Martedì, Aprile 30, 2024

Paolo Boccara, "Le ragioni degli altri, le diverse opinioni, la 'verità' e le notizie vere o false." (2022)

Ci stiamo sempre più accorgendo di come le guerre producano posizioni contrapposte e soggettive, tali da rendere particolarmente difficile il confronto su come stiano andando veramente le cose. Ma proprio per aver fatto del confronto quello che spesso ci ha unito (pur nella diversità delle vite di ciascuno), noi psicoanalisti non dobbiamo rinunciare né al confronto né a stabilire qualche verità. Gli eventi della guerra anche se sembrano spesso distaccarsi dalla realtà nel momento in cui accadono, lasciano tracce accessibili che sono indipendenti dal nostro pensiero e ci dovrebbero costringere ad usarlo. Il che, a mio parere, significa innanzitutto non negare alcune evidenze e soprattutto provare a non nasconderle.
Certo, come persone e tanto più come psicoanalisti, possiamo esprimere opinioni diverse che però, in quanto tali, non sono tutte da considerare allo stesso livello logico e pertanto non sempre equivalenti. Alcune sono fondate, esprimono un collegamento (per quanto imperfetto) tra ciò che sostiene la realtà, altre si limitano a disporre un punto di vista privo di riscontri, altre ancora partono dal presupposto che non si possa parlare di verità, oppure che ce ne siano tante e tutte valide. Esistono poi i lapsus, come quello dell'ambasciatore russo all'ONU che ha detto: "I cadaveri che vedete sulle strade di Bucha non esistevano prima che i soldati russi arrivassero, cioè se ne andassero". Infine ci sono le menzogne belle e buone.
Esercitare il dubbio davanti ad ogni notizia che viene dai campi di battaglia è per alcuni doveroso perché l'inganno è parte integrante delle strategie militari: “mentire serve a sostenere la propria immagine e indebolire quella del nemico” ma, appunto dai campi di battaglia non dai nostri studi o davanti al televisore!
Come psicoanalisti, siamo abituati a capire le diverse ragioni rispetto a quello che succede o che è successo, ma non parlerei mai di “colpe”, delle persone come dei popoli.
Capire la colpa di qualcuno comporta un giudizio e ‘giudicare’ in psicoanalisi impedisce la comprensione. Si dice (e si scrive) che perfino Putin ha le sue ragioni, ma, sempre a mio parere, ‘comprenderle’ non può aiutare ad arrivare alla pace, perché mi sembra che le sue ragioni lo abbiano portato a scegliere la guerra, e questo non è accettabile.
A me la psicoanalisi ha insegnato che entrare nella testa degli altri non è possibile e quindi semmai distinguere le ragioni dei fatti dei diversi attori della guerra in corso è compito degli storici. Potrei dire che tutti noi, psicoanalisti e non, possiamo avere opinioni, opinioni diverse sui fatti, le possiamo rispettare e non giudicare, anche se alcune sono diverse da quelle più in voga (il main stream evocato tanto spesso) ma quest’ultime non sono necessariamente più ‘vere’ perché sono meno comuni.
Anche gli psicoanalisti possono allora avere opinioni diverse tra loro, proprio in quanto psicoanalisti possono proporsi di rispettarle comunque, ma non per questo omologarle come tutte 'accettabili' in nome di una pratica comune ad una comune disciplina.
Una cosa è evitare di alterare le posizioni degli altri, altro è essere tutti d'accordo.
Una cosa è impedire di esprimere le opinioni a chi non è d’accordo con noi, altro è sostenere che in una opinione non prevalente ci sia la verità solo per il fatto che si è fatto il tentativo "di collegare il presente al passato e al futuro per dotarlo di senso". Il senso non è 'vero' di per sé!
Continuo da settimane a farmi delle domande.
Ecco allora alcune mie opinioni sotto forma di domande: condividere le ragioni di chi intanto si difende da chi gli porta la guerra in casa vuol dire condividere le ragioni della guerra? Si può credere che un compromesso possibile sia accettare unilateralmente che una parte dell'Ucrania sia Russia? Il popolo ucraino è o non è altro da quello russo? Solo chi si pone nella posizione di neutralità è per la pace e gli altri no? Essere per la pace vuol dire pensare che chi è attaccato dovrebbe rinunciare a difendersi? Possiamo comprendere la decisione di difendersi, inviare anche armi per aiutare a difendersi e volere che altri interlocutori (p. e. gli Stati Europei e non gli Stati Uniti d’America) cerchino altri modi di arrivare a un “cessate il fuoco”, accettando che il conflitto possa essere affrontato senza la guerra?
Si è scritto qui che si tratta di “capire le ragioni del nemico”, ma in questo caso esistono le ragioni di chi si difende e difende i principi di autodeterminazione di un popolo. Non sono le ragioni di Putin e della guerra che dobbiamo capire, anche perché non sono difficili da capire, ma come arrivare alla pace ascoltando e aiutando chi ne è la vittima.
 
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