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Alcune considerazioni in margine al XVI Congresso Nazionale SPI di Giuseppe Riefolo (Roma, 25-27 maggio 2012)

Alcune considerazioni in margine al XVI Congresso SPI.

Roma, 27 maggio 2012.

Una prima considerazione è di metodo. E’ stata molto evidente nelle tre giornate la proposta di snellire il metodo dei lavori.   In modo singolare devo riconoscere che si è trattato di una posizione che nei fatti proponeva nuove regole per una realtà sociale visibilmente cambiata rispetto al passato e quindi il suggerimento andava nella direzione di limitare il narcisismo dei relatori i quali – come spesso accade negli altri convegni, (ma stranamente in quelli psicoanalitici le cose non sono differenti…) – nelle loro presentazioni indugiano fra l’esibirsi e il presentare la propria proposta. Soprattutto nelle relazioni plenarie delle mattine (un po’ meno nella mattina conclusiva…) ho potuto apprezzare lo sforzo dei conduttori (in evidente accordo con gli organizzatori), la capacità di mantenere la durata delle relazioni nei tempi previsti e, ancor di più, il suggerimento ai relatori di presentare la propria proposta in maniera sintetica, magari sostenendosi con dispositivi figurati (power-point, immagini, …), rinviando la proposta più articolata alla lettura degli atti i quali, come è consuetudine da alcuni anni, erano già prestampati e disponibili per i partecipanti. Ritengo che questo sia un cambiamento “strutturale” di notevole portata, poiché tiene conto che “il medium è il contenuto” (McLhuan) e che soprattutto gli analisti è utile utilizzino  le potenzialità del setting (definizione dei tempi e dei registri di comunicazione secondo regole implicite ed esplicite condivise), anche nei loro incontri scientifici. Personalmente riconosco che, grazie a questo sforzo di metodo, sono riuscito a mantenere l’attenzione per tutti gli interventi proposti non dovendo scivolare, come in altre occasioni, nella simmetrica risposta narcisistica di annoiarmi e distrarmi a seguito di presentazioni lunghe e proposte magari leggendo un testo già scritto.

Sempre sul piano del metodo, devo riconoscere che ciò  è accaduto di meno nelle sessioni pomeridiane dedicate ai Panel paralleli e alle sessioni plenarie conclusive. Considero i contesti dei Panel come gli spazi più vivi di un congresso dove più voci si articolano e dove il livello del confronto può essere più semplice e immediato e dove le relazioni plenarie possono trovare fertile utilizzazione, magari rimanendo sullo sfondo. Ma  “come accade sempre/puntualmente” (cito letteralmente dalle molte considerazioni raccolte negli interstizi del congresso) i Panel erano messi in modo tale che la discussione sulle proposte è risultata molto sacrificata: forse le due sessioni plenarie conclusive del pomeriggio avrebbero potuto essere eliminate concedendo più tempo al lavoro dei Panel anche perché, nonostante l’innegabile buon livello delle proposte dei relatori, alle sessioni plenarie conclusive – alla fine di una giornata intensa – c’era aria di grande stanchezza e “ritiro di investimento narcisistico” da parte (mi è sembrato…) della gran parte.

Sul piano dei contenuti penso che il tentativo di forte incontro con i temi ed i codici dei contesti sociali sia sufficientemente riuscito: gli interventi dei “non psicoanalisti” sono risultati particolarmente stimolanti anche a giudicare dalle domande che hanno suscitato nel pubblico e, mi è sembrato, nell’eco che hanno mantenuto durante tutto il corso del congresso (ho notato con piacere che quasi tutti questi relatori “non psicoanalisti”, si sono trattenuti partecipando a tutti i lavori delle tre giornate: l’ho trovato segno di interesse oltre che di semplice ed “educato rispetto” per il contesto ospitante e, anche in questo caso, un felice uso narcisistico “creativo” verso il contesto…). I punti salienti che sembrano essere emersi – come elementi che venivano ad assumere una connotazione ed una sonorità particolare nella media dei toni e delle proposte delle tre giornate sono state, a mio parere (potrei dire secondo una mia posizione di fatto prescelto)  il tono evocativo – sonoro e visivo – del registro comunicativo di Magrelli; la posizione rigorosa e intensa della filosofa Borutti che, in perfetta sintonia con il registro analitico proponeva un ribaltamento dei vertici della lettura dell’Antigone cogliendone la posizione creativa in ordine alla filìa piuttosto che in ordine alla irriducibilità delle regole sociali. Personalmente ho trovato interessanti gli interventi di Lorena Preta sul legame complesso del movimento che lega le “cose” verso quelli che in psicoanalisi sono gli “oggetti”; o anche di Alessandro Garella che ha puntualizzato in modo utile il processo tra posizione liquida (aperta alle plurime identità potenziali) e lo smarrimento (angoscia? depersonalizzazione? ricomposizione dissociativa?…) della posizione di “liquefazione”, ovvero sedimentazione delle potenzialità “liquide” nelle identità.

Ovviamente la seconda mattinata era destinata – per i particolari ospiti della società civile – ad essere la più stimolante e, in realtà lo è stata. Sono stato colpito dal fatto che eventi che siamo soliti osservare e vivere in cornici oramai consuete, questa volta accadessero all’interno di una cornice particolare che me li faceva sentire più intimi. Consideravo anche che gli stessi personaggi –Profumo e Camusso – li sentivo muoversi su toni insoliti. Ovviamente veniva da pensare – anche in questo caso – che il setting ha la potenza di segnalare l’originale dall’evento solito e consueto. Alla fine della mattinata mi chiedevo, però, quanto eravamo riusciti a cogliere dal vertice analitico del particolare incontro – in una cornice per loro insolita – tra il banchiere Profumo e la sindacalista Camusso, ovvero quanto gli psicoanalisti sanno fare un uso psicoanalitico della realtà. Ovviamente il tema è complesso ed io non ho risposte, forse solo qualche sensazione su cui è utile continuare a trattenersi. Non so se è un caso (ma a me ha fatto piacere…), le ultime due mattinate sono state chiuse dalla presenza di due donne, Camusso e Ferruta e mi ha fatto piacere che il congresso si chiudesse con le suggestioni di Anna Ferruta per un narcisismo che soprattutto è movimento e che deve portare a “divenire grandi” (F. Fortini) perché Narciso non è solo quello che è immobile a rispecchiarsi, ma è soprattutto quello nato dai vortici di un fiume.

Giuseppe Riefolo

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