Martedì, Aprile 30, 2024

Emilio Masina, "Guerra e Psicoanalisi" (2022)

Seguendo il dibattito sulla guerra in Ucraina gli psicoanalisti due o tre cose le possono dire, e sono cose legate fra loro.

Primo: trovarsi a prendere decisioni, come l’invio di armi a uno dei Paesi belligeranti, in condizioni di emergenza, quando la sollecitazione emozionale è massima non è mai un buon affare. In queste condizioni, la razionalità rischia di essere travolta e di non fare argine alla tensione angosciosa. Si tende infatti ad appiattire la complessità della realtà su dimensioni estreme, come nelle curve degli stadi: amico/nemico, eroe o disertore, arrendersi o combattere. Le differenze fra fatti e persone sono minimizzate e si procede per ampie generalizzazioni, il dialogo con l’altro, e fra parti di sé, viene interrotto; la mente entra in una modalità autoritaria. Se non c’è tempo per pensare le emozioni, la scarica liberatoria e l’errore, più o meno grave, sono dietro l’angolo.

Secondo: l’essere umano spesso non ha memoria, o meglio ha una memoria selettiva che cancella i momenti difficili della sua storia e di quella del mondo. Cerca di buttare dietro le spalle quello che lo ha turbato per non faticare troppo a capirne il senso e le cause. Se questo meccanismo rappresenta una sorta di scorciatoia esistenziale in parte fisiologica, un eccesso di dimenticanza impedisce di utilizzare il passato per prevedere e organizzare il futuro. Ad esempio, si dimentica che le guerre non solo hanno insanguinato il mondo ma hanno traumatizzato gravemente chi è sopravvissuto e persino le generazioni successive. Inoltre, hanno devastato l’ambiente in modo irreparabile (in Vietnam, a più di cinquanta anni di distanza dalla guerra nascono ancora bambini deformi per effetto del napalm usato per defoliare le foreste). Non si ricorda più che solo gli sforzi per costruire la pace sono riusciti a produrre una convivenza prospera e serena. Vivere all’insaputa di una parte di sé stessi o della realtà esterna può provocare brutti scherzi: ciò che si pensava dimenticato ritorna in gioco in maniera improvvisa e destabilizzante, come in questo momento la minaccia nucleare.

Terzo: la massima latina: “si vis pacem para bellum” è palesemente falsa. Investire sulla probabilità che il nemico si spaventi della tua forza non fa altro che indurlo a pensare nello stesso modo, secondo il noto proverbio “chi la fa, l’aspetti”; e può provocare una escalation di emozioni e azioni improvvide. Già Freud, il fondatore della Psicoanalisi, ci aveva avvertito che il prezzo che l’uomo deve pagare per convivere serenamente con i suoi simili, protetto dalla civiltà, comporta un disagio: quello di rinunciare ad esprimere liberamente tutti i propri bisogni sessuali e aggressivi, lavorando costantemente per tenerli a bada. Perché la nostra libertà termina dove comincia quella dell’altro.

 

 

Vedi anche

 

 Paolo Boccara, "Le ragioni degli altri, le diverse opinioni, la 'verità' e le notizie vere o false." (2022) 

      Emilio Masina, "Fake news" (2022)

     "La notte dei pazzi" - Intervista di Tito Baldini a Marco Revelli sulla follia del pensiero collettivo sotto l'effetto della guerra

 "Non c'è nulla di più traumatico della guerra", intervista ad Adelia Lucattini. Interris.it, 13 aprile 2022

 

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