Lorenzo Iannotta, chair della serata scientifica, apre l’incontro con la citazione di Tullio De Mauro “Se vogliamo fare il mestiere più difficile, che è quello di esseri umani e persone civili, dobbiamo conoscere e usare bene le parole”. La talking cure, utilizzata in analisi, è da sempre alla ricerca di un linguaggio che accompagna gli stati emotivi della seduta.
La serata tocca argomenti come la composizione dei testi e la cooperazione interpretativa autore/lettore, l’umorismo, l’utilizzo di figure retoriche e la possibilità che le “parole in gioco” possano portare ad una rottura della fissità degli schemi abituali in favore di una comprensione più sfaccettata della realtà umana.
Guido Berdini, relatore della partecipata e travolgente serata scientifica, considera le potenzialità trasformative presenti nel linguaggio come fattori creativi poiché capaci di generare nuove e molteplici linee di senso. Berdini è interessato particolarmente alla dimensione “giocosa” del linguaggio, ai giochi di parole come risorsa espressivo-comunicativa, poiché ciò che muove la sua ricerca è il dialogo che si intesse in seduta, specifico di ogni coppia analitica al lavoro che deve trovare un proprio lessico e modo di comunicare, mai troppo saturo. Pertanto, in terapia, è importante strutturare un linguaggio condiviso che si arricchisce nel tempo, diventando più familiare ma anche, al contempo, aperto al nuovo. Il gioco esalta il doppio senso, l’ambiguità, fino a comporre almeno due isotopie concorrenti che si intrecciano, si elidono, si inseguono e si potenziano… il gioco, infatti, reintroduce elementi scartati dalla selezione, anziché narcotizzarli.
Usare una metafora inappropriata può però anche arrestare un processo di sintonizzazione emotiva, ecco perché è importante dosare e usare le parole. Basti pensare ai lapsus in cui un vocabolo prende il posto di un altro e ai vari giochi di parole in cui c’è la possibilità di recuperare i potenziali percorsi di senso su cui il contesto opera, di norma, una selezione. “Conosci Te STESO” è stato il “divertimento linguistico” maggiormente apprezzato nella serata: chi meglio di noi analisti può apprezzarne il significato?! Tale espressione è composta da parole normalmente escludentisi quando vengono concatenate, eppure il significato reale e umoristico viene intrecciato generando una linea di senso comprensibile per tutti coloro che hanno esperienza di un percorso analitico. I giochi di parole possono fungere, pertanto, da moltiplicatori dell’espressività dei processi linguistici. Anche analisti celebri si sono cimentati con aspetti ludico-verbali: Bion “I scream”, Winnicott “Sum: I am”, Lacan “Les non dupes errent”.
Grazie alla dimensione giocosa linguistica c’è dunque la possibilità di uscire da “gabbie lessicali” che impediscono di immaginare percorsi alternativi e, al contempo, superandone i vincoli. Soprattutto all’inizio di un percorso terapeutico i pazienti, in genere, hanno un linguaggio scarno, fattuale, chiuso, disegnano storie di vita de-soggettivate, centrate su termini che hanno perso spessore e affetti. È anche grazie al linguaggio, alla traduzione in parole di una sofferenza indicibile, che la si può rendere pensabile e maggiormente tollerabile in analisi; infatti, dice Berdini, il rapporto terapeutico si sviluppa nel senso di restituire spessore a metafore logore e di riprendere i fili di storie interrotte, fissate poiché “sono gli affetti di senso che anticipano il regno del semantico, del concetto e della sintassi” (Civitarese). È fondamentale, riprendendo il filosofo De Beistegui in merito la legge della trasposizione e della dislocazione che trova la sua origine in un deficit ontologico strutturale dell’essere, concorrere a strutturare una realtà psicosomatica e relazionale- sociale in continuo movimento, cioè fatta di un incessante lavoro di contatto-contagio su diversi piani, che collega le cose e gli eventi, li confronta, li sostituisce, li ibrida e li trasforma. Anche in analisi avvengono tali processi di oscillazione di senso, dice Berdini, ovvero di declinazione di giochi di parole atti a tradurre emozioni e stati d’animo.
Alcune parole però possono diventare “gioghi” e non giochi, cioè quando non sono trasferibili, chiuse nella loro datità concreta, nella loro ripetitività senza possibilità di gioco: ecco che in queste situazioni occorrono anelli di congiunzione che possono permettere di uscire dalla narrazione abituale. Riprendendo Bion, “l’angoscia non ha forma, né colore, né odore, né suono”: è importante per coglierla un lavoro psichico di astrazione che affranchi dall’ attualità degli elementi sensoriali, dalla memoria e dal desiderio, tenendo a mente che “le parole per dirlo” e le potenzialità comunicative del linguaggio vanno al di là delle intenzioni del locutore, dicendo molto più di quanto appare alla consapevolezza.
Il pensiero ludico è dunque un pensiero complesso che promuove la moltiplicazione dei punti di vista e contrasta la logica binaria che spesso utilizziamo. Gli analisti hanno familiarità con l’aspetto connotativo delle parole, con l’alone che esse si portano appresso, fatto di connessioni multiple, dove trovano particolare rilievo immagini, tracce sensoriali, memorie implicite, affetti. Grazie alla cornice analitica, ai sogni, avviene uno scambio linguistico- emotivo tra analista e paziente e, anche le parole che trasmettono scheletri, fantasmi di emozioni possono, tramite rêverie dell’analista, inserirsi in una narrazione emozionata: tutte le risorse della coppia analitica sono mobilitate per tradurre in parola una sofferenza altrimenti indicibile, depositata nella memoria implicita. E la relazione di Berdini cerca di afferrare tutti i possibili concetti e giochi letterali atti a cogliere quello che non sempre le parole possono esplicitare o trasmettere, contribuendo così ad allargare i nodi concettuali delle possibili trasformazioni psichiche.
Lorena Micati, discussant della serata scientifica, ha tentato di filtrare la densa relazione del collega, mettendo in luce come Berdini ha cercato di riconoscere, pensare e dare un nome a quanto avviene nella comunicazione umana e nella stanza d’analisi, permettendoci di fruire diversamente della relazione analitica, considerando e meglio collocando fenomeni di cui facciamo quotidianamente esperienza.
Micati si focalizza sull’operazione interpretativa e sugli ostacoli della stessa notando come parte di ciò che accade nella stanza d’analisi sfugge alla nostra consapevolezza poiché molto passa attraverso comunicazioni primitive, processi difensivi e sviluppi di cui non possiamo sapere fino in fondo cosa ha realmente permesso quel cambiamento. Berdini non è alla ricerca della soluzione del disagio del paziente ma della possibilità di entrare in contatto con le emozioni che circolano nella stanza, anche attraverso fluttuazioni di parole in gioco che rendono certi frammenti scambi “fra-menti”. È auspicabile dunque lasciar cadere le parole schermo, le parole barriera che ottundono e non permettono di andare avanti affinché possa emergere un nuovo senso, scoprire altri significati, altri nessi.
Il significato per Berdini si produce sensualmente, a partire cioè dalla materialità del corpo prima ancora che sia disponibile il linguaggio simbolico, poiché, riprendendo Bion, i pensieri si formano dal magma degli stimoli e della risposta sensoriale, costringendo l’apparato mentale a pensare. In analisi, dove sono presenti due adulti, vi è una disponibilità della mente che, seppur coartata, ostacolata o inadeguata, è fruibile a pensare. Le emozioni passano, in questo modo, dall’essere silenziose alla ricerca di parole per riconoscersi, tuttavia esse devono mantenere carattere di provvisorietà, ovvero lasciar evolvere il loro senso, fluttuando nel tempo e nella relazione analitica, sperimentando altre emozioni e, così, anche una nuova possibilità di stare al mondo.
Tra gli interventi della sala si condivide il pensiero che, quando le parole hanno effetto, servono a creare esperienza perché tornano al paziente non più sottoforma di marasma ma piene, sentite e aventi un senso. Viene sottolineata l’importanza dell’interpretazione svolta dall’analista che contribuisce a dare senso alla vita emotiva della persona, permettendo di ruotare il vertice generalmente rigido da cui l’individuo guarda il mondo, concedendo, così, ai due membri della coppia analitica di andare avanti e dietro insieme. In tal modo, gli individui, dopo un percorso analitico che dà senso e significato emotivo al proprio mondo interno e alla realtà esterna, possono andare molto più in là di dove sarebbero arrivati, unendo cioè il sensoriale e il simbolico grazie all’azione terapeutica. Tramite l’utilizzo della parola, infatti, l’analista aiuta il paziente a rammentare, metaforicamente, la propria tela lacerata, facendo meglio dialogare il passato e il presente nella seduta. Alessandra Balloni, segretaria scientifica del Centro di Psicoanalisi Romano, ringrazia per la creatività circolata nell’ultima serata scientifica del Centro prima della pausa estiva, partecipando al dibattito con un’associazione avuta rispetto il libro di George Owell, “1984”, ovvero su come, tramite il linguaggio, vi è la possibilità di creare legami, attraversare “montagne” e addentrarsi in verità scomode. C’è anche chi, riprendendo Winnicott, ricorda quanto il gioco sia qualcosa di serio, permette cioè di aprire livelli profondi, uscendo dalla realtà spesso scarna, come quella di molti bambini e adolescenti che arrivano in terapia, spesso proprio perché impossibilitati a giocare. Iannotta, a conclusione dell’incontro, ringrazia Berdini del suo contributo nella serata scientifica pensando abbia dato rêverie acustica a ciò che avviene in analisi, un po’ come se egli avesse usato sinestesie ed estensioni di senso a ciò che vediamo e sentiamo in ogni seduta analitica.
Vedi anche
Parole e gioco in psicoanalisi (20 giugno 2024)
Video Intervista a Fabio Magnasciutti. A cura di Guido Berdini