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Report di Fausta Calvosa e Denise Fagiolo sulla Giornata di studio Intercentri: “I servizi di salute mentale interrogano la psicoanalisi” (6 maggio 2017)

 

"Attualmente la psichiatria è una scienza essenzialmente descrittiva e classificatoria, tuttora orientata in senso somatico più che psicologico e incapace di spiegare i fenomeni che cadono sotto la sua osservazione. La psicoanalisi, tuttavia, non si trova in contrasto con essa, come il comportamento unanime degli psichiatri potrebbe far credere. In quanto psicologia del profondo, ossia psicologia dei processi della vita psichica sottratti alla coscienza, la psicoanalisi è anzi chiamata a fornire gli indispensabili fondamenti alla psichiatria e ad aiutarla a superare i suoi attuali limiti. È presumibile che in futuro sarà creata una psichiatria scientifica cui la psicoanalisi avrà servito da introduzione" (Freud, 1922).

Con il richiamo alla citazione freudiana tratta da “Voci di enciclopedia”, Fabio Castriota, Vice-Presidente della SPI, chair della prima sessione, ha aperto i lavori della Giornata Intercentri: "I Servizi di Salute Mentale interrogano la Psicoanalisi", tenutasi presso la sede romana della SPI, sabato 6 maggio 2017. L’evento nasce con l’obiettivo di approfondire, divulgare e integrare il Progetto "Raccontare ed ascoltare il caso clinico" che, da tre anni, Francesca Piperno e Alessandro Antonucci promuovono e organizzano, insieme a un gruppo di lavoro di psicoanalisti di entrambi i Centri romani, ilCentro Psicoanalitico di Roma (CPdR) e il Centro di Psicoanalisi Romano (CdPR). Il progetto, che si articola in una serie di Seminari Teorici, Seminari Analitici di Gruppo (SAG) e Intervisioni cliniche (IV), è rivolto agli operatori della Salute Mentale territoriale dei servizi pubblici e del privato sociale. I Seminari Teorici si svolgono presso le strutture pubbliche mentre quelli Analitici di Gruppo e le Intervisioni cliniche si tengono nella sede dei due centri romani della SPI.

Le considerazioni preliminari sono state affidate ai Presidenti dei due Centri che ospitano l'evento, Fabrizio Rocchetto (CPdR) e Giovanni Meterangelis (CdPR), e hanno riguardato le differenze tra il lavoro svolto nella stanza d'analisi e i contesti di cura pubblici e il possibile dialogo tra tali diversità. Giovanni Meterangelis, muovendo da una riflessione sul titolo scelto per l'evento, ha espresso l'auspicio di una reciprocità dell'interrogarsi, augurandosi che sia anche l'Istituzione Psicoanalitica a rivolgersi ai Servizi di Salute Mentale del territorio potendo apprendere molto dalla loro esperienza pluriennale.

In seguito, la parola è stata presa dagli organizzatori dell'evento. Francesca Piperno, ha evidenziato la necessità di una stanza di analisi "aperta" e di una collaborazione tra psicoanalisi e territorio che promuova la ricerca e la cura, ponendo il paziente al centro del progetto terapeutico e favorendo interventi mirati al "qui ed ora". Alessandro Antonucci, ha sottolineato come la cura nei Servizi pubblici significhi anche "integrare", chiarendo come questo termine possieda un'accezione riabilitativa, riferendosi alla dimensione sociale della sofferenza psichica, dei contesti terapeutici, della soggettività dell'individuo e dei suoi rapporti con la famiglia.

Dopo queste brevi introduzioni, ampio spazio è stato dato agli operatori dei Servizi che hanno aderito in questi tre anni al Progetto e a cui è stato esplicitamente chiesto di interrogare gli psicoanalisti e la Psicoanalisi su come abbia potuto o potrebbe sostenere e supportare la loro attività clinica quotidiana.

L'elemento che è stato messo in evidenza da tutti è lo stato di crisi e di fragilità dei Servizi pubblici, stretti tra l'aumento delle richieste di cura e le carenze delle risorse disponibili.

Antonello D'Elia, responsabile del CSM di Ostia, si è soffermato sulla fragilità dei Servizi ritenendo che questa non sia solo da attribuire alle carenze organizzative e strutturali, ma soprattutto all'infrangersi della possibilità di un pensiero, della creazione di uno spazio per il mentale; al registro delle operazioni istituzionali si deve affiancare la presenza di uno spazio interno ed esterno (condiviso, di gruppo). Gli ha fatto eco Claudio D'Amore del CSM di Palestrina, che ha rilevato la necessità di costruire un luogo in cui sia possibile l'elaborazione dei vissuti, la riflessione e la disintossicazione degli operatori, che beneficerebbero della creazione di una nuova atmosfera terapeutica nel Servizio. D'Elia ha anche evidenziato la necessità di aprire un "canale vitale" tra l'Istituzione Psicoanalitica e quella sanitaria territoriale per creare una continuità della dimensione relazionale. Come auspicato già da Tiziana Bastianini nel 2010, ha ricordato che c'è bisogno di una nuova alleanza, di azioni combinate, di partnership di ricerca e di clinica per mantenere, difendere e sviluppare il modello clinico psicodinamico; attraverso questa costante intersezione, gli psicoanalisti e gli operatori della salute mentale potrebbero potenziare, parafrasando Chianese, la loro funzione di “sismografi” della sofferenza umana.

Gli operatori del CSM di Palestrina (lo psichiatra D'Amore e due infermiere professionali) hanno sottolineato il ruolo e le funzioni degli infermieri del territorio, che sono immersi "nell'orizzonte sensoriale del paziente", nella sua dimensione corporea e delle senso-percezioni. Una delle infermiere ha osservato come in Psichiatria spesso si privilegi ciò che è oggettivo (come, ad esempio, le classificazioni nosografiche) e prevalga l'aspetto interventistico della cura, basata sull'agire, mentre si avverte una forte carenza e un conseguente intenso bisogno di pensiero. Ha evidenziato, inoltre, che contrariamente a quanto avviene nei contesti privati, nel Servizio pubblico il paziente frequentemente non manifesta un'autentica motivazione alla cura, ma è sostituito nella sua decisionalità dai parenti o dal medico di base; talvolta il trattamento è imposto, il paziente non può esercitare la propria volontà e l’operatore è costretto ad una azione terapeutica in cui prevalgono le istanze del controllo e dell'efficienza. Similmente il paziente oscilla tra il reclamo della propria libertà e il bisogno di una costrizione. L'operatrice ha concluso interrogandosi su come sia possibile definire un intervento quando in campo è presente il fantasma della costrizione e come l'Istituzione psicoanalitica possa portare il proprio metodo, la propria concezione della struttura e dell'accadere della vita psichica e la propria proposta di cura all'interno dei Servizi di Salute Mentale.

Nella seconda parte della mattinata è stato chiesto agli psicoanalisti di rispondere alle questioni poste dagli operatori dei Servizi.

Antonello Correale, è stato il primo a intervenire, soffermandosi sull’importanza della supervisione, nella sua qualità di operazione trasformativa. La supervisione rappresenterebbe lo strumento d'elezione per una nuova cultura dei Servizi. Attraverso di essa si reintrodurrebbe, nella sua opinione, il concetto di soggettività, di tutto ciò che sfugge alla rigidità identificativa e che si oppone alla ripetizione.

Andrea Narracci, che è intervenuto successivamente, ha esplicitato chiaramente il suo disaccordo alle parole del collega. A suo parere la supervisione è insufficiente e, citando Bateson, ha rilevato che nell'incontro tra due culture c'è sempre uno scambio reciproco e che la Psicoanalisi non deve insegnare qualcosa ai Servizi ma solo porsi in un dialogo aperto in cui ognuno degli interlocutori ha tanto da imparare dagli altri.

Ha concluso la mattinata Cono Barnà, che ha posto l'accento sulla specificità del metodo e dell'assetto psicoanalitico, ritenendo essenziale la cooperazione della SPI nella costruzione di una mentalità psicoterapica in tutte le figure di cura coinvolte nell'assistenza territoriale.

La discussione che è seguita agli interventi del mattino ha lasciato emergere riflessioni sulla tendenza all'isolamento dell’Istituzione Psicoanalitica e sulla necessità d’individuare poli di intervento degli psicoanalisti per un lavoro integrato con gli operatori della Salute Mentale del territorio, in particolare nella gestione delle patologie gravi, come ha sottolineato Campoli che ha anche espresso una opinione contraria a quanto viene frequentemente detto a proposito dello stato dei Servizi, spesso descritti come fragili, alla deriva, immobilizzati dalle carenze, e ne ha messo in evidenza, invece, la grande vitalità.

Nell'opinione di Riefolo, i Servizi dovrebbero recarsi e rivolgersi alla SPI e non viceversa; inoltre, ha invitato la Psicoanalisi a interrogarsi sul dominante modello socioculturale contemporaneo, che lascia la psiche sullo sfondo, imponendo uno spostamento dell'attenzione sulla funzionalità e sulla realtà. Ha auspicato, al contempo, che gli psicoanalisti si facciano carico dell'assunzione di oneri politici e istituzionali. Meterangelis ha suggerito che, nei confronti dei Servizi di salute mentale, la SPI debba porsi come un oggetto nuovo, nell’accezione che di esso da Loewald, opponendosi alla ripetizione e promuovendo lo sviluppo e il cambiamento. Il coinvolgimento della Psicoanalisi, ha concluso, dovrebbe favorire la creazione di una atmosfera di coesione e di armonia all'interno del gruppo di lavoro. Infine, Antonucci ha proposto la creazione di un gruppo di lavoro con psicoanalisti e non psicoanalisti che lavorano nel territorio, per rivalutare insieme le reali esigenze dei Servizi di Salute Mentale e dei loro operatori. Piperno ha rilanciato la proposta allargando il gruppo anche alla politica perché queste esigenze possano essere accolte dalle Istituzioni.

Nella sessione pomeridiana le relazioni sono state incentrate sull’analisi delle esperienze svolte nell’ambito dei Seminari Analitici di Gruppo e delle Intervisioni.

I lavori sono stati coordinati da Paolo Boccarae Giuseppe Riefoloe chair della sessione è stata Anna Ferruta.

Inizialmente Boccara ha descritto la cornice all’interno della quale sono state pensate queste esperienze: innanzitutto sia i Seminari Analitici di Gruppo (SAG) che le Intervisioni (IV) si sono svolte nei locali della SPI; nel primo caso un gruppo di operatori della salute mentale provenienti da diverse realtà territoriali, sia pubbliche che del privato sociale, si è riunito per un ciclo di sei incontri con tre psicoanalisti dei due Centri che hanno ricoperto il ruolo di conduttori, per discutere di volta in volta un diverso caso clinico, portato dagli stessi partecipanti al gruppo; nelle Intervisioni invece un’intera equipe terapeutica multidisciplinare proveniente da strutture territoriali si è incontrata, con il supporto di due psicoanalisti della SPI, per la discussione di un caso che, per qualche motivo, aveva messo in crisi l’equipe stessa.

Nel suo intervento Boccara ha illustrato come il modello di riferimento sia stato in parte mediato da Autori come Bollas, Hautmann e, soprattutto, Ferruta, che ha svolto esperienze simili a Milano, sia nell’ambito dei Servizi di Salute Mentale, che in realtà molto diverse, ad esempio presso un Centro per la diagnosi precoce di malattie genetiche. Questi Autori fanno notare come, quando all’interno di un percorso terapeutico si sperimenta un blocco del pensiero, il gruppo facilita l’attivazione di una nuova narrazione e la personificazione di aspetti scissi. Come se, in alcune situazioni di stallo terapeutico, il lavoro del gruppo permettesse di riattivare un percorso evolutivo senza ricorrere a pregiudizi ideologici. Attraverso il ricorso alle libere associazioni dei partecipanti al gruppo e dei conduttori è possibile accedere alla drammatizzazione delle parti scisse, denegate del paziente stesso. Il conduttore è in una posizione di ascolto e raccoglie le immagini che emergono dal lavoro del gruppo e propone una prima rappresentazione che ha lo scopo di riattivare il pensiero del gruppo stesso, stimolando l’emersione di nuove narrazioni possibili, in una sorta di pensiero onirico trasformativo, com’è descritto da Ogden. Inoltre, poiché il conduttore è uno psicoanalista che ha svolto un lunghissimo training personale, è in grado, facendo ricorso alla propria attenzione liberamente fluttuante e alle proprie libere associazioni, di mobilitare alcune funzioni psichiche del gruppo, anche in situazioni di apparente blocco del pensiero e di totale impotenza, in cui si sperimenta l’assenza di speranza. Questo incontro di un gruppo di lavoro con uno o più psicoanalisti all’interno di un setting ben definito che costringe tutti a fermarsi e riflettere per un tempo anch’esso definito, fa succedere qualcosa di nuovo come se il pensiero ricominciasse a funzionare.

Dopo questa breve introduzione, alcuni colleghi, che hanno partecipato ai diversi SAG, hanno illustrato la loro esperienza. La prima a parlare è stata Sabina Traversa che ha partecipato a un seminario condotto da Riefolo, Antonucci e Gubbini.La collega ha proposto delle riflessioni servendosi di alcune immagini pittoriche evocate dall’esperienza stessa del gruppo, immagini tratte da alcune opere di Picasso del periodo analitico del cubismo. I tagli operati dal conduttore sulla trama del discorso, lasciavano, a suo dire, emergere un contenuto latente, come nel sogno, che irrompeva sul contenuto manifesto della narrazione. La collega ha descritto come l’esperienza del gruppo le stimolasse la formazione d’immagini mentali che le evocavano alcuni quadri di Picasso in cui il soggetto è scomposto e poi ricomposto facendo emergere una quarta dimensione, quella della temporalità, intesa non come sequenza ma come durata, che permette l’espressione di vissuti interni, come la rabbia e la disperazione, che trasformano l’immagine del soggetto stesso (vedi “Donna che piange con cappello” di Picasso). Durante il seminario i conduttori introducevano un punto di lettura nuovo permettendo il passaggio da “un prima” nella dimensione del caso clinico ad “un dopo” nella dimensione del soggetto umano.

Hanno poi presentato la loro esperienza tre colleghe (Mazzantini, Testoni, Milani) che lavorano presso la Comunità Maieusis e che hanno portato al SAG, condotto da Boccara, Narracci e Calvosa,il resoconto a tre voci del caso clinico di un ospite della loro struttura. Le colleghe hanno raccontato come abbiano presentato al gruppo tre scritti diversi, espressione della difficoltà, compresa a posteriori durante il seminario, di costruire un’immagine non parcellizzata del caso. Già l’invito a scambiarsi le letture ha dato l’avvio all’emergere di nuove configurazioni. Nel gruppo poi si è creata un vivace disaccordo come a dare voce ai diversi frammenti della vita psichica del paziente. La discussione si è animata a tal punto che il clima si è surriscaldato proprio in virtù del fatto che ciascun partecipante sembrava interpretare una parte che pareva confliggere con le altre. Quella sera però una delle tre colleghe dell’èquipe terapeutica era malata e non ha partecipato al seminario. Questa situazione ha permesso loro di focalizzare l’efficacia del lavoro di gruppo. Mentre le colleghe che avevano fatto l’esperienza del seminario sperimentavano la possibilità di proseguire il lavoro terapeutico col paziente in un’atmosfera più aperta e meno giudicante come quella vissuta nel gruppo, permettendo al paziente stesso di esprimere, più liberamente e senza spaventarsi, anche le sue fragilità e i suoi bisogni, la collega che non era stata presente, non è riuscita a uscire da una visione sclerotizzata del paziente, incastrata lei stessa in un ruolo assunto in modo inconsapevole e di cui non poteva cogliere il significato simbolico. Era come se la libertà di pensiero e la capacità, riacquistata dalle colleghe, di accogliere le parti scisse del paziente si fosse rivolta contro di lei che quella forza dal gruppo non aveva ricevuto.

È stata poi illustrata l’esperienza del SAG sull’Adolescenza condotto da Busato Barbaglio (CdPR) e Montinari (CPdR). Anche in questo caso si è trattato di un gruppo molto ricco e interessante, le esperienze descritte hanno messo in luce come spesso l’urgenza dei casi gravi renda difficile all’équipe terapeutica l’attività di “pensare”. In questi casi, gli operatori hanno a che fare con flussi continui di richieste, corpi sofferenti che esprimono attraverso il loro dolore il profondo disagio psichico, come se il contesto avesse sempre il sopravvento. Durante il seminario è stato possibile dare finalmente spazio al pensiero. Ciò ha permesso di illuminare angoli bui che non era stato mai possibile vedere, facendo emergere una creatività che in alcuni contesti ha difficoltà ad essere espressa.

Ad Anna Ferruta è spettato il compito di trarre le conclusioni sulle diverse esperienze di SAG descritte nella sessione pomeridiana. Un elemento comune a tutte queste esperienze, che ha riscontrato anche nella sua pluriennale esperienza di conduttore, è quello della sorpresa, espressione di come nel gruppo si esprima l’inconscio, che sorprende sempre perché è oltre il conosciuto. Alla fine del seminario generalmente è possibile fare un nuovo ritratto del paziente, il gruppo funge da cassa di risonanza di una musica che altrimenti non si sarebbe potuta sentire. Un altro elemento importante delle SAG è la possibilità di confrontarsi con l’altro, che può essere anche il collega con una formazione diversa, e che può sempre ampliare il nostro campo di conoscenza.È la teoria psicoanalitica stessa che ci impone di pensare che c’è sempre dell’altro non conosciuto. Nel SAG poi si lavora su una temporalità non lineare, in après-coup, ascoltando nella contemporaneità suoni che nella linearità sfuggirebbero al nostro udito. Infine, il fatto che nei Seminari analitici il conduttore non è un supervisore, ma ha la funzione solo di attivare un pensiero significante, permette di sperimentare una maggiore libertà e consente l’emersione della creatività di tutto il gruppo, espressione della creatività del paziente stesso. Il Seminario, infatti, elabora attraverso il lavoro psichico di messa in atto e di messa in parola del gruppo, l’esperienza di soggettivazione che appartiene al paziente.

Infine l’èquipe dell'associazione DAI (Disturbi Alimentari in Istituzione) ha esposto il resoconto della prima esperienza di Intervisione prevista dalla terza parte del Progetto “Raccontare ed ascoltare il caso clinico”. Nel Progetto, un’intera équipe può raccontare un caso clinico di rete ad un gruppo di esterni coordinato da coppie di psicoanalisti SPI. L’equipe multidisciplinare DAI, composta da psicoanalisti, endocrinologi, nutrizionisti e psichiatri impegnati nel trattamento dell’anoressia, bulimia e obesità, ha deciso di utilizzare l’intervisione, coordinata da Candela e Narracci, per rivisitare i primi movimenti del trattamento di una paziente arrivata all’inizio dell’estate. Le gravi condizione fisiche, la presenza di un padre medico e il periodo dell’anno nel quale gli ospedali non accettavano ricoveri, se non in pronto soccorso, avevano messo in difficoltà la tenuta della rete e la condivisione della cultura psicoanalitica. Incomprensioni e divergenze avevano bloccato l’abituale dialogo e confronto tra medici e psicoanalisti su cosa significa “essere un corpo” ed “essere una mente” e sui tempi della relazione, coesistenza e integrazione tra mente e corpo. Anche se al momento dell’intervisione la fase critica del caso era stata superata, era però rimasto attivo nell’equipe un clima di tensione. Il gruppo nell’Intervisione ha lavorato sulle diverse responsabilità dei medici rispetto agli psicologi e sul ridimensionamento dell’aspettativa di evitare i conflitti nel trattamento dei pazienti gravi.

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