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“Il volto della memoria: l’attualità dell’insegnamento etico di Leone Ginzburg” (23 gennaio 2025). Report di Veronica Nicoletti

La serata scientifica del 23 gennaio 2025, organizzata dal Centro di Psicoanalisi Romano e dal Centro Psicoanalitico di Roma per la commemorazione della Shoah viene introdotta da un primo intervento di Diana Norsa che sottolinea l’attualità del pensiero di Leone Ginzburg per leggere i terribili eventi di distruzione e di ferita al senso di umanità che riguardano in questi giorni Israele e Gaza. Pone una domanda centrale: "Quali strumenti abbiamo di fronte alla distruzione?”. Ripercorrendo i contributi che la psicoanalisi ha cercato di dare alle vicende storiche, Diana Norsa parte dalle prime considerazioni pessimistiche di Freud sulla pulsione di morte come forza sempre attiva all’interno dell’individuo e pronta a riattivarsi con modalità devastanti, come quelle che trovano espressione nella guerra. Anche Franco Fornari, nel testo “Psicoanalisi della guerra”, segnala la convinzione che la guerra sia frutto di un’elaborazione paranoica del lutto, ovvero dell’incapacità di compiere il lavoro del lutto fino alla sua completa accettazione, sostituendolo con il controllo sadico dell’oggetto frustrante. Questo iniziale pessimismo è stato nel tempo affiancato dal recupero del valore delle istanze riparatrici, sulle quali la psicoanalisi ha riposto sempre molta fiducia.

Ciò è evidente nel pensiero e nell’impegno di Partenope Bion, che è stata membro attivo della commissione chiamata “psicoanalisi contro le armi nucleari” che l’IPA ha istituito nel 1985, la quale sottolinea come di fronte all’impensabilità della distruzione totale, c’è la necessità di proteggere e ricreare aree sane e vitali facendo parte di “un gruppo sufficientemente forte mentalmente e sufficientemente debole operativamente per essere protetto da due conseguenze nefaste: impazzire o fuggire verso l’azione”. Il sentimento di appartenenza a un gruppo forte nel pensare e debole nell’agire sembra essere un antidoto alla distruttività, sentimento che ha caratterizzato anche la crescita e lo sviluppo culturale di Leone Ginzburg, grazie alla frequentazione di intellettuali antifascisti con i quali ha condiviso il desiderio di diffondere valori culturali cosmopoliti e di libertà. Sia nei suoi scritti politici, che nella figura di letterato accanto a un gruppo di intellettuali, tra i quali Norberto Bobbio, Cesare Pavese, Vittorio Foa e dell’impegno editoriale con Luigi Einaudi, si ritrova lo sprone a rintracciare il senso nascosto delle cose, recuperare ciò che veniva mistificato dalla propaganda di regime e il desiderio di offrire al lettore gli strumenti per usare in modo più ampio le proprie capacità critiche e analitiche, in una parola un pensiero indipendente.

Quest’ultimo punto viene ripreso da Antonio Bonanno nel suo breve intervento introduttivo alla serata, nel quale rintraccia l’esistenza di una sorta di pensiero psicoanalitico nell’azione e negli scritti di Leone Ginzburg. In particolare, lo individua nel desiderio di rendere ogni lettore capace di un pensiero indipendente, il che è simile al fine di ogni analisi, così come nel richiamo ai miti fondativi, proposti nel successivo intervento di Anna Foa, che si ricollegano all’estensione nel campo del mito che caratterizza l’oggetto psicoanalitico. Anche la filologia politica di Leone Ginzburg, segnalata da Stefano Levi della Torre, richiama la propensione all’ascolto e all’introspezione come attività fondante l’agire dello psicoanalista dentro e fuori la stanza di analisi.

Segue quindi l’intervento di Anna Foa che con il titolo scelto del “L’occasione perduta” ipotizza che la precoce uccisione in carcere di Leone Ginzburg abbia impedito alle sue idee di confluire in un mito fondativo dell’Italia liberata dal fascismo, con un fondamento teorico che ricorda quello del Risorgimento italiano dopo il percorso carsico della Controriforma. Se la storia si fosse svolta diversamente, forse anche il Partito d’Azione, diviso tra “pratici” e “sognatori”, per dirla con Carlo Levi, sarebbe stato sostenuto da radici mitiche simili a quelle che rafforzarono i due grandi partiti di massa, il Partito Comunista e la Democrazia Cristiana. Anche il tema della nazionalità, così caro a Leone Ginzburg che la ottenne nel 1931 e la perse nel 1938 a seguito delle leggi razziali, viene proposta nel suo pensiero per ispirare un’idea di nazione moderna e cosmopolita. Infine, Anna Foa ricorda la scelta di tenere la schiena dritta di Leone Ginzburg e altri intellettuali dell’epoca, di non piegarsi al regime fascista, come una guida ideologica da utilizzare anche per leggere e affrontare anche quello che accade oggi e che riguarda i genocidi che ancora avvengono in tutto il mondo.

A seguire, Stefano Levi della Torre inizia l’intervento ponendo in risalto l’interesse per la filologia riscontrato nel pensiero e negli scritti di Leone Ginzburg, e in particolare una filologia politica che lo portò a comprendere che il Fascismo non era solo una prevaricazione violenta, cui opporre una condanna intransigente, ma si basava su un crescente consenso di massa, un consenso il più possibile omogeneo e unificato, di cui era necessario comprendere le modalità di formazione al fine di combatterlo. Conia per definire questo processo il termine di “assodamento”, la tendenza ad aggregare i pensieri intorno a un’unica visione, da contrapporre invece al lavoro di “dissodamento”, di dispersione dei pensieri con estensione nel campo delle diversità.

Queste riflessioni si ritrovano in un altro tema caro a Leone Ginzburg, quello delle autonomie: ovvero l’idea di uno stato che si forma come un processo di convergenza di autonomie e di diversità, garantendo il valore della democrazia come fondamento della costituzione italiana. Tale visione si contrappone all’idea fascista di un’unità centralizzata imposta con la forza, come la declinazione fascista dell’eredità del Risorgimento, in collusione con la monarchia sabauda e in compromesso con la chiesa. Infine, Levi della Torre rintraccia tra le motivazioni profonde che hanno portato alla eliminazione di Leone Ginzburg anche il suo essere l’ebreo più angoscioso per l’antisemitismo, in quanto rappresentava un ebreo atipico nel suo essere ebreo assimilato eppure ebreo, apolide ma naturalizzato profondamente in Italia, imbarazzante per l’intelletto e la cultura, deviante dalle dottrine di regime, intransigente nell’opposizione.

La serata prosegue con una serie di interventi del pubblico presente in sala e collegato on-line. Tra questi David Ventura pone in risalto l’intransigenza nella figura di Leone Ginzburg non solo nella resistenza politica ma anche nel conservare un senso di umanità e il sapersi riconoscere negli altri, e sottolinea come la psicoanalisi abbia ancora molto da comprendere sulla distruttività della natura umana e sui processi di disumanizzazione che sono sempre più diffusi nella società attuale nazionale e internazionale. Diomira Petrelli richiama invece gli studi sul narcisismo patologico di Rosenfeld, in particolare l’analogia che l’autore fa tra la sottomissione delle parti dipendenti della personalità da parte di quelle tiranniche e le dittature che sottomettono e dominano interi popoli, seducendoli con la promessa di onnipotenza e supremazia. Anche in questo caso la possibilità di resistere a tali tendenze distruttive si ritrova nel riconoscimento del bisogno di aiuto e di accoglimento delle differenze e delle fragilità. Infine, Alessandra Ginzburg fa un intervento che riporta l’attenzione sull’attualità, su quello che sta succedendo in questi giorni a Gaza e in Cisgiordania, degli effetti devastanti della guerra sulle vite dei singoli e sul loro futuro e invita ad abbracciare una visione complessa e allargata della attualità, che contempli e integri diverse opinioni senza la pretesa di ridurle a un pensiero unico.

 

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