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Lo spazio Peri-Personale nei funzionamenti psicotici. Anatolia Salone dialoga con la neurobiologa Francesca Ferri (7 maggio 2022). Report di Donatella Verrienti

Ad introdurre l’evento è Alessandra Balloni, Segretaria Scientifica del Centro di Psicoanalisi Romano, che inquadra l’oggetto di riflessione della mattinata come un campo nuovo di studio e di ricerca che nasce nel crocevia tra Psicoanalisi e Neuroscienze, laddove il confronto interdisciplinare è generatore di nuovi e fecondi progetti di speculazione teorica ed insieme di indagini scientifiche.

Il tema in questione, lo Spazio Peri-personale, si definisce quale area di spazio che circonda il corpo e che, in veste di dimensione multisensoriale che delinea la percezione di sé ed il confine sé-altro, costituisce il campo entro cui è negoziata l’interazione con l’ambiente circostante. A spiegarne il concetto, che trova origine all’interno delle ricerche delle neuroscienze sui sistemi di rispecchiamento e declinazione in ambito psicoanalitico nei costrutti di inter-corporeità ed inter-soggettività, due colleghe, una psicoanalista ed una neurobiologa, unite da un rapporto di amicizia e collaborazione,ne propongono la descrizione attraverso prospettive distinte ma al contempo complementari, in un confronto dialogico che appare ampliarne le potenzialità esplicative ed euristiche.

A Giuseppe Moccia, Psicoanalista Membro Ordinario con funzioni di Training della SPI, Coordinatore, tra le molte aree di interesse, della Commissione Nazionale Psicoanalisi e Neuroscienze, il compito di aprire e moderare la presentazione a due voci che, come una “danza” interdisciplinare, vede le relatrici avvicendarsi nell’esposizione, mettendo in scena in modo emblematicamente rappresentativo la co-costruzione di uno spazio di pensiero.

Moccia sottolinea come la presente mattinata si ponga in relazione di continuità rispetto al precedente Congresso SPI sul tema “il Sé e l’Altro”, proponendo una ulteriore specificazione degli argomenti trattati e focalizzando l’attenzione sullo spazio peri-personale da intendere come lo spazio di prossimità al corpo, non coincidente con l’Io pelle di Anzieu, che definisce lo spazio di interazione, la cui caratteristiche variano in funzione del modo in cui ha avuto sviluppo la relazione primaria madre-bambino. Di questo costrutto – anticipa Moccia - sarà esplorata la progressiva formazione nei primi mesi di vita del bambino, verrà descritta come essa sia attivata da una serie di scambi intersoggettivi che risultano mediati in prevalenza da sensazioni tattili e uditive, preminenti rispetto a quelle visive, ma misurate dai ricercatori attraverso l’orientamento visivo. Il delineamento di uno spazio interpersonale costituisce dunque un’ulteriore espressione della presenza di una intersoggettività primaria, preriflessiva e sensoriale, la prova di una originaria competenza del bambino ad investire l’altro non solo come oggetto di pulsione ma come altro da sé. Ed è proprio nelle vicende più o meno armoniche di questa interazione che si possono rintracciare le fondamenta del sentimento di Sé e le sue declinazioni patologiche laddove, come nel funzionamento psicotico, il confine Sé-Altro collassa in una drammatica confusione tra mondo interno e mondo esterno.

Nell’introdurre il brillante lavoro di ricerca di Francesca Ferri, Anatolia Salone - psichiatra, psicoanalista, membro associato SPI, dottore di ricerca in neuroscienze - descrive brevemente il curriculum formativo della collega (dottorato di ricerca presso il dipartimento di neuroscienze di Parma e di biologia molecolare di Bologna) e ne ricorda il loro primo incontro a Chieti, momento di inizio dei comuni studi sui sistemi di rispecchiamento nella schizofrenia in accordo con F.M. Ferro e V. Gallese. Da qui la nascita di una proficua collaborazione dove l’unione di tre differenti vertici di osservazione – Psichiatria, Psicoanalisi e Neuroscienze – ha centrato come oggetto di indagine la relazione Sé-altro, ed in particolare i livelli di integrazione multisensoriale, con i relativi processi neurali sottostanti, che dalla sensorialità conducono alla rappresentazione del mondo vissuto. Ne è conseguita la definizione dello Spazio Peri-Personale (PPS) inteso come porzione di spazio più vicina al corpo, area di vitale importanza nella vita quotidiana, in quanto è all’interno di questa che si realizza l’interazione con oggetti e persone e la possibilità di difendersi dagli stimoli a carattere di pericolo. Del concetto, inaugurato all’interno delle ricerche neuroscientifiche condotte da Vittorio Gallese e del suo gruppo, si è avviato uno studio volto a indagarne le mappature, a conoscerne l’evoluzione nonché a verificarne le modifiche in precise condizioni psicopatologiche.

Elemento saliente emerso da questo studio è che la codifica di tale confine sia venuta a definirsi in chiave evolutiva al fine di favorire le interazioni sociali, essendo una sorta di estensione soggettiva dei propri confini corporei entro cui è possibile interagire o viceversa rispetto a cui si sviluppa il timore di farlo. Al carattere soggettivo dello spazio si associa inoltre la sua connotazione emotiva in quanto risulta valicabile solo in presenza di una forte carica emotiva. Citando Marleau Ponty che descrive “lo spazio non come l’ambito reale o logico in cui le cose si dispongono ma il modo in virtù del quale diviene possibile posizionare le cose” (1945), Anatolia Salone si rifà ad una concettualizzazione operazionale dello spazio visto come mezzo per costruire la relazione piuttosto che semplicemente come luogo fisico. Al contempo nella clinica psichiatrica già Minkowski (1953) aveva identificato un forte intreccio tra lo spazio e lo scopo nelle azioni e le sue alterazioni nei pazienti schizofrenici, “laddove la linea di demarcazione tra Io e non Io non è più la superficie del corpo ma passa altrove e può divenire rigida, opaca, impenetrabile, può trasformarsi in una vera e propria corazza”.

Questa breve introduzione anticipa e connota in termini metateorici la presentazione della neurobiologa Francesca Ferri, professore Associato al Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Parma, che spiega come i concetti finora espressi intorno allo spazio peri-personale in termini di vissuto esperienziale trovino un fondamento scientifico ed una comprensione neurofisiologica. Lo spazio peri-personale, infatti, non coincide né con il corpo né con lo spazio ma con ciò che l’individuo è e costruisce intorno a sé. Le ricerche neurobiologiche ne hanno consentito la descrizione attraverso la mappatura dei neuroni situati nella corteccia prefrontale, premotoria e parietale codificanti i movimenti di ricerca e di difesa. Questi neuroni bimodali dello spazio peri-personale tendono a codificare gli stimoli esterni come se fossero ancorati al corpo creando dei campi recettivi specifici situati in varie zone del corpo che si attivano nel momento in cui lo stimolo si avvicina piuttosto che quando sia allontana. Dal 2012 molteplici studi hanno indagato modalità e tempi di reazione neurale alla somministrazione di stimoli tattili sulla mano di individui, registrando le variazioni in relazione alla vicinanza dello stimolo al corpo e identificando lo spazio peri-personale individuale come il confine entro cui lo stimolo viene percepito come appartenente al corpo. L’applicazione di questo paradigma di indagine ai neonati ha consentito di verificare l’esistenza di uno spazio peri-personale strutturato sin dalla nascita e di valutarne le caratteristiche di plasticità e dinamicità. I primi studi su questo tema sono stati effettuati con una doppia misurazione prima e dopo un training di 20 minuti con uno strumento utilizzato per afferrare degli oggetti ed avvicinarli al corpo. I risultati hanno dimostrato come negli individui testati l’esercizio di esplorazione motoria del campo determinasse un’estensione del proprio campo peri-personale. Utilizzando lo stesso metodo di indagine si è inoltre osservato come l’ampliamento del confine fosse soggetto a variazioni in base al contesto emotivo delineato attraverso la qualità semantica dei suoni somministrati (pianto piuttosto che risata), tendendo ad ampliarsi nel caso in cui i suoni evocavano delle emozioni negative, interpretabile come rispondente alla necessità di un ampliamento dello spazio di difesa, e viceversa andando a restringersi quando il contenuto emotivo diventava positivo o neutro.

Altro dato significativo emerso è che l’estensione del confine peri.personale muta in rapporto alla presenza di un contesto interattivo ed alla sua qualità, in quanto se la presenza dell’altro tende a determinare un restringimento del confine, la dimensione collaborativa rispettivo ad una di tipo competitivo porta ad una rimodulazione dello spazio peri-personale che in questo caso tende ad estendersi in modo da includere l’altro.

Accanto alla variabilità intraindividuale del concetto - in rapporto al contesto emotivo e relazionale – emerge inoltre anche una differenza interindividuale legata sia alle caratteristiche morfometriche (lunghezza del braccio) che a tratti di personalità (una netta differenza si coglie tra gli individui claustrofobici e individui interocettori, il cui confine è risultato rispettivamente più e meno esteso). Tale diversità è imputabile alla variabilità delle risposte neurali che tendono ad oscillazioni spontanee in base agli stimoli esterni e mostrano la plasticità del cervello. In condizioni patologiche, tuttavia, è rilevabile un’alterazione di questa capacità oscillatoria che può tendere verso una riduzione o verso l’aumento eccessivo, con l’esito di produrre un eccesivo rumore neurale. La plasticità e capacità adattativa individuale sarebbe dunque – come testimoniano questi studi - assicurata da un certo range di variabilità delle risposte neurali che consentono la rimodulazione del confine dello spazio peri-personale a seconda del contesto e delle varie condizioni di stimolo. Nella misura in cui la variabilità dell’attività neurale è estrema, cioè molto più “rumorosa” che negli individui sani, e ciò è stato riscontrato in pazienti con schizofrenia e pazienti con alti tratti di schizotipia, si determinerebbe un “collasso “del confine dello spazio peri-personale, cioè una riduzione estrema del confine verso il corpo e l’esistenza di un passaggio molto brusco tra ciò che è percepito come vicino, in parte strutturato, e ciò che è lontano, vissuto viceversa come nebuloso e destrutturato. Per spiegare il dato osservativo è stata formulata l’ipotesi che la sorgente del rumore neurale eccessivo fosse un deficit dei meccanismi di controllo top-down, uno squilibrio tra meccanismi di eccitazione ed inibizione dei neuroni tattili multisensoriali, ed una riduzione della densità sinaptica tra neuroni unisensoriali e multisensoriali. Si è supposto inoltre che tale deficit fosse in questi pazienti alla base della loro ridotta capacità discriminativa degli stimoli tattili somministrati sul corpo, percepiti in maniera imprecisa e localizzati in modo non appropriato rispetto al gruppo di controllo, e che queste alterazioni delle rappresentazioni della localizzazione del tocco sul corpo potessero costituire un fattore predisponente ad una mappatura “anomala” dello spazio peri-personale. Il dato induce a supporre – afferma in conclusione Francesca Ferri – che la mancanza di una rappresentazione coerente di Sé come entità incarnata nel mondo potrebbe essere un elemento chiave nei disturbi del Minimal Self.

Nel riprendere la parola Anatolia Salone traccia un raccordo tra le ricerche della collega neurobiologa e le più attuali concezioni psicoanalitiche che sottolineano il ruolo primario che il corpo riveste nello sviluppo psichico in quanto protagonista delle prime esperienze intersoggettive ed al contempo luogo che reca traccia dei molteplici codici comunicativi presenti nella dinamica interattiva madre-bambino, custoditi in una forma pre-rappresentazionale. Tali elementi presimbolici contribuiscono, accanto a modalità rappresentazionali più evolute e mediate viceversa dal linguaggio, al costituirsi graduale della percezione e del riconoscimento dell’oggetto come altro da sé. Citando Carla de Toffoli e la sua visione intersoggettiva dello sviluppo della mente, la relatrice si rifà al suo concetto di psichesoma, mettendo in evidenza non solo il carattere di unitarietà originario - in quanto l’esperienza dei primi anni di vita risulta principalmente inscritta nel corpo ed utilizza codici preriflessivi di codifica - ma al contempo descrivendo una matrice interattiva in cui “il corpo, la mente, lo spazio e il tempo vengono creati all’interno della relazione tra la madre ed il neonato”, in un territorio dove i confini Sé-Altro non sono ancora definiti. È in questo assunto teorico che si situa la ricerca neuroscientifica che del concetto unitario di Sé ne scompone gli elementi utilizzando la componente somatica, automatica e preriflessiva, come specifico oggetto di indagine, in questo inevitabilmente operando una scelta riduzionistica che al contempo può risultare necessaria a studiarne le caratteristiche, in un dialogo tuttavia continuo con la teoria psicoanalitica.

Le recenti ricerche neuroscientifiche che hanno condotto alla scoperta dei neuroni bimodali visuo-tattili, infatti, hanno restituito al corpo un ruolo preminente nell’esperienza psichica, in quanto ad esso competerebbe la mappatura dello spazio. Diversamente dalle precedenti interpretazioni delle neuroscienze cognitive che attribuivano questa funzione alla corteccia cerebrale, in un modello ingegneristico della mente di processamento seriale degli input in cui al vissuto esperienziale non veniva riconosciuto valore, gli studi odierni sembrano viceversa confermare l’ipotesi che la dimensione corporea possa costituire il baricentro della percezione e della costruzione dello spazio extracorporeo, uno spazio che si configura dunque come vivo, relazionale, fatto di oggetti. A tale conclusione si è giunti dallo studio dei neuroni bimodali la cui caratteristica sta nel codificare la posizione dello stimolo non in termini sensoriali astratti bensì in relazione all’attivazione motoria che si determina nel raggiungere l’oggetto nello spazio. La ricerca ci conduce a pensare dunque ad una nozione di spazio estremamente interessante poiché alla sua qualità percettiva si associa una componente pragmatica in quanto intrinsecamente modulata dall’azione e la sua rappresentazione perde le caratteristiche di staticità e passività ed acquista una veste attiva, modificabile in relazione alle modalità d’azione. Altro aspetto su cui Anatolia Salone pone l’accento è la dimensione evolutiva del concetto di spazio e di come la sua strutturazione possa essere correlata a forme più o meno armoniche di funzionamento psichico.

Dalla filosofia, con Heidegger e Merleau Ponty, sino alle più recenti teorie psicoanalitiche si è sempre più radicata una concezione intersoggettiva dello sviluppo psichico che vede la crescita del soggetto imprescindibilmente legata alla presenza dell’oggetto. Grazie all’Infant Reserch si è ipotizzata l’esistenza di un “senso di sé emergente” (Stern,1985) sin dai primi due mesi di vita, aspetto che gli studi di Gallese e Castiello sui gemelli hanno ulteriormente anticipato alla vita intrauterina dove sarebbe presente una primitiva intenzionale ricerca dell’altro, correlata alla presenza di un sistema sensomotorio già funzionante ed alla possibile mappatura dello spazio. Le ricerche esposte da Francesca Ferri costituiscono un’ulteriore conferma della presenza, a poche ore della nascita, di un primordiale spazio peri-personale entro cui risulta attiva una risposta visiva ad una stimolazione uditiva e tattile. Ciò a conferma del primato del tatto e dell’udito, rispetto alla vista, come canali principali di interazione e mediazione con l’ambiente accudente laddove è proprio il toccare e il parlare della mamma a poter ricreare la condizione di sicurezza intrauterina. La relatrice attribuisce a questa precoce competenza di integrazione multisensoriale, già presente in utero ed immediatamente visibile alla nascita, un ruolo fondamentale per lo svilupparsi della relazione in quanto consentirebbe di orientare l’attenzione verso ciò che ha luogo all’interno dello spazio-peri-personale, ed in particolare all’interazione con i genitori, consentendo al neonato così la possibilità di creare e modulare lo spazio condiviso in termini concreti e non solo in fantasia. È facile supporre, date queste premesse, che la quantità eccessiva di stimolazione che eccede la sua capacità di integrazione sensoriale possa non solo modificarne la possibilità recettiva ma influire sensibilmente nella costruzione dello spazio peri-personale determinando una variazione della percezione di sé e dell’altro. Pertanto una maggiore distanza, una disponibilità intermittente alla stimolazione, il timing stesso dello stimolo rappresentano condizioni in grado di determinare un precoce condizionamento della capacità relazionale del bambino, e possono favorire alterazioni disfunzionali della personalità, come la ricca teorizzazione psicoanalitica sul trauma relazionale ci ha aiutato a comprendere.

In conclusione, questi rilievi scientifici ci spingono a pensare al bambino come ad un essere dotato sin dalla nascita di un apparato mediato dal sistema percettivo-motorio che lo predispone all’elaborazione di confini, dalla dimensione fusionale verso una graduale emersione del sé. L’evidenza di un confine intersoggettivo che si instaura precocemente e che ha carattere inizialmente preriflessivo costituisce una conferma del carattere di continuità dello sviluppo psichico sia su di un asse temporale sia rispetto ad una prospettiva psicopatologica. I dati riportati dalle ricerche neurobiologiche sembrano dare testimonianza di una coartazione dello spazio-peri-personale in relazione a funzionamenti psichici progressivamente più gravi (dalla schizotipia alla psicosi) e documentare al contempo rilevanti alterazioni della capacità di integrazione sensoriale negli schizofrenici, nei quali la maggiore valicabilità del confine sé-altro sembra potersi riferire ai precoci strappi nella costruzione del sé. Significative possono essere pertanto le conseguenze di queste considerazioni sul piano della tecnica analitica all’interno della quale sembra meritare una sempre maggiore attenzione la dimensione intercorporea della relazione, e l’idea che un ascolto vivo, multisensoriale, di tutti gli elementi presenti nel campo condiviso costituisca un fattore “catalizzatore” di trasformazioni intra e intersoggettive nel paziente e nel campo stesso.

 

 

Bibliografia

De Toffoli C. (2014). Transiti corpo-mente, FrancoAngeli

Merleau-Ponty M. (1945). Fenomenologia della percezione, Bompiani 2003

Minkonsky E. (1953). La schizofrenia, Biblioteca Einaudi 1998

Stern D.N. (1985). Il mondo interpersonale del bambino, Bollati Boringhieri

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