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L'analista appassionato (25 marzo 2023). Report di Mariaclotilde Colucci

1. Apertura dei lavori.
Maria Giovanna Argese in qualità di chair apre la mattinata con una breve presentazione dei relatori. Cosa si intende per analista appassionato? Il titolo suggerisce un analista che mette in campo la propria partecipazione affettiva ma più specificatamente gli autori sottolineano che si tratta di una partecipazione attiva e attraverso una approfondita riflessione sui modi con cui possiamo leggere la qualità, il gradiente della passione presente nella dimensione analitica viene esaminato come possa essere utilizzata per favorire il percorso di cura.
Nella prima parte della mattinata introduce il tema la relazione di Giuseppe Riefolo, a cui segue una discussione con la sala. Nella seconda parte della mattinata Giovanni Meterangelis presenta un caso clinico su cui Paolo Boccara propone delle riflessioni. In conclusione seguono gli interventi dalla sala.

2. Giuseppe Riefolo: La psicoanalisi come passione.
La relazione è introdotta dalla proiezione di una clip tratta dal film Vi presento Joe Black. Il discorso appassionato di Bill (Antoni Hopkins) alla figlia Susan (Claire Forlani) evoca l’interrogativo che già illustri analisti contemporanei e non si sono posti su cosa muove e definisce il campo della passione in psicoanalisi. Viene presentato un excursus teorico e storico di ciò che i relatori intendono per passione e di come sia cambiato il suo significato nella psicoanalisi intersoggettiva con una particolare riflessione sul mito della neutralità.
Riefolo definisce la passione come una posizione di profonda partecipazione soggettiva dell’analista e vengono descritte varie caratteristiche della passione nella relazione analitica: la sua contingenza e transitorietà, il suo rapporto con la vitalità, la tolleranza dei rischi di percorrere strade insolite. Viene quindi ipotizzato che situazioni di stallo e impasse possano essere superate grazie alla partecipazione appassionata dell’analista. L’obbiettivo di questo excursus non è tanto quello di definire teoricamente e proporre un nuovo dispositivo tecnico, ma piuttosto definire gli aspetti di una qualità emergente, del campo intersoggettivo o meglio una disponibilità intersoggettiva di fondo che si declina come processo sempre attivo della mente dell’analista in continua manutenzione.
La passione è definita come una competenza di fondo della soggettività dell’analista di cui è utile occuparsi per riconoscere le ricadute implicite nella clinica e nel processo di cura. Una particolare ricaduta osservata dai relatori è l’esperienza transitoria che l'analista fa del paziente come oggetto-sé. Infine, la passione dell’analista supporta le criticità che i percorsi rischiosi portano con sé. I punti critici che vengono enunciati sono: la neutralità, la self-disclosure, l’enactment, la sintonizzazione, l’intersoggettività.

3. Interventi e discussione con la sala
Il dibattito si concentra sulla passione dell’analista e su come questa si modifica in base alle evoluzioni delle funzioni dei propri oggetti-sé compreso il paziente inteso come oggetto-sé dell’analista e su come la responsabilità dell’analista giochi un ruolo fondamentale in questa particolare configurazione transferale.

4.Giovanni Meterangelis: Ma cosa vuoi da me? Riflessioni sulla soggettività dell’analista
Meterangelis presenta un caso clinico in cui la mancata risoluzione dell’enactment conduce ad una lunga fase di impasse e all’interruzione dell’analisi da parte del paziente. Nella relazione analitica per muoversi all’interno di un’ottica intersoggettiva è necessario considerare sia gli affetti dell’analista, sia gli affetti del paziente come utile materiale clinico. L’analista può essere così coinvolto da propri affetti talmente intollerabili, dissociati e depositati in una parte del suo inconscio, da impedire la costruzione di una area di fusionalità e di uno spazio mentale comune.
All’interno della configurazione transfert-controtransfert l’enactment abbatte, temporaneamente, la barriera, molto permeabile, che separa il professionale dal personale, rendendo la relazione non più negoziabile, e facendo sperimentare quei sentimenti di impotenza caratteristica dell’impasse ad entrambi i contendenti. La teoria intersoggettiva, considera questo tipo di impasse, come complementarietà fra i due partecipanti alla relazione, in quanto emergono nella relazione aspetti dissociati depositati in un inconscio non rimosso che si manifestano in un enactment reciproco. Questo mancato riconoscimento di aspetti dissociati della nostra esperienza, rendono difficile il riconoscimento della nostra partecipazione agli enactment reciproci e alla conseguente loro interpretazione, contribuendo, così, alla costituzione di collusioni che nella loro rigidità non sono più negoziabili. Viene meno, in queste situazioni, la capacità da parte dell’analista di stare, allo stesso tempo, dentro l’esperienza con il paziente e fuori da essa, riconoscendone non solo l’intensità, ma anche la possibilità di rifletterci sopra per trovare soluzioni. In conclusione l’impasse in un’ottica intersoggettiva dipende da una mutua incapacità di analista e paziente a mentalizzare.

5. Paolo Boccara: L’uomo della cantina. Riflessioni sulla relazione di Giovanni Meterangelis.
A partire dalla proiezione di una clip tratta dal film, dal titolo originale, L’uomo della cantina, per introdurre la relazione, Paolo Boccara propone una suggestiva riflessione su cosa realmente succede all’analista nella propria stanza di analisi, e su come riuscire ad utilizzare coerentemente e in modo trasformativo le esperienze affettive nelle diverse relazioni analitiche. Boccara afferma che essere analisti appassionati può voler dire anche sentirsi particolarmente vitali, accorgersi di sentirsi in sintonia con sé stessi e con l’altro e che questo a volte avviene attraversando fasi di disagio e sofferenza, come Meterangelis ha dolorosamente sperimentato interrogandosi su come gli affetti di due presunte soggettività si possano relazionare tra loro.
L’obiettivo dell’analista non è allora esclusivamente comprendere e interpretare le relazioni oggettuali interne patologiche in cui il paziente è intrappolato e di conseguenza anche l’analista. L’obiettivo del processo analitico sarebbe quello di trovare il modo di vivere o rivivere in seduta la capacità di oscillare tra livelli evolutivi e organizzativi delle diverse esperienze vissute. Facilitare, dunque, gli sforzi del paziente di diventare più pienamente sé stesso, Essere appassionati può significare non eludere le realtà psichiche inconsce del momento, diventando anche una cosa sola con esse, mettendole successivamente, se sarà necessario, in relazione tra loro, anche in un modo simbolicamente comprensibile. La relativa tenuta dell’analista, in questo senso, non avrebbe a che fare col contenuto dell’esperienza, ma con una facilità relativamente maggiore di spostamenti e convergenze in seduta tra questi diversi livelli di esperienza inconscia propria e del paziente.

6. Interventi dal pubblico.
I numerosi interventi convergono sull’esperienza, non priva di difficoltà, di essere analisti appassionati così come descritta dai relatori. Il dibattito si conclude con un vivace e fruttuoso scambio su alcuni punti nodali del discorso proposto: l’impasse vista come riproposizione della irresoluzione della configurazione edipica rivissuta nel transfert negativo e il concetto di fusionalità come funzione di oggetto-sè reciproca tra caregiver e bambino, ma non vista come tappa evolutiva bensì come funzione organizzatrice della mente e del campo intersoggettivo. Vengono ripresi i concetti di indifferenziato di Hans W. Lowald e di surrender di Emmanuel Ghent.

Vedi anche:

L'analista appassionato (25 marzo 2023)

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