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Report di Chiara Benedetti su “Stefano Bolognini: Flussi Vitali tra Sé e Non Sé. L’interpsichico” (16 Maggio 2020)

E’ impegnativo rendere i colori, la ricchezza e la complessa semplicità dello scambio e del pensiero di Bolognini in cui ci siamo immersi in occasione dell’incontro.
E’ per questo che, dopo qualche riflessione, abbiamo pensato di proporre questa versione del report.
Se ne può fare una lettura consueta e lineare, oppure una a partire dalle immagini evocate, che richiamano dei punti specifici della sintesi proposta.

 

 

 

In occasione della recente pubblicazione del suo libro Flussi Vitali tra Sé e Non Sé. L’interpsichico, Stefano Bolognini è stato ospite del Centro di Psicoanalisi Romano, sabato 16 maggio 2020.
Il tema che Bolognini propone per la giornata è quello degli scambi dall’interno di una persona, all’interno di un’altra, tema specifico che si riferisce a momenti estremamente arcaici della relazione umana e dello sviluppo. Pur rintracciando similarità con altri concetti della teorizzazione psicoanalitica, quali quello della posizione contiguo autistica di Ogden, ne evidenzia e sottolinea la peculiarità. A differenza di quanto proposto da altri, infatti, Bolognini si riferisce agli equivalenti delle mucose piuttosto che alla pelle, ovvero agli scambi da interno ad interno e non al contatto; queste due realtà, sottolinea l’autore, non nettamente separabili, sono non meno diverse. Il suo sguardo si rivolge quindi alle combinazioniche portano elementi interni di uno ad essere vissuti all’interno dell’altro.
Nel corso della sua puntuale e preziosa introduzione al libro, esplicita quelli che indica essere elementi di base di questo “monto” comunicativo:

  1. innanzi tutto il concetto freudiano di equivalenti psichici, collegato alle vicende fisiologiche degli esseri umani dal punto di vista intercorporeo: una volta sperimentate le coniugazioni e gli interscambi corporei, l’essere umano svilupperà una serie successiva equivalente di interazioni non corporee che ne ritroveranno le modalità;
  2. in secondo luogo il vertice della sua osservazione, ovvero la fisiologia piuttosto che la patologia, ciò che è naturale e funziona, per imparare molte cose; è il come del relazionarsi infatti, il combinarsi, che produce contenuti. Attraverso il transfert ed il controtransfert, le atmosfere delle sedute, riviviamo quello che succede ed è successo e che presumibilmente potrà o non potrà accadere al paziente, ed il come. L’attenzione al come relazionarsi produce contenuti vicendevolmente differenti ed è, per questo, fondamentale in psicoanalisi. Nel dire questo evidenzia un movimento nell’albero psicoanalitico contemporaneo che tende ad avviare processi teorici integrativi: ne sono esempio la pulsione e la relazione, non più poste come letture alternative, bensì osservate per comprendere come si combinino.

Gli scambi interumani possono essere sani o patologici, interpsichici (attraverso vie vivibili, praticabili e utilizzabili) o transpsichici (in modo violento, effrattivo, tali da ledere il senso di sé o dell’altro); al di là di quello che viene trasmesso all altro dunque, il come ha la sua importanza. Il prototipo, di scambi Vitali tra Sé e non Sé è la fruizione del latte materno da parte del lattante; ci sono poi infiniti scambi, dalle relazioni di accudimento alla fertilizzazione genitale dell’età adulta, dove qualcosa del dentro dell’uno può passare nel dentro dell’altro ed è in tutti questi scambi che le modalità possono essere tanto interpsichiche quanto transpsichiche.

Nel lavoro analitico non solo facciamo una operazione di riconoscimento della modalità che si realizza in quel momento con il paziente, ma facciamo anche una valutazione inconscia, conscia, ma il più delle volte preconscia, di come ci si può prendere l’un l’altro e se ci si può prendere. Ci sono sedute in cui stare zitti è meglio, non solo quando “il lattante si sta nutrendo” senza bisogno di forzare il capezzolo nella sua bocca (interpsichico), ma anche quando “il lattante ha mal di pancia” e deve prima poter evacuare delle turbolenze, in modo pensato o solo agito (transpsichico). In questo caso le nostre funzioni sono contenere, accogliere, attendere. E’il monitoraggio percettivo controtransferale di sensazioni e osservazioni, l’utilizzo del nostro Sé, la condizione dell’altro e l’istinto, che ci fa valutare se contribuire o accogliere. L’Io di lavoro dà rappresentazione nella nostra mente in modo teorico a quello che stiamo vivendo, abbiamo la possibilità di consultare nel nostro laboratorio analitico- il nostro mondo interno, colleghi, maestri autori e letture che ci danno indicazioni. Sant’Anna, la Vergine e il Bambino è l’iconografia vivida che Bolognini propone come consultazione dei propri oggetti interni.
La nostra attività professionale si svolge in una dimensione non solo teorica ma saldamente collegata ai nostri istinti, alle sensazioni connesse al nostro senso di Sé. Tali sono gli elementi che ci guidano quando diamo indicazioni all’altro del nostro essere lì, come ad esempio vocalizzando con interiezioni (mmmh) che hanno la funzione di “trasmettere il sapore” di quello che stiamo dicendo. Questo è uno dei tanti modi, non pensati in modo teorico, che fanno però parte del nostro modo di scambiare con l’altro. Va notato come questi scambi si verifichino nel registro preconscio, nostro e del paziente.

Citando il famoso assunto freudiano “dov’era l’Es deve subentrare l’Io” Bolognini presenta un tema fondamentale del suo scritto, ovvero l’importanza del Preconscio. Evidenzia infatti come ci siano pazienti il cui Io difensivo strangola il resto del Sé, dominando la scena e non lasciando uno spazio intermedio, che viene invece coltivato in analisi, in modo anche istintivo, che è appunto l’area del preconscio. L’area preconscia gode di caratteristiche strettamente collegate alla creatività; la possibilità di ricombinazione sufficientemente armoniosa tra processo primario e processo secondario si svolge di solito nell’area preconscia.
Ed è nel preconscio che ci fa immergere e nella sua fondamentale funzione terapeutica quando racconta di rappresentarselo come quella parte del mare abbastanza vicina alla spiaggia, praticabile andando sott’acqua per qualche metro, che non tiene asciutti perché ci obbliga a bagnarci nella emotività, ma non ha le caratteristiche di non vivibilità che ha la Fossa delle Marianne. E’ lì infatti che possiamo vedere delle cose ma non le possiamo toccare e sperimentare per la pressione forte, le temperature insostenibili, ed è solo attraverso un oblò teorico che possiamo esplorare qualcosa. Nel preconscio, al contrario, tutti possono scoprire la loro possibilità di fluttuare, galleggiare, sentire che temperatura c’è, e questo corrisponde a livelli e funzioni del modo di essere, dell’apparato psichico, in cui si giocano spesso i flussi vitali tra sé e non Sè.
Nell’affrontare il concetto di Non Sé alla luce delle diverse teorie sulla percezione dell’altro, lo pensa come un concetto “graduato”, ovvero ritenendo che ci sia una gradazione ed un qualche grado di percezione di non sé- dell’altro da parte del lattante a fronte di una fusionalità che gli permette di non trasbordare troppo velocemente da una totale fusione uterina alla separatezza. Si tratta della modulazione nella percezione del non Sé: le persone sufficientemente sane sanno carrellare tra livelli di fusione e separatezza in maniera appropriata e sufficientemente armonica nonché con sufficiente tranquillità. Questa è condizione di salute.
Una preziosa puntualizzazione viene infine proposta da Bolognini nello esplicitare cosa intende per interpsichico, laddove afferma che quando parla di interpsichico non parla di intersoggettività, né di interpersonale. Se nell’intersoggettivo c’è percepibile la presenza di almeno uno e, se possibile, due soggetti il cui senso di sé, di specificità e coesione interna sia sufficiente, nell’interpersonale è presente un ulteriore livello in cui il senso di identità è specificato, in particolar modo a livello conscio, in modo molto netto. L’interpsichico diversamente riguarda le capacità di passaggio, trasmissione, interconnessione tra il dentro dell’uno ed il dentro dell’altro. Si tratta di vedere se si combinano in senso integrato capezzolo-bocca, pene-vagina, se è presente la possibilità di fusionalità armonica e condivisa che crea un passaggio emotivo evidente e molto forte tra due persone. Nel nostro lavoro è estremamente importante cogliere il livello di coesione e contatto interno soggettivo, quanto l’altro è riuscito a divenire un soggetto e quanto è in grado di accedere ad uno scambio interpsichico, quanto è capace di travasare in noi, senza rinunciarvi in toto, elementi interni; in termini kleiniani se l’uso che l’altro sa fare è di identificazioni proiettive comunicative o di forme evacuative, intrusive di controllo, nel qual caso siamo nel transpsichico.

Nel concludere il suo intervento Bolognini esplicita alcuni riferimenti particolarmente significativi per l’elaborazione dei concetti che presenta nel suo libro. Si tratta del contributo italiano al tema della Fusionalità e nello specifico il lavoro di Lydia Pallier che si occupava maggiormente della fisiologia degli scambi. Altrettanto importante è stato il contributo di Ogden a partire da “Il limite primigenio dell’esperienza”. Nella sua concezione della posizione contigua autistica però l’autore, riferendosi al contatto, parla soprattutto della pelle. L’interesse prevalente nella sua teorizzazione invece è per le mucose: è nelle mucose e con le mucose che gli esseri umani si trasmettono gli scambi. Come analisti siamo interessati agli equivalenti psichici di questi, alla qualità delle comunicazioni tra mucose psichiche di paziente e analista, a come questi scambiano i contenuti.
Paola Marion, nel suo intervento, condivide la sua esperienza della lettura del libro dell’autore. Bolognini, sottolinea, ci da i “segnali stradali” che ci servono per avvicinarci al cuore del lavoro psicoanalitico; mette in risalto la concezione del Preconscio; evoca con il suo scritto un manufatto sartoriale in cui si sperimenta cosa significa lo scambio e la fluidità. Un tema emergente è quello della identità dell’analista che l’autore generosamente ci fa conoscere nella propria declinazione incarnando una idea laica della psicoanalisi, in quanto disciplina in continuo dialogo con il non Sé, e minimalista, in quanto rifugge dalle assolutizzazioni.
Il dibattito che segue è caratterizzato da un ritmo estremamente godibile, e le domande, centrate, puntuali ed acute poste dal gran numero di partecipanti all’incontro, sono seguite da risposte altrettanto puntuali e centrate che fanno pensare a chi scrive che lo scambio che è avvenuto in questo incontro sia stata una esperienza di scambio interpsichico, nonostante la modalità “da remoto” attuata per l’emergenza sanitaria, e di aver fluttuato assieme al nostro “istruttore” nel preconscio. Per riprendere poi una delle favolose immagini che Bolognini utilizza per “farci entrare in acqua”, ci ha proposto un piatto di tagliatelle al ragù fatte in famiglia, magari di domenica mattina, servite dalla mamma, ma di cui abbiamo anche sentito il montare dell’odore durante la preparazione.
Per tornare al merito, elencherò alcuni temi sviluppati e spunti di dialogo teorico che meriterebbero un approfondimento individuale, emersi nel corso del dibattito.

Dialogando con…

Kohut: nel libro è presente un riferimento ragionato ed ampliato secondo la lettura proposta da Bolognini del funzionamento- identità dell’analista al concetto khoutiano di “intuizione veloce” dell’analista

Aron: in “Menti che si incontrano”, riconosce un contributo apprezzabile ma sviluppato esclusivamente rispetto alla comunicazione tra inconsci.

Racamier ed il concetto di ingranamento: maggiormente vicino al concetto di interpsichico dell’intersoggettività perché descrive un processo che, pur se manca di fluidità, parla di come le persone si prendono, di come si combinano;

Kaes: con la sua concettualizzazione di inconscio ectopico, ha colto in pieno le estensioni che riguardano anche un concetto descritto da Racamier, la personation e la depersonation, quest’ultima ha a che fare con la perdita momentanea e non patologica dell’identità definita, in cui elementi sono condivisi in modo universalizzato.

Cremerius: riguardo al suo contributo sulla regressione ed i suoi tempi, Bolognini evidenzia come ci si possa trovare di fronte ad una regressione spontanea ed una indotta e come questa non vada precipitata: i rumori dell’analista (mhh) di cui parla possono essere in questo senso utili o inibenti, e devono quindi essere elementi calibrati.

Accade all’analista…

Controtransfert somatico dell’analista: siamo nel transpsichico; non usiamo canali fisiologici di passaggio dall’uno all’altro, ma utilizziamo vie transdermiche o in alcuni casi anali o comunque effrattive rispetto ai normali canali che consentono le introiezioni sane: è come se qualcuno ci mettesse dentro qualcosa che ci fora la pelle, o che ci penetra analmente, “contro corrente” o che viene fatto ingurgitare ingozzando l’altro; il nostro metabolismo va in crisi e da queste zone di rottura del Sè e dell’Io le cose passano e vengono vissute ed espresse in malo modo, patologicamente, dal nostro Sé.
Sogni di controtransfert: non canali interpsichici perché ciò che è stato messo dentro necessita di una elaborazione onirica che non è il lavoro onirico (trasformazione e mascheramento) ma il processo per cui l’utilizzazione di elementi non mentalizzati può avvenire. Siamo in ambito meno patologico del transpsichico, ma neppure nella fisiologia dell’interpsichico.

Sull’empatia: Bolognini chiarisce cosa lui intende per empatia e come e se sia un fenomeno “interpsichico”. Si tratta di una sintonizzazione con tutte le parti del paziente, esperienza, sottolinea, spesso anche sgradevole. Alcune condizioni possono facilitarla, ma si tratta di un fenomeno complesso e raro: se è vero che i canali interpsichici lo favoriscono, parimenti non lo determinano.

Sul ruolo della percezione: è una componente fondamentale, basilare ma non unica in termini di esperienza e l’analista, esperto di equivalenze e continuità, può “espanderne” la portata.

L’interpsichico è il più delle volte co-soggettuale o pre-soggettuale, il che non significa che le persone che condividono qualcosa di interpsichico non abbiano raggiunto la coesione, la consistenza di essere soggetti, non ne hanno in quel momento bisogno; come se i canali di comunicazione fossero così fisiologici da non implicare per forza la convocazione né della soggettualità né della persona in senso identitaria. L’interpsichico non è patologico, la persona sta in quei frangenti utilizzando una banda larga dal dentro dell’uno al dentro dell’altro che permette di risparmiare energia psichica, perché quei canali non implicano il passaggio attraverso il filtro dell’Io difensivo.

Interessante infine lo scambio circa il training della nostra società pensato alla luce degli “scambi vitali” che ci riguardano in quanto analisti, punteggiato da Bolognini nella chiave di rapporto con l’altro in una chiave di Società psicoanalitica Italiana ed altre società, e che Marion individua come tema emergente in tutto il libro dell’autore, assieme a quello della identità analitica.

 

 

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