Nella giornata di studio “Il ruolo dell’interocezione nella percezione di sè e dell’altro”, moderata da Giuseppe Moccia, abbiamo potuto ascoltare le interessanti relazioni di Francesca Ferri e Anatolia Salone, che hanno consentito uno scambio ricco di spunti di riflessione.
Giuseppe Moccia ha introdotto l’argomento sottolineando l’importanza di uno scambio interdisciplinare, nell’ottica di una naturale alleanza tra psicoanalisi e neuroscienze.
Anatolia Salone ha iniziato la sua relazione descrivendo il concetto di interocezione, postulato già nel 1906 da Charles Sherrington, quale campo di ricezione degli stimoli nervosi, insieme all’esterocezione e alla propriocezione. Attualmente questo concetto, grazie all’avanzamento delle riflessioni e delle ricerche soprattutto nel campo delle emozioni e delle basi della rappresentazione di sé, è associato alla più ampia concezione della allostasi[1], superando così una visione classica che lo intendeva come percezione viscerale e funzionale al mantenimento dell’omeostasi.
Piuttosto che ipotizzare che il cervello tenti di fare rimanere i sistemi interni entro un range di parametri (ad esempio il range della temperatura corporea) e che entri in azione solo quando il sistema devia da tali parametri, si ipotizza che abbia anche una funzione di generatore di inferenze predittive che anticipano i bisogni metabolici, preparando l’organismo a soddisfarli. In tal senso, l’interocezione avrebbe la funzione di preparare il milieu interno permettendo l’allostasi, la quale promuoverebbe dei cambiamenti corporei in relazione ai feedback ricevuti. Quindi, un sentire, integrare e interpretare i segnali corporei, per agire di conseguenza. L’interocezione crea una consapevolezza interna soggettiva che costituisce il Sé e il rapporto tra il Sé e l’altro da Sé.
Antonio Damasio (1994, 2003) postula la presenza dei background feelings, ossia un “sentire” che deriva dagli stati corporei interocettivi e che permette di riconoscere un primato del somatico rispetto al mentale, ipotizzando quindi un radicamento della nostra vita mentale nel nostro corpo.
Queste posizioni neuroscientifiche affiancano quanto postulato sul piano filosofico, rispetto ad un corpo inteso non solo come corpo-oggetto (korper), ma anche come corpo-soggetto nel vivo dell‘esperienza, il Leib descritto da Husserl.
D’altra parte, già Freud, nel “Compendio di psicoanalisi,” afferma che i processi presunti concomitanti di natura somatica costituiscono il vero e proprio psichico (1938, 585) e ne “L’Io e l’Es” (1922), connettendo l’Io ad un inconscio non rimosso, sembra anticipare le posizioni teoriche e di ricerca più recenti sull’interocezione.
Anche la linea di ricerca sviluppata attorno all’embodied simulation, rimarca la primarietà delle esperienze corporee intersoggettive e valorizza la concezione della funzione del corpo, tenendo conto dunque dell’importanza della dimensione relazionale dello sviluppo, come evidenziato dalle teorie psicoanalitiche.
Anche grazie alle diverse linee di ricerca sviluppate attorno a questo tema, sembra ormai acquisito che l’interocezione plasmi il sé corporeo e che essa possa contribuire alle alterazioni della percezione di sé e del confine sé-altro in alcune condizioni psicopatologiche, soprattutto nelle psicosi.
Particolarmente interessante risulta quanto emerge dalle ricerche sulla funzione primaria delle interazioni corporee intersoggettive nella costruzione del sé.
Ad esempio, numerosi studi sul “tocco affettivo” convergono nella dimostrazione che il tocco di un caregiver contribuisce direttamente all’integrazione tra esperienze corporee interocettive ed esterocettive, concorrendo a delineare il confine sé-altro.
Inoltre, è stato evidenziato uno specifico ruolo del tocco affettivo sociale nello sviluppo della percezione corporea del bambino (Filippetti et al, 2013) quando il sistema motorio non è ancora ben sviluppato (nel bambino piccolo) e la funzione interocettiva e l’omeostasi sono completamente dipendenti dalle interazioni intercorporee con altri corpi. Si è visto ad esempio che i bambini più stimolati dal tocco materno durante l’allattamento, a tre mesi sviluppano migliori capacità visuo-motorie ed uno sviluppo motorio più rapido (Weiss, Wilson, and Morrison, 2004).
L’intima intercorporeità costruisce i processi alla base del minimal self, compresa la distinzione mentale tra sé e l’altro, tra soggetto e oggetto, tra piacere e dolore.
Francesca Ferri, ha iniziato la sua relazione, precisando che, secondo la definizione di Khalsa del 2018, l’interocezione si riferisce al processo mentale attraverso il quale il sistema nervoso avverte, integra e interpreta i segnali provenienti dall’interno del corpo, favorendo una mappatura, momento per momento, del mondo interno.
Quindi, l’interocezione arriva a condizionare la percezione di noi stessi e della nostra interazione con gli altri. Ci sono frequenze diverse nei vari organi del nostro organismo, che possono essere più veloci o più lente (ad esempio la frequenza cardiaca) e il cervello le mette tutte insieme in una integrazione sensoriale, motoria, emotiva, cognitiva, relazionale e di interazione sociale.
In un rapporto bidirezionale, percezioni corporee e rappresentazioni mentali si influenzano vicendevolmente e le fantasie influenzano sensazioni e azioni.
Ci sono tre livelli dell’interocezione
1) Il primo livello è neurofisiologico e riguarda l’interazione tra corpo e cervello;
2) Il secondo livello è comportamentale e riguarda le azioni che compiamo in seguito alle senso-percezioni che proviamo;
3) Il terzo livello è metacognitivo e riguarda le rappresentazioni mentali simboliche che derivano dalle sensazioni corporee.
La consapevolezza interocettiva è direttamente proporzionale alla confidenza e alle abilità di accuratezza nella percezione degli stati interni (ad esempio la percezione dei battiti cardiaci).
A livello metacognitivo, attribuiamo un significato alle sensazioni che proviamo, basandoci su precedenti esperienze che abbiamo vissuto.
Viene così introdotto il modello del predictive coding. Nell’ottica del predictive coding è fondamentale potere prevedere ciò che accadrà. Ciò ha anche una funzione economica. Se riesco ad anticipare e prevedere ciò che accadrà, sulla base di esperienze precedenti, allora il cervello sarà più pronto e preparato a rispondere adeguatamente.
Nel predictive coding, il confronto dei dati e il controllo degli eventi avviene sia in senso bottom-up, che in senso top-down. Da un a priori si inferisce un a posteriori.
Quando succedono cose che non erano state previste, ossia in presenza di un errore di predizione, il cervello si deve modificare e deve aggiornare le proprie aspettative per il futuro. È un processo plastico.
A livello neurobiologico, nelle aree viscero-motorie vengono mappati i bisogni metabolici e, nell’insula, soprattutto nella porzione posteriore, vengono raccolti i segnali sottocorticali, al fine di mappare lo stato reale viscerale del corpo e consentire poi l’aggiornamento.
Ferri, come Salone, ha posto l’attenzione sul fatto che in condizioni patologiche come la psicosi, ci possono essere predizioni interocettive anomale o errate.
Come detto, percezione e rappresentazione si influenzano a vicenda: se una rappresentazione non è aderente alla realtà, anche la percezione non lo sarà. Per cui, una percezione condizionata da una rappresentazione alterata creerà una dispercezione, come avviene nelle psicosi. Per esempio, negli schizofrenici prevalgono le inferenze basate sulle aspettative errate e alterate e, di contro, viene dato uno scarso peso alle evidenze senso-percettive. Da questo meccanismo alterato prenderebbero vita le allucinazioni.
Già Freud, ne “La perdita di realtà nella nevrosi e nella psicosi” (1924,) nota come le manifestazioni psicopatologiche della psicosi si esprimano, prevalentemente come dispercezioni somatiche, proprio perchè le aspettative (a priori) sono molto forti, mentre le percezioni sensoriali (a posteriori) sono molto deboli. Nella schizofrenia, la rappresentazione dell’aspettativa (top-down) è molto più forte della senso-percezione (bottom-up). Al contrario, nell’autismo, è molto più forte la sensibilità agli stimoli senso-percettivi (bottom-up) a scapito della rappresentazione simbolica (top-down), per cui si ha un’ipersensibilità sensoriale e una forte tendenza all’azione.
Al termine degli interventi si è attivata una ricca e accesa discussione.
È stato sottolineato come le dinamiche di a priori e a posteriori del predictive coding possono attivarsi anche nelle dinamiche di transfert-controtransfert all’interno della relazione analitica e che i livelli primitivi seguono un registro non verbale e vengono colti a livello corporeo nella dinamica di transfert-controtransfert.
È stato sottolineato inoltre, quanto siano fondamentali i meccanismi di sintonizzazione nella relazione primaria, per cominciare ad instaurare una primordiale differenziazione sé-altro. Questo, in una buona relazione primaria, consente di avvicinarci all’altro, senza scivolare nella confusione.
In condizioni fisiologiche, una maggiore indistinzione e intimità sé-altro è un fattore favorente la relazione primaria tra madre e bambino; mentre, in condizioni patologiche diventa un elemento di fusione e confusione, come avviene nella psicosi.
Per concludere, se è vero che per mantenere l’equilibrio omeostatico l’organismo deve evitare l’errore di predizione o “l’effetto sorpresa”, nel processo analitico, a volte, la sorpresa è un elemento evolutivo e vitale che può aprire al cambiamento e consentire, quindi, una buona sintonizzazione allostatica tra analista e analizzando.
Bibliografia
Damasio A. (1994), L’errore di Cartesio. Milano: Adelphi.
Damasio A. (2003), Alla ricerca di Spinoza. Milano: Adelphi.
Filippetti M.L., Johnson M.H., LIoyd-Fox, Dragovic D., Farroni T. (2013), Body perception in newborns. In Current Biology 23. 2413-2416.
Freud S. (1922), L’Io e l’Es. OSF. 9.
Freud S. (1924), La perdita di realtà nella nevrosi e nella psicosi. OSF. 10.
Freud S. (1938). Compendio di psicoanalisi. OSF. 11.
Khalsa et al. (2018), Interoception and mental health: a roadmap. In Biological Psychiatry cong Neuroscience Neoroimaging 3 (6): 501-513.
Sherrington C. (1906). The integrative action of the nervous system. Franklin classics pr. 2018.
Weiss S.J., Wilson P., Morrison D. (2004), Maternal tactile stimulation and the neurodevelopment of low birth weight infants. Infancy. Taylor e Francis.
[1]L’allostasi è la proprietà di un sistema di mantenere la stabilità degli organismi per mezzo del cambiamento. A differenza dell’omeostasi (dal greco omeos e stasis,) che indica la tendenza a mantenere le condizioni interne dell’organismo invariate, l’allostasi (dal greco allos e stasis) tende a mantenere un equilibrio dinamico, tendendo conto della variabilità degli stimoli esterni. Per cui, grazie all’allostasi, è possibile creare un rapporto tra mondo interno e mondo esterno, mantenendo un equilibrio variabile a seconda delle situazioni relazionali.
Vedi anche
Il ruolo dell'interocezione nella percezione di sé e dell'altro (9 marzo 2024)