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De Intinis G., Crescere nel tempo di Internet: le nuove forme comunicative e i giochi virtuali cambiano l’analisi? 2015

 

Non c’è ragazzo che arrivi in seduta senza uno smartphone che gli permette di essere connesso in rete, ricevere e inviare messaggi dalle chat spesso anche durante la seduta. Se è pensabile che un adulto spenga il cellulare, con gli adolescenti ciò non accade quasi mai.

I ragazzi fanno entrare nella relazione analitica anche i videogiochi sia attraverso il racconto, sia non di rado in modo diretto. Questi due semplici fatti ci inducono ad interrogarci se adolescenti e analisti siano oggi separati solo da una distanza generazionale o facciano parte di due specie diverse. In particolare cosa è cambiato nei processi associativi, che tessono il dialogo analitico e nella capacità di giocare che sostanzia lo sviluppo del processo terapeutico?

Tratteggerò un breve profilo, per come emerge dalle ricerche comparse in letteratura, rispetto allo sviluppo delle rappresentazioni, della comunicazione e della gestione psichica delle emozioni nella generazione che ha utilizzato l’informatica sin dai primi anni di vita, di chi cioè è un «nativo digitale».

Un analista è al contrario un «immigrato digitale» ed ha una serie di caratteristiche relazionali diverse da quelle che stanno sviluppando i ragazzi.

La capacità di concentrazione focalizzata di chi si è formato attraverso la lettura e la scrittura rispetto alla capacità delle nuove generazioni di gestire in parallelo diversi contenuti informativi sembra avere un peso nel modo di conoscere la realtà. La modalità dei ragazzi di costruire le rappresentazioni non è lineare e l’apprendimento procede per esperienza e per approssimazioni successive (Prensky, 2001; Carr, 2011; Ferri, 2011).

Indagare e sottolineare la differenza non comporta ovviamente un giudizio di valore, in quanto non è dimostrato che queste nuove modalità di costruzione della conoscenza ostacolino la capacità degli adolescenti di pensare in modo approfondito e creativo.

La comunicazione orale impegna tutto il corpo e il processo con cui vengono comunicate le libere associazioni non è confinato al registro verbale, ma attraverso quello mimico-gestuale-posturale, permette l’espressione di esperienze soggettive primarie (Roussillon, 2009).

I messaggi digitali di cui i ragazzi fanno ampio uso sono invece incorporei (Ong,1986). L’esigenza di impegnare il corpo nel mondo virtuale e le interfacce sensoriali sono una delle nuove frontiere del mondo digitale, ma al momento lo stile comunicativo dei ragazzi è molto diverso da quello intersoggettivo. Un uso costante e massiccio delle tecnologie digitali fa sì che gli adolescenti stiano sperimentando, oltre ad un modo diverso di comunicare, differenti schemi di interpretazione della realtà e anche di costruzione dell’identità. Essi mettono parti importanti di sé su Facebook e You Tube, sembrano vivere nello e sullo schermo, abitare nei social network, in modo simile a quello in cui abitano il mondo reale.

C’è un desiderio di immediatezza molto forte, le risposte seguono le domande senza soluzione di continuità, anche se poi paradossalmente i ragazzi vivono in una perenne attesa di contatto.

Anche lo stile emotivo registra un cambiamento in quanto la tecnologia permette di esprimere le emozioni mentre si stanno formando e i sentimenti non sono pienamente vissuti finché non vengono comunicati (Turkle, 2012). Le protesi comunicative ed espressive digitali contribuiscono attivamente a delineare il perimetro del loro sé e del loro agire (Moriggi, Nicoletti, 2009).

Un ulteriore fenomeno ricco di possibilità di modificare lo sviluppo e quindi anche l’interazione analitica con i più giovani è l’uso diffuso dei videogiochi che varcano anche concretamente la soglia della stanza di terapia e che alcuni analisti hanno integrato fra i giochi possibili.

Nei videogiochi vi è la mobilitazione di una forte intensità emozionale, indipendentemente dal loro contenuto.

La differenza fra il videogioco che crea dipendenza e quello che permette una crescita scaturisce proprio dalla capacità del giocatore di contenere ed elaborare sensazioni e emozioni (o protoemozioni) suscitate in lui dal gioco stesso. Emozioni che sono vere e indistinguibili da quelle provate in contesti reali.

La struttura di alcuni videogiochi, ad esempio quelli di guerra, mobilitano emozioni primarie quali paura rabbia e tristezza che facilmente eccedono la capacità di contenimento e che stimolano comportamenti di attacco/fuga.

Tisseron (2009) sottolinea che la ricerca di sensazioni e di eccitazione non è separabile da un’esigenza di attribuzione di significato; tuttavia il bagno di eccitazioni multiformi nel quale il giocatore si immerge evoca una situazione simile a quella dello sviluppo primario in cui sensazioni e protoemozioni sono alla ricerca di un contenitore prima ancora che un significato.

Possiamo ipotizzare che alcuni giochi immersivi, cioè in grado di generare attraverso dei guanti o un caschetto high tech la sensazione di essere all’interno della realtà virtuale e di interagire fisicamente con gli oggetti, produrranno ulteriori modificazioni nel processo relazionale (Civitarese, 2008).

Qualcosa di questi fenomeni possiamo intravederla attraverso i giochi di ruolo in cui il giocatore, identificato con un suo avatar, può non solo determinare gli sviluppi della storia, ma influire e interagire con altri utenti collegati che rimangono anonimi e che variano di giorno in giorno (Marzi, 2013). Questa spersonalizzazione dell’interlocutore modifica profondamente l’esperienza del gioco intersoggettivo.

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Vedi anche

Papuzza E., Bambini e adolescenti iperconnessi in epoca di pandemia. 2020

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