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La trasmissione della psicoanalisi: un oggetto ideale e i suoi rischi (16 febbraio 2023). Report di Enrico de Sanctis

La trasmissione della psicoanalisi è un tema complesso, di grande rilievo e fondamentale importanza, argomentato in modo specifico da Paola Marion in un vivo dialogo con Benedetta Guerrini Degl’Innocenti, nella serata scientifica del Centro di Psicoanalisi Romano presentata da Alessandra Balloni.

Marion introduce l’argomento della trasmissione della psicoanalisi partendo da un suo lavoro, già presentato alla FEP (Federazione Europea di Psicoanalisi, Vienna, 2022). Questo lavoro tratta il tema dell’ideale nello sviluppo dell’individuo, discorso che riguarda anche la trasmissione della psicoanalisi. Il rapporto con la dimensione ideale, infatti, è parte di ogni processo di crescita che implica la dialettica tra le vicende identificative e i modi attraverso cui scegliamo di esprimerci e realizzarci.

Partendo dalla clinica con i suoi pazienti, Marion attraversa il tema dell’ideale da Sigmund Freud fino ai nostri giorni, così mostrando il senso evolutivo del suo lavoro sulla trasmissione della psicoanalisi, di cui lei stessa testimonia di essere autenticamente autrice.

A partire dall’iniziale visione di Freud, in cui l’ideale dell’Io è il sostituto del narcisismo, condizione originaria di perfezione che viene smarrita negli anni dello sviluppo, Marion propone una specifica distinzione tra Io ideale e ideale dell’Io. Riprendendo un’idea di Mauro Mancia, l’Io ideale riguarda un’idea statica di sé, perfetto e idealizzato, mentre l’ideale dell’Io racconta delle vicende evolutive legate ai modelli inizialmente offerti dalla madre e al percorso trasformativo di illusione e disillusione che li dovrebbe adeguare. Questo percorso transita dalla dimensione narcisistica a una posizione che accede alla complessità edipica, strutturando quella che Marion chiama, specificamente, disposizione edipica della mente.
Allora i mille volti che l’ideale dell’Io può assumere, continua Marion, possono essere pensati come tentativi di ricreare un sentimento di equilibrio, pacificazione e benessere, proponendosi come anelli di congiunzione tra narcisismo e oggettività, tra piacere e realtà. Questi tentativi sono mossi da Eros, specifica la relatrice con una vivifica espressione di Janine Chasseguet-Smirgel; l’ideale dell’Io, infatti, potrebbe essere proprio a suo servizio, in una dimensione associabile alle potenzialità dell’Io.

Attraverso queste premesse fondative, Marion traccia il suo possibile itinerario, riprendendo i quesiti freudiani circa la trasmissione della psicoanalisi e riflettendo sulla possibilità di trasferire le proprie condizioni psichiche alle generazioni successive.
La trasmissione della psicoanalisi rappresenta essa stessa un’area di esperienza, attraverso cui noi psicoanalisti possiamo cercare di esprimere la nostra personale ricerca di idealità. Questa ricerca, tanto nello sviluppo dell’uomo quanto nella trasmissione della psicoanalisi, non è priva di rischi. Così Marion ci porta direttamente nei meandri dell’impervio e ambizioso cammino tra la Cariddi dell’Io ideale e la Scilla della sua ombra capovolta, l’ideale dell’Io. Quali sono, allora, i rischi di questo cammino?
Con un primo riferimento a André Green, Marion vuole ricordarci che un cammino non sapientemente guidato possa portare a una deriva, trasformando la nostalgia dell’oggetto primario nel desiderio di un grande oggetto. Questa deriva può comportare un secondo rischio nella trasmissione della psicoanalisi, l’illusione cioè di un’unione onnipotente con esso, allo scopo di recuperare una perfezione smarrita e un senso di completezza. In proposito, continuando il suo dialogo con gli autori, Marion ci ricorda Eugenio Gaddini, il quale descrive le forme di transfert imitativo dei pazienti con lo psicoanalista e dello psicoanalista con la psicoanalisi; ci ricorda anche Stefano Bolognini, il quale recentemente ha parlato delle teorie che rischiano di funzionare come reificazioni narcisistiche. Questo significa coltivare l’illusione di vivere in un bastione sicuro e protettivo rispetto ai sentimenti di fragilità, di incertezza e di parzialità, che accompagnano la nostra costruzione identitaria.
L’identificazione esclusiva e idealizzante con un autore o una teoria può avere purtroppo una duplice conseguenza: da un lato blocca la possibilità delle libere associazioni, dall’altro chiude in una dimensione endogamica e autoreferenziale, che si riproduce attraverso le generazioni, tendendo a escludere il confronto creativo sia sul piano clinico sia su quello istituzionale.

Se la parzialità e le incertezze, assieme al pluralismo teorico-clinico, fanno parte della psicoanalisi e della sua trasmissione, essi tuttavia non devono significare relativismo e dispersione, precisa puntualmente Marion. Implicano, anzi, la necessità di trovare un senso alla specificità della nostra disciplina, di circoscriverne le invarianti e definirne i fondamentali, tanto più per la sua trasmissione. Non si può cadere, afferma emblematicamente, dall’utopia della rapina dell’assoluto alla distopia dell’anything goes, in cui appunto si corre il rischio di idealizzare un indistinto relativismo e di cadere nella dispersione identitaria.

Marion termina la sua relazione ricordando il magistrale commento di Thomas Ogden sul lavoro di Hans Loewald, il cui tema centrale riguarda il compito che ogni generazione ha davanti a sé, cioè quello di utilizzare, decostruire e reinventare le creazioni delle generazioni precedenti. La relatrice ci porta a ripensare il senso più profondo dell’aforisma ghoetiano che, attraverso l’uso del verbo erwerben, sembra sottolineare l’interazione attiva necessaria per trasformare le nostre eredità, che dobbiamo riconquistare per poterle possedere. La psicoanalisi, una volta consegnata ai nostri figli, siano essi pazienti o allievi, inevitabilmente si trasformerà. Così Marion conclude il suo importante contributo, parlando del doloroso e talvolta arduo lavoro del lutto che annuncia nuove potenzialità e promettenti alterità.

Questi temi di grande rilevanza teorica e clinica, in riferimento al processo di trasmissione della psicoanalisi, sono puntualmente ripresi da Guerrini Degl’Innocenti che, nel suo intervento, ci parla di una sfida molto impegnativa. La relatrice lo introduce specificando che la psicoanalisi è una scienza dell’umano, un sapere esperienziale intriso di sensorialità e di affetto. La natura inconoscibile del soggetto di studio e dell’inconscio stesso non può che produrre un senso di profonda precarietà che, se non adeguatamente fronteggiata, può portare a derive idealizzanti.

Nel suo dialogo con Marion, Guerrini Degl’Innocenti riprende il concetto freudiano di ideale dell’Io come sostituto del narcisismo, sottolineando che esso implichi comunque uno scarto, una lacerazione che l’essere umano cercherà costantemente di abolire. Se lo scarto si fa troppo ampio e profondo la deriva dell’idealizzazione può incombere. Una delle vie più facili è quella di idealizzare Freud e di blindarsi in una setta analitica arroccata e inoppugnabile, dove la curiosità è inibita dalla paura e il dialogo e la creatività sono prosciugati. Citando Adamo Vergine, ribadisce come il testo freudiano rappresenti un punto di partenza di una disciplina che evolve; divinizzarlo a testo sacro, di cui si può fare solo esegesi, significherebbe tradirne il suo valore più potente e il suo lascito più costruttivo.

Guerrini Degl’Innocenti pone l’accento sulla paura, elemento cruciale che può condizionare e comportare forme di idealizzazione o di svalutazione, tra atteggiamenti di aristocratica arroganza o di sottomissione. La relatrice riflette su alcuni possibili significati per comprendere la paura: uno può riguardare la paura di essere irrilevanti; un secondo la paura di essere minus rispetto alle altre scienze, a causa della difficoltà di misurare e riprodurre un’oggettività psicoanalitica; un terzo significato può essere legato alla sua definizione di psicopatologia dell’attuale che, a causa degli adattamenti del setting e della tecnica che essa può richiedere, può portare a una perdita di specificità e, di conseguenza, a un’evanescenza dell’identità psicoanalitica.

La psicoanalisi, conclude Guerrini Degl’Innocenti, esiste proprio in quanto mette in contatto con la natura illusoria di qualunque verità convenzionale generalizzata, che non sia raggiunta attraverso una genuina esperienza personale. Quella psicoanalitica è una formazione così speciale, infatti, anche perché lo sviluppo delle conoscenze teoriche e cliniche dovrebbe procedere di pari passo con lo sviluppo di sé come persona in grado di utilizzare la funzione analitica della mente, strumento indispensabile al buon funzionamento della psicoanalisi come disciplina conoscitiva e come terapia della sofferenza umana.


Dibattito con la sala
Nell’aprire il dibattito con la sala, Balloni evoca un pensiero di Wilfred Bion, quello di sottrarre i tesori penetrando nelle tombe di Hurl, tra tradizione e innovazione. Su questa linea si muovono diverse voci che animano il dibattito della serata, tra riflessioni e interrogativi sulla dimensione della curiosità e sull’incertezza del nostro complesso cammino. La curiosità spinge all’autentica ricerca del pensiero psicoanalitico - modo d’essere, oltre che prezioso strumento di cura - e alla possibilità di un responsabile confronto con la nostra epoca e con il suo divenire, con il pluralismo dei modelli, con le Istituzioni. Non dobbiamo dimenticare che questa ricerca comporta la necessità di fare i conti con le idealizzazioni, parte integrante della costituzione umana, e di sostenere ogni volta quote di incertezza e di fatica, che non devono tuttavia impedire il procedere vitale della psicoanalisi.

Vorrei concludere con qualche mia personale considerazione sui temi dibattuti nel corso della serata, che mi fanno dire che la psicoanalisi, in quanto autentica ricerca nel suo accidentato e imperfetto divenire, sia una scienza a buon diritto e a pieno titolo. Penso, infatti, che la scienza sia tale quando è umile, quando favorisce un senso di apertura e, con esso, nuove domande. Se è vero che la sfida della psicoanalisi è ambiziosa perché il soggetto coincide con il suo oggetto di studio, essa purtuttavia non deve cedere alla tentazione dell’Io ideale e, talvolta respinta e forse ferita, agire alternativamente aristocratica arroganza o reverenziale sottomissione, finendo così per tradire se stessa. Avrebbe anzi la responsabilità, secondo il mio pensiero, di interrogare le altre scienze sulla propria epistemologia e sull’illusione di un’oggettività assoluta e universale. E, senza mai adeguarsi acriticamente, avrebbe anche la possibilità, e forse il compito, di riflettere con la propria disposizione edipica della mente sul fatto che a volte la nostra epoca, con la propria cultura e le sue politiche, desideri invece raggiungere quell’oggettività assoluta proprio per abolire lo scarto tra narcisismo e ideale dell’Io, perché lacera e fa soffrire.

 

Vedi anche:

Paola Marion: La trasmissione della psicoanalisi: un oggetto ideale e i suoi rischi (16 febbraio 2023)

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