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Report di Ornella Filograna sul Convegno "Etica e Mito" (7-9 giugno 2013)

L’etica con Antigone: da Sofocle ai nostri giorni

Il convegno di Siracusa ci ha proposto nuovamente il tema dell’etica, già al centro del congresso 2012 della Società Italiana di Psicoanalisi, in questa ultima occasione legato anche espressivamente all’immortale tragedia di Antigone rappresentata nell’antico teatro, ed evocata nel congresso SPI in modo diretto dalla relazione della prof.ssa Borutti “La philia di Antigone”.

Filo conduttore del convegno è stato il pensiero che il mito narra ed esprime dimensioni etiche intese come tensione verso la conoscenza, verso la responsabilità del pensare, verso il riconoscimento dei legami ( Riccardo Romano, Milena Cappabianca, Matilde Vigneri), dimensioni etiche oggi fortemente messe in crisi dalla cultura postmoderna.

Riferirò solo di alcune tra le molte interessanti relazioni, per la risonanza che mi hanno suscitato, a conferma della straordinaria efficacia del mito, ed in particolare quello di Antigone, nel continuare dopo millenni ad alimentare il nostro pensiero.

Emma Seminara in “La disobbedienza di Antigone alla legge” sottolinea come Antigone disobbedisce alle legge di Creonte che,come tutte le leggi, non è sacra ma è calata nel tempo e nel bisogno degli uomini di regolare i rapporti sociali nel contesto storico nel quale nasce la regola.

Dunque il diritto è mutabile e soggetto ad errore, tanto che la nostra Costituzione, e più di recente la Corte Europea dei diritti dell’uomo, si sono dotate di strumenti a difesa dei diritti inviolabili.

Così l’obbedienza a leggi ingiuste, come quelle dei dittatori o dei tiranni, od a norme sociali che esprimono prevaricazione di un essere umano su un altro, ha portato e porta orrore e morti, con il silenziamento della coscienza affettiva e della pensabilità.

La disobbedienza alla legge ingiusta non è anarchia, ma si accompagna al rispetto dello Stato ed ha valore propulsivo ( si ricordano le reclusioni degli obiettori al servizio militare negli anni 60).

Dice Emma Seminara: “ la pensabilità messa in moto da Antigone brilla nel confronto con l’atteggiamento comune, condiviso all’inizio anche dal coro. La sentinella e tanti altri si erano messi “seduti sul ciglio della collina, al riparo dal vento per evitare la puzza” del cadavere in decomposizione. Con Polinice lontano dagli occhi e dal naso, avevano scelto l’impensabilità, precludendosi già la possibilità empirica di percepire ingiustizia e sofferenza attraverso i sensi dell’olfatto e della vista ed evitando per questa via di farsi “toccare” dentro e di formare memoria, di raccontare e di agire…

Noemi Saggioli, “Antigone e Ismene o della Sorellanza” sostiene che se Antigone e Ismene avessero seppellito insieme Polinice avrebbero espresso una solidarietà politica, cioè una sorellanza, unione di coloro che sono oppresse.Ma entrambe sono immerse in una condizione di dipendenza dagli uomini, di non separatezza, che non consente di realizzare la sorellanza e le tiene calate nella legge del padre: Ismene ne ha paura, Antigone la vive nell’amore per Polinice, che prevale sulla sua stessa vita.

Oggi pensiamo che il coraggio di Antigone, il suo possedere “un più” rispetto alla sorella, non porta ad una relazione politica tra le due, che richiederebbe, per nascere,il riconoscimento delle loro differenze, partendo da un atto di autocoscienza ,come dice l’autrice.

Sofocle crea un presupposto di questa possibilità, potenzialmente salvifica per tutti, poiché Ismene si offre di seguire Antigone, ma in una delle possibili letture psicoanalitiche, l’onnipotente narcisismo di Antigone impedisce la sorellanza.

Un punto di vista contrapposto (ma questo fa parte della ricchezza degli stimoli offerti dal mito, come sottolinea Riolo) sull’onnipotenza espressa da Antigone emerge nelle relazioni di G. Goretti e N. Nocifero.

Giovanna Goretti nel testo “ Per un pugno di polvere” interpreta la vicenda di Antigone nella tragedia come una serie di agiti tutti orientati da una scelta oncofilica che nega il pensiero e l’elaborazione del lutto. Attraverso il ricongiungimento con l’oggetto perduto morto, vero scopo di Antigone, viene evitato il dolore della separazione in un annullamento onnipotente della differenza tra i vivi e i morti. Antigone non può chiedere la grazia a Creonte, perché la morte di Polinice è un pretesto per l’affermazione narcisistica di sé, frutto del proprio orgoglio e della ricerca di fama.

Nicola Nociforo in “Etica ed Editto, il paradosso di Creonte “ legge invece, proprio il conflitto tra Antigone e Creonte come quello tra la realtà affettiva ed il suo diniego: il lavoro del lutto espresso con il rito del seppellimento contro l’editto che vorrebbe cancellare la possibilità elaborativa del dolore.

Attraverso il mito l’autore interpreta la crisi economica mondiale come effetto dell’impensabilità. Creonte agisce per conto di una Tebe passiva, come l‘Europa di questi anni; come allora, si cercano soluzioni con editti, tasse e tagli, ad una crisi economica che esprime lo scontro tra le pratiche dell’economia del lavoro e le speculazioni finanziarie, operate onnipotentemente nel grembo della madre borsa, scindendo ed espellendo nella società l’angoscia del cambiamento.

“Creonte rappresenta il paradosso della istituzione che, emanando editti, anziché fare i conti con i propri fantasmi,seppellisce i vivi circondandosi di morte e impensabilità…( mentre )…Antigone, nel rivendicare il diritto di seppellire il fratello, oppone all’istituzione la voce ed il corpo del suo fantasma che, insepolto, abbandonato fuori dalla terra, impedisce il riconoscimento dei desideri incestuosi, e quindi la possibilità di elaborarli e rimuoverli, istituendo così l’area del mistero e dell’enigma, del fantasma e del simbolo, precursori di pensabilità”…

Infine, in un articolo apparentemente lontano dal convegno di Siracusa, dal mito e dalla psicoanalisi, comparso sull’inserto La Lettura del Corriere della Sera, domenica 16 giugno, a firma Paolo Giordano, dal titolo “ Non dimenticate il soldato numero 53, Il capitano Giuseppe La Rosa ha un’altra missione: aiutare l’Italia a ricordare”, lo scrittore, che si riferisce alle vittime della guerra in Afghanistan, descrive come un iter codificato, la progressiva e sempre più rapida scomparsa della notizia della morte del militare dai vari mezzi d’informazione, ormai ridotta nell’arco di poche ore.

Come se non fosse possibile trattenere, sulle pagine dei giornali e nelle nostre memorie, il ricordo di morti che ci riguardano e che richiedono invece“un percorso approfondito dentro di noi, un’elaborazione luttuosa che chiami in causa il sentimento”. Ugualmente i reduci feriti, che portano sul corpo i segni del loro sacrificio, non trovano al rientro nessuna traccia del dolore che li ha colpiti su coloro che sono rimasti al sicuro, ed il loro disorientamento sarà riconosciuto da una diagnosi di disturbo postraumatico da stress.

La conclusione propone, come un tributo personale a quei morti, di “soffermarsi sui fatti con l’immaginazione, trasformandoli da cronaca sterile in racconto”, restituendo alla nostra coscienza quel che le compete di responsabilità etica ed esperienza personale.

In definitiva, un invito a non rimanere come le guardie in cima alla collina…

                                                                                                                            Ornella Filograna

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