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Psicoanalisi e nuove forme di legami. La coppia e la famiglia nel terzo millennio (20-21 aprile 2024). Report di Valeria Gubbiotti

Il 20-21 Aprile 2024 si è tenuto presso il Centro di Psicoanalisi Romano (CdPR) il Convegno “Psicoanalisi e nuove forme di legami. La coppia e la famiglia nel terzo millennio”, che ha visto come protagonisti ospiti di rilievo nazionale e internazionale e realizzatosi grazie al grande impegno organizzativo di Alessandra Balloni, segretaria scientifica del CdPR.

Il tema proposto, di grande attualità nel dibattito scientifico attuale, riguarda la più ampia questione delle trasformazioni e dei cambiamenti nell’individuo e nella società e di come questi possano essere compresi e integrati dalla psicoanalisi. È un tema di grande complessità che ci coinvolge nel lavoro con i pazienti e nel rapporto che instauriamo con la realtà di oggi. Tale sembra essere il filo che lega i diversi lavori presentati nel corso del convegnoe che, nei movimenti a volte anche disperati nel nostro tempo, fanno intravedere indizi di ciò che appare un’epoca in evoluzione.

In apertura il saluto dei rappresentati istituzionali: il Presidente della Società Psicoanalitica Italiana Sarantis Thanopulos, il Presidente del Centro di Psicoanalisi Romano Luigi Solano e la Segretaria scientifica Alessandra Balloni.

Balloni sottolinea che il lavoro che la coppia deve svolgere è sui patti narcisistici che talvolta contrae e anche sul maschile e sul femminile come prodotto di costruzione del legame. Ci ricorda i cambiamenti nella formazione dell’inconscio attraverso la dimensione intersoggettiva della sessualità, nel complesso di edipo e dei suoi destini nell’orizzonte contemporaneo. La capacità di ascolto di fronte a questi grandi cambiamenti ci porta come analisti alla difficile posizione di lasciare alcune domande aperte, tollerare la posizione di impotenza e confrontarci con la mancanza e l’incompletezza.

La domanda che si pone Thanopulos riguarda quale ruolo abbiano le funzioni genitoriali oggi rispetto alla famiglia, perché queste tradizionalmente hanno il compito di tenere in vita il mandato famigliare. Il rapporto tra i genitori sorregge il rapporto che i singoli hanno con i figli ed è attraverso questo che da una prospettiva psicoanalitica classica l’edipo può essere sperimentato nella relazione. Lo spazio edipico è centrale nella formazione della famiglia costituendone il limite, il senso di misura e il canone. All’interno di questo spazio di legame si trova la trasmissione transgenerazionale del lutto elaborato o non elaborato e la capacità di scambio della famiglia con l’esterno.

Per Solano la famiglia è un insieme più esteso in cui l’influenza delle dinamiche intersoggettive condizionano l’individuo a diversi livelli. Nella coppia emerge l’effetto dei contenuti transgenerazionali nell’ipotesi che dinamiche inconsce portano a comportamenti manifesti. Il vertice di osservazione è dalle relazioni reali alla consapevolezza che queste siano influenzate dalle relazioni oggettuali interne e dai modelli di attaccamento. Appartenere ad una coppia è importante perché ha dei profondi risultati positivi nella crescita dell’individuo e nell’assunzione e mantenimento dell’identità di genere.

La parola passa ai relatori.

Mary Morgan presenta un suggestivo lavoro in cui ci proietta verso questo momento storico di radicale cambiamento, sottolineando come lo sviluppo della società abbia avuto un impatto anche nel legame di coppia. Nelle sue parole ci fa sentire il profilarsi all’orizzonte di fenomeni che contrassegnano profonde evoluzioni nel pensare ai legami: partner dello stesso sesso possono, nei paesi che lo consentono, sposarsi legalmente se lo desiderano e avere dei figli, le relazioni aperte sono riconosciute, il poliamore è sempre più diffuso, i giovani sperimentano diverse identificazioni di genere e forme di accoppiamento sessuale. Attualmente è difficile definire come le coppie si muovano in questi cambiamenti verso una maggiore diversità, quello che sappiamo è che a volte la sperimentazione è liberatoria altre volte confusa e si mantiene così nel tempo.

In questo contesto ci si potrebbe aspettare una considerevole tolleranza e persino un apprezzamento dell’alterità nelle dinamiche delle relazioni interne alla coppia, ma l’accettazione della diversità rimane un problema intrinseco per molte di queste. Solo nel tempo, infatti, viene messa a fuoco la realtà della separatezza ed emerge la caratteristica intrinseca e paradossale del legame: essere allo stesso tempo insieme e separati. Il “lavoro del legame” mira a riconoscere questo aspetto e a superare la diffidenza nel riconoscersi diverso dall’altro.

Nell’interessante caso clinico presentato, viene ben descritta la tensione della coppia tra il tollerare la diversità dell’altro e una tendenza più narcisistica di trovare un altro che sia perfettamente in sintonia e non separato. La coppia descritta è bloccata nello stato di “stallo proiettivo” una fusione regredita attratta da una condizione di unità che funziona attraverso l’identificazione proiettiva, per mantenere lo stato di “io sono te e te sei me”. In tali coppie il proprio senso di sé, inteso come una pelle psichica, non si è mai sviluppato e finiscono per diventare mortifere e claustrofobiche.

La relazione di Mary Morgan ci ha fatto riflettere su come il lavoro psicoanalitico con le coppie possa accrescere e rinforzare il processo di individuazione della persona mettendo in discussione il proprio senso di sé e ridefinendolo continuamente. L’intimità, allora, si riscopre nelle differenze insieme alla curiosità e all’immaginazione dell’altro, che può essere conosciuto “dall’esterno” e non “dall’interno” attraverso l’identificazione proiettiva.

Anna Maria Nicolò presenta una relazione densa di riflessioni teoriche e cliniche affrontando il tema del maschile e del femminile nelle configurazioni attuali delle coppie. Conosciamo il loro funzionamento? Oggi è una domanda importante per lo psicoanalista perché nuove patologie sono apparse soprattutto relative al corpo e alla definizione di identità.

Il complesso edipico, che prima si imponeva come organizzatore del funzionamento individuale e famigliare, è sfidato dalle sue nuove forme influenzando le configurazioni sociali della famiglia.

Se a livello del funzionamento intrapsichico di ciascuno dei due membri della coppia la scena primaria e la figura parentale combinata è ancora la base per le identificazioni maschili e femminili la grande sfida per lo psicoanalista oggi è comprendere un nuovo livello: quello interpersonale del legame. La coppia come unità integrata è capace di modificarsi grazie allo spazio intermedio e condiviso con l’altro, inteso come estensione del me e del non me. Questo traguardo della relazione non è scontato in quanto, insito nel legame, esiste una quota di estraneità capace di suscitare rabbia, invidia e gelosia. La capacità di mantenere in equilibrio dinamico la quota di estraneità con la quota di fusione con l’altro garantisce una continua trasformazione, anzi è proprio l’alterità a stimolare la trasformazione della coppia. Se manca questo processo non emerge il terzo. Da questo vertice d’osservazione le funzioni maschili e femminili non sono solo caratteristiche intrapsichiche ma diventano funzioni dell’insieme dello spazio di coppia. Nelle dinamiche famigliari la coppia coniugale e lo stile di interazione dei genitori diventa centrale e definiscono una specifica attribuzione alle identità di genere la cui attualizzazione nella vita quotidiana rappresenta per il figlio un punto di riferimento. Nel caso clinico proposto la scelta del partner, fondata su alleanze inconsce, rappresenta il primo organizzatore della coppia e la collusione interna appare fortemente difensiva, finalizzata ad evitare che determinati vissuti vengano a galla. Emerge un maschile e un femminile come prodotto della coppia e ciò significa anche che ogni coppia veicola un maschile e femminile diverso. Se i partner modificano la dinamica del patto inconscio che li unisce, questo può cambiare l’origine dell’identificazione maschile e femminile per i figli. Nel caso clinico lavorare su questi aspetti ha liberato la figlia dall’essere porta voce di questo tema confuso che caratterizzava i genitori.

Segue un ampio e vivace dibattito con la sala in cui emergono varie riflessioni sulla famiglia, sui mutamenti del complesso di edipo, pensato oggi sia come un’organizzazione intrapsichica che come un’organizzazione proveniente dall’esterno, sul tema del narcisismo in primo piano non come patologia individuale, ma come patologia del legame.

Il primo caso clinico ispira il dibattito su un punto importante, che riguarda l’importanza di raggiungere nella terapia di coppia qualche grado di separatezza e sostenere il partner meno differenziato, in quanto un livello molto primitivo di strutturazione del legame può essere legato all’emergere dell’aggressività agita. La terapia di coppia può sostenere le terapie individuali in questo livello primitivo di differenziazione.

Una forma del complesso di edipo di cui non si è parlato esplicitamente nelle relazioni ma su cui si è dibattuto riguarda l’idea di un edipo molto primitivo, presente anche nel neonato, che appartiene al rapporto del bambino con i genitori e con il loro legame, con il padre reale e non solo con quello nella mente della madre come alcune ricerche sui neonati tendono a confermare. Per incoraggiare la curiosità su questi temi viene ricordato uno studio di Levi Strauss che aveva individuato 52 tipi di famiglie.

Si sottolinea che nelle relazioni e nella discussione la scena primaria rimane un’invariante con cui il soggetto si deve confrontare e la ricaduta di questa è su tutto il processo identificatorio.

Rosa Jaidin nel suo lavoro affronta il tema dell’identità di genere e della sessualità infantile. L’interrogativo che ci pone è come ascoltare oggi il sessuale nella coppia e come pensare la sessualità pregenitale distinta dalla sessualità adulta e dal sesso propriamente detto. La teoria freudiana della libido appare oggi troppo limitata e basata sull’evoluzione individuale e non permette di comprendere il sessuale nel legame di coppia. Laplanche distingue il sessuale, che emerge nella vita fantasmatica e contribuisce alla formazione della sessualità psichica, dal genere e dal sesso. Con il concetto di “seduzione originaria” l’adulto propone al bambino significanti verbali e non verbali, comportamenti pregni di riferimenti sessuali inconsci, enigmatici e non compresi dal bambino, ma registrati come una seduzione intraducibile per lui. L’assegnazione di genere è così attribuita in modo enigmatico nei primi 15 mesi di vita, fa riferimento agli infiniti messaggi rivolti al corpo e alla psiche del bambino e può cambiare il vettore dell’identificazione primitiva a partire dai messaggio inviati dagli altri.

Nel caso clinico presentato viene descritta una situazione in cui la percezione e i messaggi inconsci degli adulti vengono trasmessi attraverso assegnazioni pre-linguistiche e intraducibili per il figlio. Il bambino deve realizzare allora una traduzione progressiva delle assegnazioni dell’adulto per giungere a decodificare la posizione latente, a volte regressiva, dell’adulto polimorfo, riattivata dal contatto con i bambini e con i giovani. In tale comunicazione intersoggettiva è continua l’interpretazione dei significati enigmatici che contribuisce ad ampliare l’inconscio, in linea con l’ipotesi fondamentale di Kaes secondo cui l’inconscio è anche ectopico, cioè si estende negli altri da cui si differenzia progressivamente nel processo di individuazione.

Le strutture famigliari post moderne e il mito simbolico extrafamigliare facilitano l’identità di genere non binaria e condizionano le alleanze inconsce intra, inter e transgenerazionali con una complessa articolazione fantasmatica anche con il gruppo dei pari, soprattutto in pubertà e adolescenza. Oggi esistono varie forme di triangolazioni di cui l’edipo è il prototipo, ma i complessi si riferiscono anche ad una concezione gruppale della famiglia. Lo psichismo si costituisce come gruppo, soprattutto in adolescenza in cui il gruppo dei pari diventa un ponte indispensabile per fare un lavoro mentale e non restare intrappolati in una posizione passiva a rischio di frattura dell’io.

Diana Norsa e Giulio Cesare Zavattini attraverso la metafora del chiasma narcisistico, descrivono situazioni cliniche in cui c’è un repentino ribaltamento della vicenda emotiva senza che cambi sostanzialmente il quadro di riferimento. In queste circostanze a stupire è la repentinità del cambiamento e il vissuto di catastrofe che lo accompagna, lasciando spesso il terapeuta disorientato.

Nel caso clinico viene descritto molto bene questo funzionamento: la coppia presenta una prima fase di passionalità e unione reciproca ed una seconda in cui tutto sembra andare in pezzi e, come spesso accade, questa è anticipata dalla nascita di un figlio, da tradimenti o dalla fantasia di un tradimento. Nel caso descritto la sessualità è il collante principale e la dimensione sensoriale ad essa connessa ha il potere di veicolare elementi del sé primitivi di ciascuno. Allo stesso tempo la difficoltà nel pensare e nel regolare le emozioni all’interno della coppia fa sì che con facilità l’amore si trasformi in odio, diffidenza, rancore. La struttura di questo tipo di legame non sufficientemente solida e narcisistica di fronte al cambiamento manifesta una sottaciuta fragilità nella capacità rappresentativa.

Il riferimento alla tecnica terapeutica è stato particolarmente apprezzato: in questo rapido capovolgimento di significati dal prima al dopo, l’analista deve costruire, nel qui ed ora della seduta, un ponte attraverso un sistema di regolazione reciproca permettendo l’integrazione di molti aspetti del sé in una realtà dialogica condivisa.

Gli scambi in seduta attivano un riconoscimento reciproco della coppia che facilmente può essere perso determinando disconnessioni in cui nessuno dei due è più in grado di riconoscersi. L’analista deve essere lì in quel momento per cogliere l’emergere del chiasma nel capovolgimento di significati da positivo a negativo diventato testimone del prima e del dopo e così facendo costruisce un po' alla volta un ponte che permette di immaginare le emozioni proprie e dell’altro.

Con Elizabeth Palacios continuiamo ad interrogandoci sull’attualità. La nozione di coppia e famiglia non è universale, ogni periodo storico ne ha una ed è il prodotto di come ogni società articola le condizioni per realizzare le relazioni e il fare gruppo tra i soggetti. Bauman descrive le soggettività in fluidità del mondo attuale come “turisti alla ricerca di molteplici esperienze sociali evanescenti che alimentano il narcisismo, pellegrini alla ricerca di significati profondi di noi stessi che inizialmente la psicoanalisi poteva fornire”. Il filosofo ci ammonisce nel prestare più attenzione ai cambiamenti storici e sociali e a pensarli con categorie nuove, relative alle nuove condizioni sociali, altrimenti ci riferiamo a paradigmi ormai obsoleti.

Le forme di legame sono in evoluzione così come le diverse forme di erotizzazione che emergono oggi da strutture famigliari complesse, creando nuove relazioni di cui non abbiamo ancora un nome.

Le neo sessualità mostrano variazioni che sono sempre esistite come soluzione alla bipolarità maschile e femminile, che si evidenziano in qualche misura in ogni sessualità. Il pensiero di Palacios ci esorta a pensare alla psicoanalisi come ad un sistema aperto e non congetturale, inseparabile dall’esperienza clinica e sociale, in cui possano esistere spazi multipli di soggettivazione sessuale, non uno solo. L’identificazione e la somiglianza ci avvicina, ma la posizione di estraneità cela l’insidia di ritrovare l’altro nell’alienità. Integrare il simile dal diverso da sé, richiede un lavoro psicologico spesso doloroso da parte del soggetto, affinchè possa fare spazio e tollerare ciò che non è condiviso e possa dare vita a qualcosa di inedito. Le falle in tale processo di integrazione portano ostilità, diffidenza e paranoia, come spesso emerge anche nelle liti tra le coppie in cui il disagio dell’estraneità non è pensato come qualcosa di inerente al legame e al proprio modo di legarsi, piuttosto viene percepito come qualcosa di ectopico, un’anomalia esterna da sradicare. In questo stato della mente le reazioni di rabbia e rimprovero sono le forme primarie di espressione e vengono interpretate come sovraccariche di intenzioni malevoli. Viceversa se le differenze vengono annullate anche la relazione si annulla. È questo il caso di coppie che non possono separarsi né stare insieme, perché accettare l’altro come diverso dal proprio desiderio è un’incognita che può portare a nuove soluzioni a patto di poter affrontare la perdita ed il lutto delle proprie aspettative sull’altro.

Thimoty Keogh, in collegamento da Sidney in Australia, presenta una bella relazione di ampio respiro sulle capacità di adattamento delle famiglie alle sfide della società del terzo millennio. Nel mondo tormentato in cui viviamo alcuni nuclei relativamente ben funzionanti chiedono aiuto mentre lottano per accogliere i cambiamenti che, operando su dinamiche di fondo più primitive, possono utilizzare le morfologie famigliari contemporanee come mezzo per ritirarsi da difficoltà sottostanti molto più profonde. Stainer ha descritto lo stato di ritiro psichico suggerendo che esso si strutturi per evitare l’ansia del contatto con l’altro e con la realtà. Questi ritiri, insieme a funzionamenti difensivi estremamente inflessibili e primitivi, possono essere osservati anche nelle famiglie. Il modo in cui esploriamo alcune situazioni problematiche è fondamentale ed è alla base della capacità di differenziare le crisi di adattamento alle pressioni attuali sociali, rispetto agli stati di ritiro propriamente detti. È necessario saperci orientare nella cultura contemporanea e nelle numerose situazioni che incontriamo, essere aperti a nuove morfologie di coppia e di famiglia, se vogliamo che i pazienti ne esplorino con noi la struttura per poterne cogliere il funzionamento più profondo.

Nel bel caso clinico, Thimoty Keogh pur riconoscendo la “living apart together” come una delle forme di organizzazione contemporanea, ha esplorato come questa nascondesse ansie claustrofobiche e agorafobiche molto più profonde che dovevano essere affrontate. In questa situazione le influenze socio-culturali sono state utilizzate dalla famiglia in modo difensivo per evitare di affrontare funzionamenti primitivi connessi a perdite non metabolizzate e al trauma intergenerazionale. In linea con la visione di Anna Maria Nicolò che vede l’inconscio abitare anche nel transpersonale, la famiglia tentava di lottare per liberarsi da sentimenti spaventosi e da qualcosa di preoccupante che circolava tra di loro. Il sostegno collusivo di ciascuno dei famigliari ha portato ad una progressiva chiusura di ciascuno nel proprio guscio: la donna nel suo appartamento, lui nel lutto malinconico, la figlia nella propria stanza.

Gemma Trapanese approfondisce lo sviluppo della psicosessualità nel processo di soggettivazione mettendo a fuoco quelle vicende che vedono soprattutto nei processi identificatori un preciso snodo utile ad informarci sulla logica che li sottende e sui diversi destini identitari.

Una riflessione sulla contemporaneità ci introduce alla lettura del caso clinico. Pur nutrendo ciascuno di noi l’illusione di cogliere la realtà nel suo accadere e di essere presenti nel suo dispiegarsi, rimaniamo condannati a registrare fuori tempo e a nostra insaputa solo quelle realtà e quei fenomeni che la loro forma l’hanno già presa. Quello che ci rimane da fare è rassegnarci e far entrare nel nostro campo di osservazione ciò che sulla scena ha già fatto la sua comparsa. L’impressione che se ne trae è che le nostre riflessioni arrivino sempre in ritardo. Questo è quanto riguarda oggi l’arduo compito di rimpostare il concetto di identità, sempre più inquadrabile in uno spettro che viene considerato ampio, come attuale è la lotta di integrazione di diverse identità. Lo sguardo dell’osservatore è allenato ad andare tanto più in profondità quanto più è ampio lo spazio di riflessione, affinché sia in grado di cogliere una realtà psichica che è molto complessa.

La lettura condivisa del caso clinico riguarda una giovane adolescente alle prese con l’incapacità di elaborare il tramonto del complesso edipico, portandola ad investimenti impossibili nel gestire la complessa articolazione del proprio sviluppo. Il lutto non elaborato dei genitori, sostituito da contenuti idealizzati, viene trasmesso alla ragazza imprigionandola in immagini di sé alienanti, che contribuiranno ad ipotecare lo sviluppo della struttura edipica come istanza differenziante. Il fallimento dello sviluppo dal pre-edipico all’edipico precipiterà in una tormentata e confusa ricerca di sé, ostacolando il progressivo strutturarsi di una maggiore differenziazione a testimonianza dell’impossibilità di vivere il lutto delle illusioni infantili e di dare al desiderio un suo significato compiuto.

Il dibattito finale si è nutrito della presenza di numerosi interventi e di una pluralità di voci che hanno messo a fuoco principalmente due questioni: che cosa è una famiglia? Cosa la definisce tale? Quali le sue invarianti? E ancora la questione dell’Edipo: quale destino per il soggetto di oggi? Siamo ancora disposti a sostenere le differenze tra le generazioni o quello che appare come una rivoluzione riguarda l’evitamento di una dimensione dolorosa e conflittuale? Quale limite al mito dell’autogenerazione per il soggetto che vorrebbe definirsi nuovo e svincolato da ogni riferimento corporeo tradizionale?

Dalla sala emerge che la natura del legame può essere pensata come un faro che ci guida verso la costellazione psichica che determina la morfologia di una famiglia. Se la struttura ne determina la differenza, questa è ciò su cui dobbiamo allargare la nostra mente, accettando la dimensione più ampia della famiglia. Il lavoro di Timothy Keogh su questo punto analizza molto bene come il mandato della famiglia rimanga quello di riposizionare le funzioni proiettive della coppia riavviando il processo di elaborazione del lutto che aveva coinvolto anche la piccola di 9 anni.

Si osserva anche che le pressioni a cui siamo soggetti nella contemporaneità suscitano vissuti di profonda incertezza che riguardano il pianeta ed i giovani: chi pensa al futuro prova un’angoscia che deve continuamente essere rinegoziata. Come l’analista della coppia e della famiglia riesce a metabolizzarla?

Il resoconto, vista l’ampiezza e la complessità delle relazioni, non può che essere parziale. Desidero però segnalare che nel labirintico territorio di differenti modelli, autori, linguaggi e provenienze, le osservazioni e i commenti dei discussant, Massimiliano Sommantico, Giuseppe Saraò e Donatella Lisciotto, ci hanno fornito nel corso dell’intero convengo una solida bussola su cui orientarci, così come preziosi sono stati gli interventi dei chiar, Daniela Lucarelli, Nicolino Rossi e Ludovica Grassi, che hanno modulato il susseguirsi di relazioni e dibattiti.

Il nostro pensiero è stato stimolato anche grazie al grande impegno infuso nel coltivare il dialogo tra la diversità dei modelli teorici insieme alla capacità di interpretare e dare voce agli aspetti più creativi e innovativi del pensiero dei relatori.

 

Vedi anche: Psicoanalisi e nuove forme di legami. La coppia e la famiglia nel terzo millennio (20-21 aprile 2024)

 

 

 

 

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