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Giornata della memoria: "Le donne e la Shoah" (25 gennaio 2024). Report di Simona Pranzitelli

“… Avevamo perso non solo la nostra libertà,

ma anche la nostra individualità,

ogni indipendenza e poi la nostra umanità, il coraggio, la dignità….

dormivamo tutte insieme abbracciate,

aderendo l’una all’altra per tenerci caldo” (L. Nissim, 1946)

 

 

 

 

Fabio Castriota, chair della serata scientifica intercentri (CdPR e CPdR) dedicata al tema della memoria, in particolare quest’anno centrata su "Le donne e la Shoah", introduce l’evento evidenziando come tale tragedia del passato sia purtroppo drammaticamente attuale, basti pensare alle diverse guerre nel Mondo e al Mediterraneo. Oggigiorno ci confrontiamo con forme dilaganti di antisemitismo: viene messo in luce come, al di là delle ideologie politiche e culturali, vengono coinvolte persone e questo rappresenta un dolore troppo grande per tutti, sul quale dobbiamo aprire nuove forme di pensiero e dialogo.

 

Tre i relatori che, attraverso storie di donne e casi clinici presentati, hanno evidenziato come oggi sia fondamentale il poter sperare di cambiare il presente e il futuro, a partire dagli orrori del passato.

 

Ronny Jaffè, con la sua relazione “Sopravvivere e ricordare la Shoah”, fa riferimento alle prime testimonianze di donne, inerenti al periodo 1945-1947, in cui compaiono la “concretezza” (Bard) e la “carnalità” (Vellon) delle loro memorie emotive. Tali storie permettono di poter ricostruire una memoria collettiva di giovani donne che hanno vissuto l’umiliazione sul loro corpo e sulla loro mente in cui però, “pur nello strazio del ricordo, è stato possibile, in parte, rigenerarsi”. Queste prime narrazioni hanno avuto anche “una funzione curativa in quanto hanno permesso di ricostruire un racconto autobiografico, coerente e completo” (L. Khan) e costituiscono, tutt’oggi, l’espressione di un “dolore in diretta” su cui poter riflettere. Tra le “autobiografie vibranti e dolorose” sono state ricordate quelle di L. Millu, di F. Misul, di L.M. Momigliano, di G.F. Tedeschi, di A.V. Capozzi e di S.K. Schafranov che sottolineano come la morte morale fosse più triste di quella fisica, che le colpe dei nazisti più abiette furono l'aver permesso lo sterminio attraverso una forma di terrore che abbruttisce anima e corpo, “aver ucciso la coscienza della propria umanità”. Terribili sono le narrazioni delle violenze e delle umiliazioni fisiche subite da tante donne, nonché psichicamente atroce è il rispecchiamento reciproco rappresentato dalle stesse nella "tragedia del distacco", ma anche attraverso la perdita dell’identità e della maternità negata. Jaffè evidenzia anche come molte donne, ritenute dai nazisti deboli e fragili, siano state tuttavia in grado di conservare il legame primario tra corpi per sentirsi ancora in vita, nonostante le sofferenze ricevute che avevano cancellato in loro ogni aspetto femmineo, sessuale, corporeo e identitario.

 

Diana Norsa, con la sua relazione “L’etica della cura e la pratica della distruttività”, amplia il tema della distruttività e della relativa perpetrazione a partire dai lavori di Barbara De Rosa (2022) e di Anna Ferruta (2020), come tentativo di vedere cosa il passato può insegnarci, apprendendo da esso per migliorare il presente e il futuro. L’obiettivo della propaganda nazista era quello di assoggettare l’essere umano rendendolo un oggetto anziché un soggetto, attaccandolo fino ai livelli più intimi della sua psiche, nei sogni, nei pensieri, nel legame tra sé e sé e tra sé e altro. L’idea era quella di “eliminare ogni traccia di analogie fra simili, annullare ogni possibilità identificatoria” così da ridurre/indurre tutti ad essere la razza ariana/perfetta, non solo sterminando gli ebrei, ma cancellando ogni tipo di alterità che permette invece, in realtà, il proliferare della vita. Nel progetto nazista infatti vi era anche l’istituzione dei NaPoLa (Istituti di Educazione Nazionalpolitica) che addestravano all'obbedienza il popolo tedesco, considerato come un utile ausiliario per cancellare le differenze e promuovere il folle e violento intento di distruzione di massa. La filosofa Simone Weil, impegnata fino alla sua morte alla ricerca della verità, trasse ispirazione dall’Iliade per leggere la catastrofe del nazismo in termini di distruttività del potere e di potenza dei legami umani, di amore e di amicizia. Quando il potere diventa assoluto e non tiene più conto di valori culturali, religiosi, umani, monopolizzando altresì il pensiero, vi si può solo contrapporre l’etica della cura, come sottolinea anche Norsa: Shoah intesa come “tempesta devastante che arriva e travolge” a cui si può solo rivolgere la salvaguardia di uno spazio per la soggettività e per la collettività.

 

David Meghnagi, con la sua relazione “Dal Gulag al Lager. Dentro la tragedia, tra macrostoria e microstoria. Uno sguardo storico e psicoanalitico illustra il tema a partire da una ricostruzione storica della Shoah. Il progetto nazista è avvenuto per fasi: i nazisti volevano liberarsi della presenza ebraica in Germania, eliminando cioè i diversi, e poi, gradualmente, è arrivato ad essere uno sterminio di massa. Meghnagi ribadisce l'importanza della conoscenza poiché, proprio la sua assenza, contribuisce a creare distorsioni generando, a loro volta, azioni antisemite. Oggi giorno ci troviamo infatti di fronte a episodi molteplici di antisemitismo, in termini simbolici e reali. È importante dunque avvicinare alla consapevolezza e, per farlo, bisogna partire da vicino, da ognuno di noi, anche all'interno della nostra società scientifica. Viene sottolineata l'importanza di avere "lucidità", preservando la speranza di un possibile futuro diverso. Viene omaggiata la figura di Margaret Buber-Neumann, una grande donna non valorizzata adeguatamente dalla cultura progressista, che identificava i socialdemocratici come i peggiori nemici del nazismo. Compagna del dirigente del Partito Comunista di Germania, Heinz Neumann, ed ella stessa attivista comunista, venne imprigionata sia in un Gulag che successivamente in un Lager per essere "ri-educata". Margaret fu condotta al Lager femminile di Ravensbrück, ove incontrò problemi di inserimento nella vita del campo, venendo pertanto isolata. Tra le detenute però Margaret trovò sostegno in Milena Jesenka, l'amica epistolare di Kafka, che la istruì sulla scrittura e le impedì di cedere alla morte, psichica e fisica. Grazie a Milena, infatti, Margaret divenne una bravissima scrittrice, capace di scrivere e ricordare; tant'è che anni dopo la guerra, Margaret dedicò all'amica Milena un libro in sua memoria, restituendole, in un certo senso, la gratitudine per ciò che lei stessa aveva ricevuto.

 

Gli interventi dalla sala aiutano a mettere a fuoco il denso e prezioso materiale della serata. Si evidenzia la dimensione della corporeità nelle relazioni, rilevando come in certe situazioni, dall’Olocausto ai disturbi alimentari attuali, ad esempio, vi è il collasso del corpo e la psiche prova ad adattarsi, ciò alle volte riesce mentre altre può venir meno. Il legame tra donne, come nelle testimonianze ascoltate, e come avviene tra analista e paziente, può esser l’elemento curativo e protettivo in situazioni al limite dell’umano e della tollerabilità mentale. È inoltre messa in luce la possibilità di trasformare, presente in tutti noi, il male in bene, così come è avvenuto nella tragedia di Eschilo, dove le Erinni sono bonificate e trasformate in Eumenidi. Spesso, inconsapevolmente, si è d’accordo con il male, che viene scisso dalla coscienza. È però necessario poter sperare nel cambiamento, così come è possibile realizzare il cambiamento attraverso l'esperienza analitica, trasformando il dolore in nuovi inizi.

 

In passato si prestava più attenzione al trauma fantasmatico che a quello reale, ma tutti noi abbiamo ripercussioni derivanti dal trauma storico, in una trasmissione transgenerazionale. Emerge anche come, a volte, nella tragicità delle situazioni vissute, come quella delle donne nella Shoah, sia possibile cogliere spunti poetici come ad esempio il "poter vedere le stelle insieme", gli amori saffici, il tema della colpa del sopravvissuto, la possibilità di sopravvivere grazie al contatto corporeo.

 

Nel corso del dibattito intervengono anche i relatori: in particolare Meghnagi invita ad un approccio interdisciplinare evidenziando come certe forme di sapere possano portare a chiusura invece che ad apertura, mentre è importante, in un mondo sempre più complesso, aprirsi a confronti e saperi diversi. E Jaffè e Norsa, concordi nel voler dare speranza, sottolineando l’importanza di esprimere le emozioni, anche se drammatiche, alla presenza di qualcuno, ritenendo che il vero dramma sia il invece il silenzio.

 

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