Mercoledì, Maggio 15, 2024

Intervista con Alessandra Balloni di Elisabetta Marchiori

 

Sigmund Freud. Origini e Attualità della Psicoanalisi.

 

Alessandra Balloni, Psicoanalista della Società Italiana di Psicoanalisi (SPI), ha diretto, sceneggiato e prodotto, con il patrocinio della SPI, lo straordinario documentario “Sigmund Freud. Origini e attualità della Psicoanalisi”.

Lo ha realizzato con materiali diversi: scene girate ad hoc, sequenze di repertorio e di film, fotografie e interviste, a quattro psicoanalisti e un filosofo italiani (Anna Ferruta, Cono Aldo Barnà, Tiziana Bastianini, Antonino Ferro e Carlo Sini).

Le voci e la musica s’intrecciano alle sequenze filmiche creando una narrazione fluida, dotata di quella “leggerezza pesante” di cui parla Italo Calvino, che arriva con efficacia allo spettatore.

Presentato come un progetto che ha l'ambizione di raggiungere persone potenzialmente interessate alla Psicoanalisi, appare concepito in sintonia con la strategia di “outreach” condivisa dall’International Psychoanalytic Society. Ispirata a una metodologia anglosassone utilizzata nei processi di “progettazione partecipata”, prevede un “abbassamento della soglia di accesso” delle persone a un determinato ambito istituzionale, culturale, scientifico, aumentandone la visibilità e la fruibilità.

Nel caso dell'Oggetto-Psicoanalisi - e qui cito Stefano Bolognini - esso deve “farsi trovare”, in modo serio e rigoroso, evitando modalità propagandistiche, “andando incontro” a chi desidera avvicinarsi, o creando il desiderio di farlo.

 

Come nasce, in una psicoanalista, l’idea di usare il cinema per far conoscere la Psicoanalisi?

Credo che molti siano interessati a comprendere se stessi e gli altri, a dare un senso a ciò che accade nel proprio mondo interno. La Psicoanalisi offre gli strumenti per farlo, ma ancora oggi appare alla ricerca di modalità adeguate per essere presente nella cultura e nella società in modo significativo. Attorno ad essa e a Freud permane un alone di mistero, a volte di diffidenza, dovuti a mancanza di conoscenza.

Ho cercato di utilizzare il potenziale creativo e comunicativo che ritengo insito nelle contaminazioni della Psicoanalisi con la letteratura, il teatro, la pittura e, ovviamente, il cinema. Non ho una formazione specifica, ma volevo sperimentare uno strumento che attingesse da questo potenziale per raccontare la Psicoanalisi cercando di suggerire, evocare, incuriosire, senza pretese di esaustività e senza mistificazioni.

 

Un aspetto importante è come l’evoluzione della Psicoanalisi sia indissolubilmente legata a quella dell’approccio verso il disagio psichico. Come hai intrecciato i due percorsi?

Attraverso il filo delle origini. Nel 1869 Edward Von Hartmann pubblica un libro dal significativo titolo: “Filosofia dell’inconscio”. Il Professor Sini, con rara chiarezza e profondità, illustra come la psicoanalisi sia in debito con la storia del pensiero filosofico, iniziando da Spinoza, per arrivare a Schopenhauer e Nietzsche.

Freud ha indagato l’inconscio sul piano clinico, le sue scoperte hanno permesso di superare la distinzione tra “pazzi e sani”, cambiando irreversibilmente la nostra concezione del soggetto. Molti i dipinti che mi hanno aiutato a raccontare questa storia: dall’inquietante “La nave dei folli” di Hieronymus Bosch, fino a “La sala delle agitate” di Telemaco Signorini, un quadro di forte denuncia sociale.

 

La narrazione filmica si dipana attraverso il ritratto del suo fondatore e le parole di psicoanalisti di rilevanza internazionale. Hai fatto un enorme lavoro “per via di levare”, data la quantità del materiale a disposizione, come ci sei riuscita?

Ho cercato di fornire qualche chiave di accesso a questioni complesse, e sono grata agli psicoanalisti intervistati, di grande spessore umano e culturale, per aver utilizzato un linguaggio semplice e chiaro, mantenendo il rigore scientifico.

Volevo anzitutto valorizzare il ruolo di Freud come figura di ponte tra due secoli, con la sua duplice natura di scienziato dell’Ottocento, darwinista e positivista, e di uomo del Novecento, “maestro del sospetto”, che interpreta la destrutturazione del soggetto in divenire, “non più padrone in casa propria”, che fa del dubbio il motore della propria conoscenza.

Volevo anche tracciare una bozza di quella che è la Psicoanalisi contemporanea e le sue molteplici trasformazioni, mettendo in luce alcune tematiche cardine: il metodo delle libere associazioni e del sogno, l’importanza del setting, l’unicità della relazione tra analista e analizzando, i cambiamenti che avvengono attraverso la narrazione e la ricostruzione della propria storia, la concezione di una mente la cui funzione principale è quella di formare e preservare i legami con gli altri.

 

Il tuo è un “prodotto” di elevata qualità tecnica, come hai ottenuto questi risultati?

Ho potuto realizzare questo progetto grazie alla collaborazione di un gruppo di lavoro fatto da persone amiche, competenti e comprensive. Gli aiuto-registi e voci narranti, Luisa Merloni e Daniele Natali, sono due attori con i quali ho realizzato “reading” di letteratura contemporanea agli ultimi Congressi della SPI. Daniele ha anche curato il montaggio. Infine c’è il prezioso contributo del fotografo Gianluca Moro.

Per la musica originale devo ringraziare Paolo Vivaldi, compositore, fra le altre cose, della colonna sonora del film di Caligaris “Non essere cattivo”.

Nel corso del film, “il lettino” torna come un “simbolo” in evoluzione, dalla foto del lettino di Freud vuoto, a quelle di “pazienti” sdraiati, alle sequenze che riprendono un bambino che ci fa le capriole, è stato intenzionale?

Non mi riconosco un’esplicita intenzionalità in questo senso, ma certamente volevo rappresentarlo in modo non convenzionale.

Il bambino che fa le capriole sul lettino è il figlio di Gianluca, colto in un momento di gioco spontaneo. Potrei dire che è stato un modo per raccontare la potenzialità creative di questo strumento psicoanalitico.



L’intervista è tratta da una Edizione speciale della Rivista Eidos (n. 39) dedicata al Festival di Londra, numero a cura di Barbara Massimilla e Andrea Sabbadini.

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