Martedì, Aprile 30, 2024

Emilio Masina, "Fake news" (2022)

Tutti gli psicoanalisti sanno che il primo passo avanti nella terapia si compie quando il paziente capisce che la colpa di quanto gli accade non è sempre degli altri. Infatti, questo errato modo di ragionare che trascura di considerare il proprio contributo alla costruzione del mondo e che illude di vedere le cose sempre dalla parte giusta non solo complica e mette a rischio le relazioni con gli altri ma è destinato a essere smentito dalla realtà. Il primo nemico, potremmo dire, è dentro di noi: la paura di essere messi in crisi dal dubbio e il desiderio di non soffrire e di non faticare attraverso il lavoro di elaborazione delle emozioni ci spingono a difenderci da quanto non è immediatamente comprensibile e a costruire narrazioni soggettive che sono vere e proprie fake news. Queste narrazioni interagiscono con quelle che nascono nell’ambiente intersoggettivo e culturale e che vengono propagate con forza suggestiva dalla comunicazione mainstream: rappresentazioni sociali queste ultime, cioè valori, credenze e pratiche condivise tra i membri della comunità che sono costruite attraverso il processo dell’ancoraggio e quello dell’oggettivazione (Moscovici, 1989).

Il primo processo, àncora dimensioni estranee e sconosciute ad altre più familiari. Ad esempio, quando negli anni ’60 cominciò a diffondersi la Psicoanalisi nel nostro Paese una ricerca dimostrò che veniva assimilata alla confessione cristiana, e il terapeuta al sacerdote. Un altro esempio, riguarda il pregiudizio nei confronti dello psicologo che per decenni è stato definito “il terapeuta dei matti”. Rappresentazione sociale, anche quella dei “matti”, che mette insieme in un gran calderone gli individui gravemente sofferenti, chi patisce un disagio psicologico, quanti adottano un pensiero originale e divergente e, addirittura, i poveri e i senza fissa dimora. Il secondo processo, l’oggettivazione,  permette alle rappresentazioni sociali di entrare nella vita quotidiana e assumere un carattere di concretezza. Ad esempio, politici e giornalisti dalla schiena storta hanno imposto il concetto di “divisivo” applicandolo a persone che propongono ragionamenti alternativi a quelli dominanti. L’essere “divisivo” è divenuto a tutti gli effetti una sorta di tratto della personalità sgradevole e inopportuno e promuove pratiche di condanna e riprovazione sociale di chi ne è considerato portatore: come quella di allontanarlo dalle trasmissioni televisive o ridurlo al silenzio attraverso insulti e allusioni minacciose: “Lei qui può permettersi di parlare, mentre in Russia i suoi colleghi sono ridotti al silenzio!”. Un’altra rappresentazione sociale ora in voga è quella di “filoputiniano”: chiunque non condivida le ragioni della guerra come strumento di risoluzione dei problemi del mondo viene definito come megafono della controinformazione menzognera del dittatore. Una terza rappresentazione è quella che asserisce che la guerra (o il suo proseguimento) sono necessari a ottenere la pace. La pace sarebbe, secondo questa narrazione, lo sbocco naturale della guerra e non un processo radicalmente differente per finalità e obiettivi. Solo il nemico sconfitto sul campo sarebbe disposto a trattare: non serve cercare di capire le sue ragioni e promuovere ragionevoli compromessi che le tengano in conto. Ultima, ma non per ultima, viene diffusa la rappresentazione sociale dei “pacifisti equidistanti”: esisterebbe, cioè, una categoria di individui che nella guerra fra Russia e Ucraina confonderebbe l’aggressore con l’aggredito e sosterrebbe che non bisogna stare né con l’uno né con l’altro. Ogni distinguo rispetto alla scelta di inviare armi all’Ucraina, ogni tentativo di collegare il presente al passato e al futuro per dotarlo di senso viene schiacciato su queste rappresentazioni e definito fallace e inconcludente. Gli psicoanalisti possono aiutare a decostruire queste false rappresentazioni e ad elaborare conflitti costruttivi fra aspetti del reale (e parti di sé) che alimentino il pensiero critico e promuovano nuove integrazioni, consentendo di sfuggire alla tentazione di sfogare la pressione emozionale attraverso azioni dalle conseguenze fatali.

Vedi anche:

Paolo Boccara, "Le ragioni degli altri, le diverse opinioni, la 'verità' e le notizie vere o false." (2022)

Emilio Masina, "Guerra e Psicoanalisi" (2022)

"La notte dei pazzi" - Intervista di Tito Baldini a Marco Revelli sulla follia del pensiero collettivo sotto l'effetto della guerra

"Non c'è nulla di più traumatico della guerra", intervista ad Adelia Lucattini. Interris.it, 13 aprile 2022

 

 

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