tengo a ribadire, parte dalla fatica che di solito faccio, ad accettare le tesi psicoanalitiche che fanno riferimento a “fasi di età” per quanto, ovviamente è evidente che alcuni fenomeni evolutivi siano riferibili e particolarmente evidenti in precise fasce di età. Suggerisco che, sul piano del metodo, sia più corretto ed utile al lavoro analitico, sospendere la consapevolezza della “fase” concentrandosi piuttosto sulla richiesta di sostegno al senso di continuità che i soggetti chiedono di poter stabilire rispetto all’evidenza del corpo in evoluzione/declino. Riferire alcuni processi evolutivi o patologici a più o meno “fasce/fasi di età” ha il grave inconveniente, a mio parere di cristallizzare la dinamicità e le potenzialità di un processo in una descrizione “quadro” con il grave (automatico) inconveniente che è facile e consolatorio ritrovarsi a rincorrere l’individuazione dei quadri che spieghino gli eventi psicologici. Sono più incline a definire i dispositivi che sono attivi in tali eventuali “fasi” e, pertanto mi trovo libero dal verificare che tali dispositivi possano essere attivi in fasce di età larghe e, comunque, le fasi di età non mi costringono a fare considerazioni legate al registro cronologico. Preferisco piuttosto considerare attive configurazioni elementari del Sé che, a vario titolo di quantità e qualità, organizzano la complessità della nostra infinitamente mobile struttura del Sé.

Quarta tesi (complementare): La funzione del concetto di morte.

Infine un ultimo rilievo. Nella nostra rappresentazione cogliamo l’età di mezzo come in continuità con l’evento della morte che in questa fase si presenterebbe come evento reale di cui il soggetto deve occuparsi. E’ vero, infatti che se da giovani il pensiero della morte non ci tocca, col procedere degli anni e col prevalere dei fenomeni tipici dell’età di mezzo, l’evento della morte ci tocca sempre più. Dobbiamo però, riconoscere che si tratta di un processo dall’andamento fasico: ha accelerazioni in particolari momenti della vita, particolari eventi legati a malattie fisiche indipendentemente dalla gravità oggettiva e in relazione ad eventi quali la perdita di persone care ecc… Proporrei che, sul piano dell’analisi dei fenomeni psicologici, questa relazione che lega in progressione l’età di mezzo verso l’evento della morte non ci aiuta, per quanto sul piano logico e descrittivo essa possa essere ovvia.

Alcune considerazioni conclusive.

Le riconfigurazioni edipiche dell’età di mezzo, sono elementi – utili sul piano terapeutico – che permettono un avanzamento e un rinnovamento creativo del proprio orizzonte di vita. Si tratta della fase in cui “i risultati si vedono e si può misurare con soddisfazione il proprio valore” (Thompson, 1964, 150). Nella realtà, è sempre più possibile che dopo il ritiro ufficiale dal lavoro si possano attivare migliori posizioni lavorative e curare meglio i propri interessi sostenuti da garanzie economiche che in passato richiedevano energie e ciò, per quanto relativo a situazioni di ordine concreto, è possibile se intervengono positive e creative riconfigurazioni edipiche con l’adesione positiva a figure parentali non più conflittuali, ma di sostegno positivo e vitale: “un medico o un avvocato di solito, se il loro lavoro funziona, arrivati sui 45 anni hanno più richieste che tempo disponibile, liberi dalla preoccupazione di guadagnarsi da vivere, possono dedicarsi ai lati più interessanti del loro lavoro, lasciandone ai giovani gli aspetti più ingrati… casi in cui avviene che la mezza età adempia le antiche promesse” (id.,151). Il soggetto può sempre più identificarsi con la figura paterna e sentire la “solitudine” in cui ha sempre dovuto collocare questa figura tenuta in scacco attraverso la violenza del proprio maggiore vigore fisico: il soggetto, gradualmente, recupera proiezioni diventando sempre più padre e sempre meno figlio. Parlo di funzione paterna perché il fenomeno psicologico che è alla base della iniziale dissociazione e concerne il potere connesso al vigore fisico attraverso cui, nelle culture patriarcali, si trasmetteva il potere e il comando all’interno di un gruppo che sostanzialmente corrispondeva all’eliminazione fisica del capo divenuto debole e sostituito dal giovane più forte e vigoroso (Fraizer, 1922). In una cultura matriarcale la crisi dell’età di mezzo sarebbe sicuramente diversa perché il passaggio sarebbe più graduale, non comporterebbe il rischio della esclusione-morte e la posizione depressiva di emarginazione dal gruppo sarebbe graduale. In una cultura matriarcale il soggetto sarebbe continuamente in un processo di ricollocazione della propria posizione nel gruppo ordinato dalle madri e dal valore della maternità e figliolanza (Fromm, 1951; Bachofen;1815-87). Forse non è un caso che a suggerire prospettive anche positive rispetto all’età di mezzo siano alcune analiste donne quali Segal, Thompson e Quinodoz. Esse suggeriscono la sensibilità tutta femminile, della fede nei processi creativi dei soggetti ad ogni età: “i nostri pazienti parlano di un 'esperienza di eternità quando attraversano momenti intensi, che spesso possono sembrare molto semplici, durante i quali sentono di essere in contatto con un'altra dimensione del tempo, un’esperienza che è sperimentata come fuori del tempo cronologico. E’ il caso, ad esempio, di esperienze di impatto con la bellezza, l’amore, la gioia o, a volte, con la sofferenza mentale o fisica, o ancora, quando stanno in comunicazione con qualcuno, e improvvisamente sentono di essere veramente in contatto con quella persona e che stanno comunicando in modo particolarmente autentico” (Quinodoz, 2009, 777). 

 

“la maggior parte degli analisti, come i loro pazienti

dell’età di mezzo, sono dell’età di mezzo” (Halpert,1991).

 

 

 

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Versione ridotta dell’intervento proposto al Centro di Psicoanalisi Romano il 12 aprile 2013.

Penso si possa leggere in tal senso il film di R. Redford “Leoni per agnelli” in cui un insegnante dell’età di mezzo attacca e squalifica continuamente gli ideali del giovane studente con il quale è visibilmente identificato (Riefolo, 2009, 187).

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