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Dissociazione, rimozione e ritorno. La parabola di trent’anni del concetto di difesa in Freud e nella psicoanalisi contemporanea (14 settembre, 2023). Report di Flaminia Vacchini

 

“L'innovazione va governata, ma non può essere rimossa”

(Sergio Mattarella, 31/12/2022)

 

La serata scientifica organizzata dal Centro di Psicoanalisi Romano (CdPR) lo scorso 14 settembre ha avuto come relatore Giuseppe Riefolo, che ha proposto le proprie articolate e vivaci riflessioni relative al recupero del concetto di difesa da parte di Freud nel corso degli anni.

Riefolo ha innanzitutto evidenziato come nel 1894 (Le neuropsicosi da difesa) Freud riconoscesse un’ampia gamma di difese ma poi, e fino al 1925 (Inibizione, sintomo e angoscia), vi sia stato un periodo di trent’anni in cui il concetto di difesa equivaleva a rimozione e il cui modello clinico era unicamente la conversione isterica.

Il recupero da parte di Freud del concetto di difesa, fino al 1924 quasi appiattito su quello di rimozione, ha portato nuovamente a riconoscere la sospensione dissociativa come elemento difensivo, insieme alla dinamica attiva e reattiva della rimozione.

In tal senso si delineano due modelli di dissociazione: uno attivo (la rimozione/conversione) e uno passivo (la dissociazione), in cui il soggetto non riesce ad attuare la conversione e si ha, piuttosto, una sospensione del processo integrativo.

Riefolo ha proposto che, proprio grazie al recupero del più ampio concetto di difesa da parte di Freud, sia possibile osservare all’interno del processo analitico la coesistenza di più modelli teorici, attivi contemporaneamente a diversi livelli.

Questa circostanza porta con sé ovvie implicazioni della tecnica clinica, in quanto l’analista dovrà non solo favorire il recupero del rimosso, ma anche sostenere il paziente a mantenere la coesione della struttura del Sé.

Riefolo ha suggerito una integrazione di modelli in cui, all'interno di un processo osservativo tra il “polo-rimozione” e il “polo-dissociazione”, modelli altrimenti incompatibili possano essere considerati estremi di uno stesso processo e, pertanto, risultare integrabili. Rimozione e dissociazione comportano infatti posizioni diverse, non alternative ma simultanee all'interno della mente dell'analista, che gli permettono di orientarsi nell'osservazione della dinamica col paziente.

Riefolo ha poi fatto riferimento al pensiero di Janet, di ausilio alla comprensione del concetto di dissociazione come “sospensione del processo integrativo” e “incapacità di sintesi”. Dissociazione quindi non come deficit ma come risultato di esperienze traumatiche di fronte a cui il soggetto si blocca e non riesce ad accedere al conflitto.

Da queste idee derivano una serie di considerazioni caratterizzanti il pensiero di quegli psicoanalisti contemporanei che intendono la dissociazione come una modalità difensiva primaria e per i quali uno degli obiettivi dell’analisi è proprio facilitare la transizione dalla dissociazione al conflitto. Con particolare riferimento al pensiero di Bromberg, Riefolo ha sottolineato l’importanza assunta, in quest’ottica, dai contributi soggettivi dell’analista, dagli acting del paziente e dell’analista così come dagli enactment, considerati non tanto come resistenze alla rimozione, quanto come espressione della dinamica comunicativa inconscia della coppia analitica al lavoro.

Per Riefolo, in accordo con il pensiero della psicoanalisi contemporanea, il successo terapeutico deriva dalla possibilità che l’analista si faccia parte attiva del dialogo relazionale e intersoggettivo che ha luogo in seduta, attraverso la sintonizzazione con le esperienze emotive del paziente. Ciascuno dei due soggetti del campo analitico mette a disposizione dell’altro le proprie configurazioni soggettive dissociate, che trovano nuova sintesi proprio grazie all'esperienza vissuta nella relazione analitica.

Con riferimento a due vignette cliniche Riefolo ha mostrato come, in particolari momenti della seduta e spesso appena al di fuori dei confini del setting (es.: durante il commiato), emergano interazioni dell’ordine non-verbale (agiti, enactment) che sorprendono l’analista e lo pongono di fronte alla necessità di tenere sullo sfondo le rimozioni di ordine conflittuale e l'esperienza transferale, concentrandosi piuttosto sulla dimensione di incompetenza al conflitto che affligge il paziente.

Questo obiettivo secondo l’autore si raggiunge attraverso il ricorso alla sintonizzazione con gli stati del Sé sospesi del paziente prima ancora che con l’uso dell’interpretazione.

La discussione è stata affidata a Basilio Bonfiglio che, nel suo intervento, ha dapprima osservato quanto per Freud il concetto di rimozione sia stato sempre funzionale a confermare l’esistenza di un Io in grado di gestire attivamente gli elementi da tenere fuori dalla coscienza, mentre le scissioni erano automatiche e, pertanto, escluse da tale tipo di controllo.

Secondo Bonfiglio dissociazione e rimozione sono meccanismi fondamentali per la sopravvivenza psichica del neonato ma, laddove gli sforzi genitoriali siano inadeguati o insufficienti a favorire il naturale e graduale dispiegarsi delle autonome capacità di contenimento nel bambino, possono cristallizzarsi come difese. La dissociazione risulterebbe in circostanze molto precoci di mancato contenimento, mentre la rimozione si attiverebbe in momenti più avanzati, quando sia già emerso un qualche tipo di soggettività.

Bonfiglio ha poi articolato le proprie riflessioni attorno alle esemplificazioni cliniche riferite da Riefolo e ha osservato come molto spesso, all’interno della seduta, non sia possibile dare per scontata la presenza di due individualità distinte e chiaramente riconoscibili: tu e io, analista e paziente. Egli ha quindi aperto alcuni interrogativi: con quale paziente dialoga l’analista? E ancora: è possibile parlare in modo diretto con il paziente che viene “rievocato” durante la seduta?

Bonfiglio ha sottolineato l’opportunità che l’analista, per entrare in contatto diretto con il “paziente rievocato”, costituisca un ambiente adatto ad accogliere e proteggere il senso di Sé potenziale e nascente del paziente.

In questo contesto, che Bonfiglio ha definito “condizione simbiotico-fusionale”, è l’analista a farsi carico delle parti dissociate del Sé del paziente, assumendole su di sé fin quando non sia possibile per l’analizzando contattarle e iniziare a riconoscerle come proprie. La costituzione di tale ambiente viene facilitata attraverso il ricorso a strumenti non-verbali, come per esempio l’attenzione a un uso particolare del linguaggio, con forme impersonali o riflessive, ma anche tramite una rigorosa custodia del setting.  

È stato infine dato spazio ai colleghi presenti in sala e connessi da remoto, che hanno cimentato i due relatori con domande sia relative alla teoria, sia alla tecnica con i pazienti. In particolare sono stati puntualizzati alcuni aspetti teorici riguardanti la differenziazione dei concetti di dissociazione e rimozione, sottolineando l’importanza della “questione economica” in Freud. Nell’ambito della teoria della tecnica ci si è interrogati su come proporre al paziente nodi di ordine conflittuale laddove il soggetto non si sia ancora costituito in quanto tale; e si è poi riflettuto sui meccanismi psichici attraverso cui l’analista possa facilitare il paziente a raggiungere lo stato “simbiotico-fusionale”.

Vedi anche

Dissociazione, rimozione e ritorno. La parabola di trent’anni del concetto di difesa in Freud e nella psicoanalisi contemporanea (14 settembre, 2023)

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