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Nicolò A.M.- Pelle per comunicare, pelle da danneggiare: riflessioni su scarificazioni e self cutting in adolescenza (2009)

6 febbraio 2009

Pelle per comunicare, pelle da danneggiare:
riflessioni su scarificazioni e self cutting in adolescenza

Anna Maria Nicolò

 

ABSTRACT

L’adolescenza attuale è caratterizzata da un mutamento di alcuni tratti del suo funzionamento e da un mutamento della patologia presentata. Tra i nuovi funzionamenti, possiamo annoverare le scarificazioni, i tatuaggi, i piercing. Una sorta di neo-sensorialità pervade molte manifestazioni dall’uso della sessualità alle iscrizioni sul corpo. Le manifestazioni di iscrizione sulla pelle vanno distinte. Le scarificazioni e i tatuaggi possono rimandare al crearsi di un involucro sensoriale sulla linea della costruzione di una neosensorialità. Il cutting di pazienti più gravi crea invece un involucro di sofferenza necessario per l’esistenza e l’identità.

 

Credo che non ci sia analista di adolescenti che non sia cimentato da problematiche riguardanti il corpo dei propri pazienti e talora contro-identificatoriamente anche il corpo dell’analista assume una rilevanza particolare in questi trattamenti.

Uno dei compiti evolutivi dell’adolescente è appropriarsi del suo corpo e della novità del suo corpo mutato e sessuato. Questo processo  progressivamente consente l’insediamento del nuovo corpo adolescenziale come oggetto interno (Laufer, 2005) che integra o nei casi patologici si dissocia dalla sua immagine. Può accadere che  a volte  l’adolescente  metta il suo corpo all’esterno e lo tratti come non fosse suo, fino a punirlo o ucciderlo.

Questo non riguarda solo problematiche come le dismorfofobie o il disconoscimento perverso del corpo nell’anoressia o la conflittualità nell’integrare il corpo sessuato del breakdown. Riguarda anche altri comportamenti che sono divenuti nelle nostre società più frequenti che nel passato. Faccio riferimento al fenomeno dei piercing, tatuaggi, scarificazioni, self cutting, cicatrici appositamente costruite o tagli che segnano la pelle, le infliggono dolorose mutilazioni, o la adornano in modo delicato o aggressivo.

Cosa c’è alla base di queste ferite cutanee? Siamo di fronte a fenomeni in realtà complessi che rimandano a molteplici significati ed origini, alcuni personali, altri gruppali, altri di natura sociologica ed antropologica (Le Breton, 2004). Sotto lo stesso nome o la stessa manifestazione, ad esempio il piercing o i tagli, si possono celare motivazioni, dinamiche e strutture molto differenti. Anche gli stessi adolescenti vi attribuiscono significati diversi. In alcuni casi una metodica è preparatoria all’altra, altri adolescenti invece mettono in contrapposizione vari tipi di ferite cutanee.

Alcuni considerano sullo stesso piano ad esempio tatuaggio e piercing dato che tutti e due implicano un’effrazione del corpo, della sua superficie, mentre molti altri li ritengono fenomeni opposti perché ad esempio nel piercing l’oggetto da portare resta all’esterno e non si confonde con il corpo, come avviene per il tatuaggio che diventa invece una parte del sé.

Alcuni piercing sembrano rafforzare particolari sensazioni, come ad esempio quelli sui genitali. Altri, piercing o tatuaggi, servono a segnare in modo indelebile particolari ricordi di eventi significativi, altri ancora esibiscono al mondo fantasie sulla propria identità o su come la si immagina, o sui propri ideali o manifestano patti di amicizia o amore o fedeltà al gruppo, ad una causa.

Abbiamo necessità però, per comprendere questo crescente fenomeno, di rispondere a  numerosi quesiti. Ad esempio: che rapporto c’è tra questi agiti e la personalità sottostante? In che misura l’adolescenza, come tipo di funzionamento mentale fase specifico, influenza questi fenomeni? Che rapporto c’è con le dinamiche del gruppo dei pari? Siamo di fronte ad atti che segnano l’appartenenza ad un gruppo o definiscono un’identità?

Molti altri quesiti affollano la nostra mente e ad esempio ci chiediamo se ha importanza il dolore che questi ragazzi si auto infliggono con queste pratiche e che peso ha il dolore o la manipolazione del corpo e la perdita di sangue che ne deriva. L’esperienza clinica ci insegna anche  che  una parte di  queste ferite sulla pelle sono connesse all’odio per il proprio corpo e ad aspetti autodistruttivi al punto che ingravescenti automutilazioni sono talora i prodromi di un tentativo di suicidio.

La specificità del corpo  e della pelle  in adolescenza

 Corrispondentemente alla distinzione operata da Merleau Ponty (citato da Laufer, 2005) (tra corpo fisico e corpo vissuto) e sulla linea operata da Stoller (1975) (tra corpo e immagine corporea), Egle Laufer (2005) discute la distinzione tra corpo come oggetto interno, che rappresenta il corpo libidico esperito soggettivamente e derivante dall’interazione tra la madre e il bambino, e l’immagine corporea basata sull’esperienza sensoriale e che porta alla costituzione di una rappresentazione psichica di un’immagine corporea dotata di un’identità separata dal corpo della madre. Nelle situazioni normali questi due aspetti si coniugano nel corpo come oggetto interno, nelle situazioni disfunzionali esiste una scissione in tale integrazione, fonte di soluzioni perverse o di odio per il proprio corpo o aspetti di esso.

La dimensione sensoriale è naturalmente legata alle esperienze corporee del bambino con la madre nel primo anno di vita, ma potremmo dire che si sviluppa integrando progressive esperienze nel corso della vita. In adolescenza questi aspetti assumono una valenza particolare perché l’irruzione del corpo sessuato crea nuovi problemi e  impone la necessità di integrare una nuova immagine corporea e di reinvestirla di nuova libido narcisistica.

Se l’adolescente non ha potuto internalizzare il corpo come oggetto interno integro e amato dalla madre oltre che in armonia e continuità con l’immagine corporea basata sull’esperienza sensoriale, propria e l’immagine che gli viene rimandata dall’altro, si rivolgerà alle nuove esperienze in modo problematico e tra le altre soluzioni a mio avviso presenterà una fame di sensazioni e di stimoli sensoriali nel tentativo di  prendersi quello che non ha mai avuto, ricostituire un’immagine corporea distinta e solida e così fondare un nucleo di identità stabile.

In questo panorama la pelle assume una valenza particolare. Essa ha, come affermano sia Freud che Anzieu, funzioni difensive di paraeccitazione, segna il confine, la frontiera con l’esterno, rappresenta una “superficie di iscrizione” di tutte quelle fantasie, conflitti, angosce che non avendo trovato – per parafrasare Anzieu (1985) – un involucro di parole cercano nella pelle un involucro che in qualche modo le significhi, ed è inoltre connessa con un aspetto dell’identità.

Non c’è dubbio che il complesso senso della nostra identità ha stretta relazione con lo sguardo di noi su noi stessi e dell’altro su di noi, l’apparenza è una dimensione della nostra identità. A volte tale apparenza conferma l’identità, a volte ne offre un’immagine contrastante e opposta. A volte una personalità fragile sostituisce al senso stabile dell’identità la sua apparenza. Spesso osserviamo quanto gli adolescenti mostrino la ricerca della loro identità attraverso l’angoscioso e incessante mutare della loro apparenza, mostrandosi in differenti sedute con i look più differenti e contrastanti: vediamo in seduta  alcune ragazze ad esempio vestite da suora e la seduta dopo sgargianti e sexy come una lucciola, per poi apparire la seduta successiva come una ragazzina perbene e a quella ancora dopo come l’intellettuale impegnata.

La fatica a definire l’identità come accade nella nostra attuale società, fa crescere il bisogno di aggrapparsi al corpo per ancorarsi alla realtà e dà importanza all’agire e agli agiti che si sostituiscono al processo di simbolizzazione. Gli agiti sostituiscono il pensare, il riflettere, il verbalizzare anche se per certi versi hanno una pregnanza proto simbolica. Catherine Chabert (2000) li definisce “tentativi di figurazione” nel senso che essi appaiono essere a metà tra l’intenzionalità, conscia e inconscia e rappresentano nello stesso tempo una difesa e una elaborazione.

Distinguerò a questo proposito due categorie di segni sulla pelle, il primo – direi – più comune dove la pelle pur se ferita, incisa, punta, funziona come uno schermo per le proiezioni dell’adolescente e tali gesti coagulano ed esprimono sia pure al limite, uno schermo verso la simbolizzazione e un secondo dove tali manifestazioni sono così massicce e distruttive  da essere connotate da dinamiche auto ed etero distruttive e dove il corpo è definitivamente scisso e trattato come un oggetto esterno ed estraneo. Questi ultimi casi sono i più pericolosi e devono attirare l’attenzione dell’analista perché  in essi si manifesta l’odio per il corpo scisso e talora sono prodromi di attacchi al corpo proprio o dell’altro  ben più gravi  come tentativi di suicidio o omicidio.

La Neo-sensualità

Certo però che non siamo solo colpiti dalla natura di agito che hanno queste manifestazioni. C’è forse un’altra caratteristica pregnante ,connessa – io credo – agli aspetti sensoriali che caratterizzano l’atto del ferire e tagliare la pelle, ma anche i temi del guardare ed essere guardato, dell’apparire. Per comprendere appieno questo aspetto, bisogna riflettere su una qualità del linguaggio che gli adolescenti, e soprattutto i preadolescenti, condividono.

Osserviamo di frequente la sessualità degli adolescenti che soprattutto nelle sue prime fasi è divenuta più precoce, ma anche effimera e passeggera, basata sull’agire e sperimentare sensazioni piuttosto che costruire relazioni sentimentali. Costruire una relazione sentimentale e sperimentare il rapporto sessuale sono esperienze che si erano dissociate fin dai tempi della rivoluzione sessuale indotta dall’uso della pillola anticoncezionale. Oggi in modo molto più diffuso e massiccio ognuna di esse (legame amoroso o esperienza sessuale) è perseguita di per sé, staccata dall’altra. I ragazzi o le ragazze possono partecipare ad una festa banale (per non parlare dei rave party) dove avere tanti tipi di contatti sessuali, che non sono sostenuti da legami sentimentali ma spesso avvengono con sconosciuti, e invece mantenere una relazione sentimentale con un altro partner con il quale invece non hanno rapporti sessuali (come è capitato ad una mia paziente che lo esplicitava e lo raccontava anche come decisione possibile di altre ragazze). Il termine che i ragazzi usano oggi mi sembra significativo a questo proposito “tresca-trescare” e con esso si fa riferimento ad un’attività passeggera, un’area dove fare esperienze e provare sensazioni, ma che raramente allude ad un periodo preliminare di un rapporto sentimentale significativo. In questo termine “trescare” c’è anche un riferimento a quella dimensione polimorfo perversa che caratterizza il processo di crescita dell’adolescente. Trescare può significare corteggiamento, ed anche contatto fisico, petting e masturbazione. Può significare anche rapporto sessuale, ma non è definito da un’esperienza integrata tra affetto e sessualità. Spesso è un’attività dove gli amici, il gruppo riveste un’importanza rilevante. Ragazzi che non sembrano riconoscere alcun tipo di problema psicologico raccontano le loro esperienze sessuali, talora vissute nel gruppo classe e gestite all’interno di dinamiche dove l’intimità e la segretezza non riescono a trovare posto, come nel racconto di un ragazzo che ricorda la sua gita scolastica nel corso della quale, sotto gli ordini del leader della classe e sotto lo sguardo apparentemente ironico dei compagni, a turno una o più ragazze si susseguivano in rapporti sessuali con loro compagni e questa cosa veniva ritenuta una delle solite bravate possibili. Il mio paziente,un adolescente  borderline, che mi ha raccontato il fatto, era rimasto in disparte e turbato dall’esperienza.

Ai fini del mio discorso voglio per un momento lasciare da parte le complesse dinamiche che caratterizzano questo episodio dove gli assunti di base hanno la meglio sulla differenziazione individuale e dove l’esibirsi e l’esibire per stupire e fare sembrano essere in primo piano.

A mio avviso in questa, come in altre manifestazioni dell’adolescenza attuale, il ricorso alla sensazione a scapito della relazione (Gutton, 2004, 218) è preminente, e  a mio avviso  il sentire si è sostituito al pensare.

Sulla scia del termine usato da Joyce Mac Dougall (1989) a  proposito di neosessualità per definire alcuni dei comportamenti sessuali perversi, potremmo parlare in queste situazioni di una sorta di “neo-sensualità”fatta diesperienze fugaci superficiali, momentanee ed effimere. Queste esperienze, se sessuali, non preludono al rapporto sentimentale, sono fini a sé. Spesso si consumano in una serata. Permettono di sperimentare sensazioni e sono un prologo al parlarne con altri. L’adolescente privilegia così le sensazioni invece di viversi una relazione con l’altro, con la sua  ricchezza e creatività, ma anche con i naturali limiti e la possibile frustrazione che nasce nella relazione con l’altro, eccitante e sconosciuto.

Con questo tipo di comportamenti l’adolescente scinde la sensualità dalla sessualità e da questo ne deriva il suo privilegiare la sensorialità, a scapito del pensare, riflettere, elaborare un rapporto, a scapito degli affetti che sono già di per sé costrutti complessi.

Stiamo parlando di un modo peculiare di vivere il corpo, caratterizzato anche da una sorta di dissociazione affettiva da esso. Il corpo e la pelle come sua manifestazione sono al centro di un gioco narcisistico scisso. Ci possiamo chiedere se non siamo così di fronte ad un corpo, ‘oggetto del parlare’, non integrato nella mente e perciò nella soggettività in via di costruzione dell’adolescente. Naturalmente un tale tipo di funzionamenti presuppongono anche un’attività immaginaria che colma – nei casi migliori – il vuoto della non presenza dell’altro, il vuoto nella relazione. Un’attività immaginaria che presuppone un voyeur immaginario. L’adolescente si guarda come se  fosse all’esterno  di sé, è lo spettatore di se stesso ed esiste nel sentire, nelle sensazioni che prova, sulla superficie della pelle, vista dall’esterno o vissuta sul piano sensoriale. Un sottile pellicola dove collocare il sé, una pellicola tra lo spettatore, l’altro che vede e il sé che esiste.

Questa sensorialità scissa o dissociata ricorda in certo qual modo quanto avviene  nelle perversioni, dove spesso la maggiore eccitazione consiste nei preliminari che portano ad un atto e le fantasie scisse sono una parte consistente del rituale.

Gli agiti in funzione proto simbolica che sono – come prima ricordavo – dei tentativi di figurazione e il vivere le sensazioni hanno rilevanza in tutte le tecniche che gli adolescenti usano quando tatuano, bucano, scarificano, tagliano il corpo e in particolare la pelle che ne è la superficie con cui il corpo si presenta. 

Effrazione del corpo e autoaggressività

Non possiamo però a questo punto nasconderci  il fatto che l’effrazione del corpo rimanda anche ad una dinamica auto-aggressiva, ad esempio rivolgere verso il sé un’aggressività che sarebbe altrimenti stata diretta contro l’altro. Nelle forme più gravi la dinamica auto aggressiva assume – io credo – l’importanza preponderante come vedremo in un caso che riferirò. In questa categoria di self cutting, alcuni adolescenti usano il taglio per evacuare la tensione esagerata. Quando sono sotto pressione si tagliano, o meglio tagliano la connessione tra il pensiero e la consapevolezza che sentono troppo dolorosi e l’atto. Stiamo parlando in questi casi di un taglio fisico che nel produrre un sensazione di dolore fisico, scaccia e vince il dolore mentale. Stiamo parlando perciò di un taglio psichico di cui il taglio fisico rappresenta solo l’equivalente concreto.

 

PER MOTIVI DI RISERVATEZZA NON VIENE QUI DI SEGUITO RIPORTATO IL CASO CLINICO

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A tutti noi appaiono evidenti le complesse dinamiche nelle quali Amedeo si dibatte. Sembra che dietro la fantasia del corpo maschile idealizzato che egli non possiede, a differenza di altri uomini che perciò hanno la meglio su di lui, si nasconde in realtà l’attrazione e il disgusto ambivalente di fronte alle fantasie-timori incestuali per il padre, che pure rappresenta una parte passiva di lui stesso che Amedeo odia. La madre non lo aiuta dato che lo attira al contrario verso un tipo di relazione primitiva e infantilizzata. I tagli al corpo coagulano in sé molti significati: rafforzano un’identità maschile fragile, puniscono un corpo vissuto come insignificante, brutto e soprattutto distante  dal modello ideale che egli avrebbe voluto rappresentare, un corpo che comporta anche il terrore di sensazioni omosessuali e passive che lo spaventano.

Il tatuaggio con le parole “bugiardo” e “parricida” sembra esplicitamente riferirsi da una parte al bisogno di Amedeo di sbarazzarsi della sua attrazione verso la passività rappresentata dal padre. Più oscuro però sembra il riferimento a “bugiardo” dove, con un tocco paradossale, Amedeo sembra rendere false e bugiarde tutte le sue conquiste, ma nello stesso tempo affermare una sua identità in negativo. Questo tatuaggio con le sue scritte esplicite sembra esprimere anche aspetti delle riflessioni di Amedeo sulla sua identità  ed è una comunicazione agli altri e a sé stesso. Ma il vero problema è forse un altro, ed è il fatto stesso che Amedeo confini ad un agito sulla sua pelle queste sue affermazioni, le confina di nuovo a metà tra il simbolico e l’agito, tra il pensare e l’agire, in una specie di sospensione difficile da risolvere. Lo scolpire sulla pelle quei pensieri sembra quasi il pietrificarli rendendoli immobili e impediti verso l’evoluzione, anche se certamente questo agito  è una forma di comunicazione.

 Il self cutting per sentirsi compatti e coesi

Ben più grave la situazione di Ludovico:

PER MOTIVI DI RISERVATEZZA NON VIENE QUI DI SEGUITO RIPORTATO IL CASO CLINICO

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I tagli, e paradossalmente il  possibile tentativo di suicidio, sono l’unica cosa attiva che egli fa reagendo  ai suoi vissuti angosciosi e all’intrusività materna  che svaluta ogni iniziativa autonoma del figlio infantilizzandolo.  La svalutazione della madre riguarda quel sottile aspetto dell’identità  connesso con l’apparire e il mostrarsi al mondo, che è però  anche   un elemento corporeo a cui Ludovico reagisce aggrappandosi alla sua ultima possibile frontiera, il corpo che gli appartiene e che può tagliare danneggiare, e soprattutto sentire. Non è in causa in questo meccanismo solo un’identificazione con l’aggressore. E’ un meccanismo molto più complesso: da una parte  egli taglia il corpo perché odia proprio quel corpo confuso con la madre e di cui la madre rivendica inconsciamente la proprietà. (ad esempio quando afferma quanto i pantaloni sono brutti e ridicoli e che per vestirsi il ragazzo deve essere accompagnato da lei) Dall’altra  di fronte alla negazione operata dall’altro della sua autonomia, della sua possibile individuazione, egli reagisce aggrappandosi al corpo e mostrando  angosciosamente  che egli ed egli solamente ne è il proprietario.

 Nello stesso tempo questo gesto rappresenta un aggrapparsi al corpo e alle sensazioni che esso evoca per esistere nel sentirsi, nel sentire le sensazioni che il corpo evoca, sia pure dolorose.

 Conclusioni

Pur essendo per certi versi simili, questi due casi  riportati, mostrano una diversa evoluzione, determinata soprattutto dallo sviluppo in Amedeo di una capacità di pensare–sognare che, significativamente nel suo apparire, mette  sullo sfondo i cutting, che dopo poco tempo scompaiono.

Tuttavia devo ricordare che in Amedeo, fin dall’inizio, i tagli avevano mantenuto uno stretto legame simbolico visibile ad esempio, con chiarezza, quando fa la fantasia di segnarsi sulla pelle con i tagli le parole bugiardo, e parricida. Essi sono in modo chiaro dei “tentativi di figurazione”, elemento che appare molto più tenue in Ludovico, legato in modo massiccio ad un funzionamento concreto. In Ludovico invece i tagli erano una manifestazione paradossale della sua punizione superegoica, nello stesso tempo rappresentavano una pericolosa erotizzazione masochistica, ma erano anche un’affermazione paradossale di autonomia ed  esistenza.

Ambedue questi giovani presentavano una confusione dell’identità, in un caso – quello di Ludovico – massiccia e pericolosa.

I lavori di Didier Anzieu sull’Io–Pelle, e specialmente le sue osservazioni sul corpo dei grandi ustionati, ci hanno insegnato che “[…] infliggersi da se stessi un reale involucro di sofferenza è un tentativo di ristabilire la funzione di pelle contenente non esercitata dalla madre o dall’ambiente […]” (Anzieu, 1985, 246 ed.it.), ristabilire perciò un holding primitivo che in questi pazienti risulta carente o gravemente danneggiato.

 Egli cita inoltre la Aulagnier, la quale osserva come “il corpo si procura mediante la sofferenza il proprio segno di oggetto reale” (Aulagnier, 1979, citata in Anzieu op.cit., 246 ed.it). Osservazione questa particolarmente vera negli psicotici, dove il ricorso al ferirsi, tagliarsi conferisce un senso di esistenza e talora, come nel caso di un’altra paziente, Angelica, consente di mantenere la sfida sull’altro che ella teme possa passivizzarla e sottometterla ad una dipendenza intollerabile.

Nel caso di Angelica, la profonda scissione tra il corpo vissuto come oggetto estraneo e odiato e il sé trasforma il corpo in uno strumento con cui ottenere la supremazia sull’altro, oltre che sui propri bisogni. Consente di mantenere in scacco ad esempio l’analista che viene indirettamente minacciato dal ricatto dei tagli.  In questo mettere in scacco  l’altro e nel tagliare il corpo Angelica otteneva l’autoaffermazione della usa esistenza “reale”, dove il termine reale  ha il significato io creo di sicuro, certo, non opinabile e soprattutto distinto dalle ambiguità e ambivalente della fantasia, della fantasticheria, delle proiezioni proprie e dell’altro, ma anche di concreto e tangibile.

Possiamo così ulteriormente approfondire il senso di questi tagli che alcuni pazienti si infliggono e che sono, nelle forme così gravi, legati al senso di un’identità inconsistente, e ad un sé poco coeso che momentaneamente trova una pausa alla sua turbolenza e alle angosce proprio grazie all’“involucro di sofferenza” (Anzieu, op.cit., 246 ed.it.) che si infligge.

Come giustamente ci fa notare ancora una volta Anzieu, l’investimento del corpo doloroso può diventare così “libido narcisistica”.

Siamo certo di fronte a rimedi estremi che tuttavia consentono, tagliando la pelle, di ristabilire proprio alcune delle sue funzioni psicologiche primitive, come il senso dei confini del corpo e dell’Io e la “sensazione di essere intatti e coesi” (Anzieu, op.cit., 33 ed.it.).

Mentre il piercing e il tatuaggio possono rimandare al crearsi un involucro sensoriale sulla linea della costruzione di una neosensorialità che caratterizza molte forme dell’adolescenza attuali, il cutting di pazienti più gravi crea un involucro di sofferenza necessario per l’esistenza e l’identità.

Pur tuttavia non si tratta più del “soffro dunque sono”, di cui ci parla Ladame a proposito dei tentativi di suicidio degli adolescenti, si tratta piuttosto del possedere un corpo per sentirsi esistenti e nello stesso tempo intatti e compatti almeno in un momento quello in cui l’adolescente si taglia.

Bibliografia

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LAUFER E. (2005). Le corps comme objet interne. Adolescence, 23, 2, 363-379]

Le Breton D. (2004). La profondeur de la peau : les signes d’identité à l’adolescence. Adolescence, 22, 2, pp. 257-271. 

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pubblicato:
Nicolò A.M., Romagnoli E., Le nuove patologie degli adolescenti, Adolescenza e psicoanalisi, anno IV, n.1, maggio 2009, pp.31-42 ".

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