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Bonanome N., Romano F. - Depressione e mania: le coordinate per un equilibrio (2009)

 

 DEPRESSIONE E MANIA: LE COORDINATE PER UN EQUILIBRIO.

Nicoletta Bonanome e Fausta Romano

22 maggio 2009

 

 Discutendo in alcuni nostri incontri sulla questione del binomio depressione mania,  ci è sembrato che essa si presenti da un punto di vista teorico e forse anche da un punto di vista clinico come un territorio vasto e complesso, dai confini che appaiono a volte definiti e chiari e altre volte invece assai labili ed oscuri.

Specialmente il termine “depressione”, entrato ormai ampiamente nel dire comune, appare quanto mai “oscuro” e indefinito nel suo significato e atto a significare “tutto ed il contrario di tutto”.

Volendo anche riferirci al più definito ambito del sapere psicoanalitico l’argomento appare di una vastità considerevole in sé e per sé ed anche per le innumerevoli connessioni con altri aspetti del funzionamento psichico.

Desideriamo, quindi, potere condividere e offrire alla discussione alcune nostre riflessioni cliniche e teoriche sull’argomento, nel tentativo  non di risolvere in modo definitivo la questione, ma almeno di collocare alcuni punti di partenza per ulteriori considerazioni.

Le nostre considerazioni derivano principalmente da due presupposti e sono strettamente connesse con il lavoro clinico.

In primo luogo consideriamo l’individuo come un sistema dinamico e complesso di più variabili tra loro in reciproca relazione e pensiamo che un equilibrio dinamico tra esse sia necessario per realizzare il più flessibile adattamento possibile alle proprie trasformazioni in relazione con le vicissitudini del vivere.

Se ci serviamo del concetto di “spazio mentale” per designare quella funzione psichica che è necessaria per la messa a fuoco di sensazioni ed emozioni e dare origine ai processi di pensiero, la depressione ed il suo corrispettivo, la mania, possono costituire una delle  variabili bipolari che interrelandosi con le altre (prima fra tutte la diade corpo-mente, e poi anche amore-odio, vita-morte, piacere –dolore, mascolinità-femminilità, ecc…) contribuiscono a generarlo.

Partendo da questo presupposto, quella bipolarità della coloritura emozionale che la nosografia psichiatrica considera patologica, assume, secondo il nostro modo di vedere, a partire dall’esperienza che facciamo con i nostri pazienti, la funzione di un’oscillazione fisiologica e funzionale allo stabilirsi di una relazione più o meno armonica tra corporeità e psichicità, in relazione con le continue trasformazioni del corpo e con le vicissitudini della vita.

In altri termini, la capacità dell’essere umano di adattarsi continuamente alle innumerevoli e svariate pressioni provenienti dal proprio interno e dall’ambiente in cui è immerso poggia proprio sulle caratteristiche dinamiche del suo funzionamento. In questo senso ciò che risulta disfunzionale non è tanto l’oscillazione tra le due polarità emozionali quanto al contrario, il confluire dell’una nell’altra (e viceversa)  in un agglomerato indistinto, il cui irrigidirsi progressivo risulta inadatto al vivere e può generare  un pericoloso restringimento dello spazio mentale.

L’altro presupposto da cui partiamo consiste nel considerare il corpo come origine della mente e suo oggetto primo (Ferrari, 1992) e quindi nel considerare l’Oggetto non più esterno , ma interno al sistema individuo. Questo comporta una modificazione nel modo di considerare la funzione dell’ “Altro da sé”, non più oggetto ma catalizzatore delle proprie potenzialità e del proprio funzionamento emozionale e psichico.

Vedremo più avanti le implicazioni di questo presupposto, specialmente per quel che riguarda i modi e le forme che questo vertice assume dal punto di vista clinico.

Riteniamo quindi che la questione dell’oscillazione depressione –mania come coordinate per un armonico equilibrio abbia a che fare con la costruzione della configurazione egoica e in particolare  con il modo in cui si attiva la mente di fronte al cambiamento, alla percezione della vulnerabilità, della finitezza e dell’irreversibilità manifestate in primis attraverso la dimensione corporea.

1)

Possiamo collocare nel periodo della pubertà e quindi nel passaggio dall’infanzia all’adolescenza, il momento di maggiore instabilità e di maggiori potenzialità trasformative, proprio per l’emergere della corporeità da quella condizione di benefico raffreddamento (di eclissi) in cui il progressivo nascere delle funzioni psichiche lo aveva posto. Il corpo  si fa di nuovo presente in tutta la sua rivoluzionaria capacità di trasformazioni rapide e radicali e si offre alla mente come un nuovo territorio sconosciuto e perturbante. Perturbante in quanto la mente ormai formatasi nel bambino non riconosce più il corpo in cui è: da un giorno all’altro, quasi nello spazio di una notte, non si trova più nello stesso corpo di ieri, sicché gli strumenti di cui dispone, fondati principalmente su istanze filogenetiche e su di un pensiero magico-onnipotente risultano insufficienti e addirittura di ostacolo alla nuova situazione. Il bambino che diviene adolescente non può più servirsi dei vecchi strumenti, ma non dispone ancora di nuovi: per il nuovo corpo occorre una nuova mente, che potrà formarsi soltanto attraverso l’esperienza. Dunque egli si trova immerso nell’ignoto di se stesso  e del mondo, dove paradossalmente è necessario “fare per potere conoscere”, mentre  sarebbe necessario, al contrario “conoscere per potere fare”.

Tre strade si offrono al bambino che diventa adolescente, delle quali soltanto una gli sarà utile per iniziare quel processo ontogenetico che è al contempo conoscenza e costruzione di se stesso e che ha inizio in questa epoca della vita e avrà fine con la vita stessa. Poiché se non può o non vuole affrontare e tollerare l’angoscia che le trasformazioni radicali della sua corporeità possono generare(prima strada, la sola funzionale),  e si rifugia ostinatamente nel permanere delle vecchie modalità infantili (seconda strada, inadatta alle esigenze del sistema che si trasforma) o se al contrario si serve dei modelli adultomorfi che la cultura non si esime dal fornirgli nel tentativo di attenuare l’angoscia (terza via, inadatta, poiché rimanda il problema a tempi in cui sarà ancora più complesso affrontare il processo ontogenetico),  lo sviluppo armonico delle sue potenzialità ne risulterà alterato e ostacolato.

Questo che potremmo inizialmente  definire un “fare al buio” senza sapere, può essere sostenuto nell’adolescente grazie ad una spinta “eroica”, di coloritura maniacale, in modo che non abbia a prevalere il sentimento di “non farcela”, di non essere adeguato alla nuova situazione, alle aspettative proprie e degli altri. Se, al contrario, la curiosità e l’ansia di conoscersi cedono il posto alle sole aspettative e  idealizzazioni, il binomio illusione-delusione diviene sistema e diviene prevalente quella coloritura emozionale depressiva orientata al ritiro, allo scoraggiamento, al rabbioso invidiare nell’altro “tutto ciò che vorrei essere e non riconosco in me”, quella che con Ferrari chiamiamo “proto-depressione”, non perché sia meno grave nelle sue conseguenze di una depressione, ma perché se non riconosciuta ed affrontata per tempo si trasformerà in età adulta in uno stato depressivo più difficile poi da risolvere.

Sul lato opposto, la tendenza ad un fare slegato dalla possibilità di osservare e di apprendere dall’esperienza, sorretto dall’illusione, da una distorta percezione di se stesso e delle proprie capacità e limiti.

 Si instaura così un circuito che si autoalimenta, che potrebbe essere interrotto soltanto dal sedimentarsi progressivo di frammenti di esperienza di se stessi. In assenza di “esperienza”[1], la convinzione crescente della propria incapacità e inadeguatezza contribuisce ad ingenerare una drammatica caduta del significato del vivere, esorcizzato da un agire altrettanto insensato in una spirale crescente di valenze autodistruttive.

Come accade a Luigi un giovane paziente il cui vissuto esorbitante lo immetteva in un doppio percorso:

1)      un uso molto elaborato e astratto di fantasie: “Apro un ventaglio a 360 gradi inventandomi vari scenari per la mia vita e poi non riesco a fare niente”;

2)      un uso smodato di stupefacenti nelle interminabili serate rave : “Mi vedo un robot, la merda entra in circuito e ottenebra tutto”.

In un’orgia di relazioni simmetriche, tutto e nulla, sento-non sento, virile-castrato, attivo-passivo, potente-impotente che provocano inevitabili esplosioni visto che la barriera eretta contro il corpo oltre a impedire la relazione corpo-mente, non può reggere di fronte agli eccessi del suo fare.

Un sogno metterà Luigi in contatto con l’aspetto propulsivo proveniente dal corpo al posto di quello esplosivo: “Ero su a casetta, una festa, alcuni compagni di scuola, altri vecchi, piccoli e sconosciuti. Qualcuno sta davanti alla porta per non far entrare nessuno. Tratto male 4 ragazzi, perché indispettito da come sporcavano, mangiavano come dei selvaggi, buttando i torsoli di mela per terra. Qualcuno fra cui Mario è già schizzato di suo. Metto la musica al massimo, ma non si sente. Tocco lo spinotto e poi dico a Mario di dare un’occhiata. Scatta il fuoco e sento odore di bruciato. E’ scoppiato un incendio. Al telefono un amico mi dice che è il 20 marzo, allora è il mio compleanno. Non aveva chiamato nessuno.”

Il sogno si pone come una cornice asimmetrica[2] in cui dispiegare e distinguere le relazioni simmetriche: la presenza per es. di un ascolto, senza il quale Luigi non potrebbe sentire che “non si sente”, permette di cercare la possibilità di contenere il marasma (“la merda entra in circuito”) delle sensazioni, di registrarle e ordinarle. A partire dal “Ho sentito che non sentivo” l’analista può mostrare a Luigi il modo in cui disattiva il corpo con le sue sensazioni e bisogni alimentando in lui la curiosità e quindi la responsabilità verso se stesso e il tempo della sua vita sia nella sua qualità vitale “è il mio compleanno”, sia nella dimensione umana della solitudine, “non aveva chiamato nessuno”.[3]

Ci domandiamo: potremmo sostenere che la coloritura depressiva derivi da una sorta di stallo del binomio impotenza-onnipotenza, che accompagnando il passaggio all’adolescenza non è supportato da una curiosità e apertura verso l’esperienza delle proprie capacità reali e limiti? Stallo che ha come drammatica conseguenza un sempre maggiore impoverimento della coscienza di se stessi e della propria configurazione egoica?

Un insieme di elementi contribuiscono a creare un’esasperazione della situazione depressiva e della  proto-depressione:

-          arretrare e sentire di non farcela ad affrontare e sostenere “l’individuo che sto diventando” (spinta ontogenetica)

-          attenersi ad aspettative sovrastimate e sostituire lo sperimentarsi con un modello idealizzato

-          -invidia

-          rifugio nel pensiero magico e mancanza di responsabilità verso se stessi

-          intollerabilità del “movimento”: ogni oscillazione rompe la costruzione creata grazie all’illusione e ogni risultato è “soltanto risultato del caso”. Tutto è fuori controllo. Il movimento viene ostacolato (depressione catatonica), oppure esasperato (mania)

-          il binomio illusione-delusione si instaura in maniera stabile, impedendo l’ampliarsi della configurazione egoica attraverso il fare esperienza di se stessi.

Di conseguenza il sistema si chiude ad ogni apporto dall’esterno ostacolando l’aprirsi all’esperienza, alla possibilità di fare per conoscere.

L’illusione, afferma Ferrari (1994), è un modo di essere, un sistema che crea aspettative e struttura e modifica comportamenti. Non è una semplice parola.. E’ una necessità psichica dell’uomo. E’ un tentativo onnisciente e onnipotente spinto dal piacere.

Attraverso l’illusione l’uomo tende a controllare, modificare, eliminare fatti, avvenimenti, sentimenti percepiti come pericolosi e\o limitativi.

Spinto dalla ricerca del piacere il soggetto finisce con il perdere contatto con la realtà fino al punto di deformarla o negarla. L’illusione deve però rispondere a requisiti precisi, poiché nasce dal bisogno di controllare il mondo e gli avvenimenti a venire. Per questo si struttura con pretese irrealistiche.

Da tutto questo deriva la sua inevitabile conseguenza: la delusione.

Il  binomio illusione-delusione si può autoalimentare all’infinito e la delusione rende il sistema autonomo. E’ un sistema chiuso con obbiettivi finalizzati, trasformabile in una disarmonica costruzione psichica, non modificabile dai dati di realtà e resa statica proprio da questa necessità di controllo autonomo.

Lo chiamiamo sistema perché l’illusione distorce la percezione e quindi esita inevitabilmente nella delusione che genera un odio involuto da cui si esce ricorrendo a una nuova illusione.

L’illusione inquina i processi di idealizzazione, che finiscono con il rafforzare l’illusione stessa chiudendo in tal modo lo spazio al pensiero.

Essa è generata dall’angoscia esistenziale dell’adolescente di fronte al cambiamento che necessita di certezze e cerca di trovarle attraverso l’illusione.

Il giovane che non riesce a tollerare l’incertezza della propria condizione si arrocca in una posizione di opposizione, invece che di confronto e di dialogo, ricorre a soluzioni facili e gratificanti (droga, alcool, film, internet) e non conflittuali, come attraverso delle ideologie, usa il fanatismo come scelta unica ed agita.

E’ evidente che così intesa l’illusione aumenta la mancanza di risorse e di certezze e contribuisce a sviluppare un’angoscia persecutoria “nei confronti degli aspetti impotenti di sé, sino a stanare se stesso per uccidersi. Se la prova dell’incapacità diviene fortemente palese, l’ambivalenza rende presente la capacità di autodistruzione.

All’incapacità palese corrisponde, dunque, la capacità palese di uccidersi.

Oppure il suicidio si ha come risposta ad un’attesa delusa…” (Ferrari,1994, pg53).

Come scrive il poeta: “Le jour ou l’homme se méprise, le jour ou il se voit méprisé, le moment ou la realité de la vie  est en désaccord avec sés espèrances, il se tue et rend ainsi hommage à la societé devant laquelle il ne veut pás rester deshabillé de sés vertus ou de sa splendeur.” (Balzac, Lês illusions perdues)

Mentre nell’infanzia la capacità di creare il mondo attraverso l’immaginazione è fondamentale per la nascita di un modello pensante, nel passaggio all’adolescenza, l’instaurarsi dell’illusione per evitare o attenuare il dolore del cambiamento finisce con l’impedire l’accesso all’esperienza di se stessi, fino ad instaurare il sistema illusione-delusione.

Nell’analisi con gli adolescenti (e non solo) in cui si presentino in modo massiccio credenze illusorie è fondamentale lavorare per aprire la strada alla speranza e al desiderio per potere favorire nuove possibili espansioni della configurazione egoica.

In presenza delle trasformazioni del corpo (pubertà, gravidanza, parto, menopausa, malattie, dolori, morti, ecc...)  la consapevolezza della irreversibilità, della finitezza e della vulnerabilità si fa ineludibile e di fronte ad essa lo smarrimento e l’angoscia possono invadere l’individuo sbilanciando il sistema depressione/mania.

Esemplare in questo senso il lavoro di Freud sulla Caducità (1915) : “ma questa esigenza di eternità è troppo chiaramente un risultato del nostro desiderio per poter pretendere a un valore di realtà: cio che è doloroso può pure essere vero.....Nel corso della nostra esistenza, vediamo svanire per sempre la bellezza  del corpo e del volto umano, ma questa breve durata aggiunge a tali attrattive un nuovo incanto”

Infatti,  laddove possibile, questa consapevolezza può generare nel sistema, pur dolorosamente,  la coscienza della “freccia del tempo” e della possibilità di collocarsi in ogni attimo del proprio vivere: nel tempo presente possono essere racchiusi  il passato in quanto esperienza ed il futuro in quanto desiderio e proiezione progettuale.

E’ proprio la valenza rivoluzionaria della corporeità con le sue trasformazioni ad obbligare la mente ad abbandonare le proprie “certezze conservatrici” e ad accompagnare le vicissitudini del vivere, in una coesistenza di momenti depressivi e maniacali

Dunque possiamo considerare la depressione e la mania come coloriture emotive “che accompagnano l'avvicendarsi di stati della mente e della relazione corpo-mente e di conseguenza come due aspetti fondamentali del funzionamento umano, implicati nel processo della nascita del pensiero. (.....) Araba fenice, capace di morire e rinascere dalle sue stesse ceneri, il processo creativo del pensiero poggia sull'esistenza di entrambi i momenti. La presenza di uno solo dei due poli non permetterebbe di pensare, non permetterebbe di entrare come protagonisti nel nostro vivere” (Romano, in Panza, Romanini, Tauriello,2009).

Ad esempio, una ragazzina dodicenne, non ancora mestruata, dice di volere fare da grande l’archeologa, per ricostruire il puzzle di una storia passata e in altri momenti sostiene che  farà l’esploratrice. Aggiunge poi di essere molto attenta a non bere coca-cola dopo avere mangiato caramelle alla menta, poiché ha sentito dire che la menta e la coca-cola, mischiate insieme fanno esplodere lo stomaco.

Quali elementi lei percepisce come troppo confusi e mescolati in una miscela esplosiva per la sua mente, sicché per proteggersi è costretta a  tenerli ben distaccati e distinti fra loro? È la bambina che dovrebbe non esserci più e invece ancora permane confusa con l’adolescente che si annuncia, ma ancora tarda a manifestarsi pienamente? Sono i sentimenti di amore e odio?  Le angosce di vita e di morte? La femminilità e la mascolinità? Sono i momenti depressivi di scoraggiamento e paura di non farcela e quelli maniacali, di entusiasmo, curiosità, eccitamento, progettualità, previsioni di un futuro inimmaginabile?  E’ l’archeologa che non riesce a staccarsi dal suo passato e l’esploratrice delle nuove potenzialità che stanno per esprimersi in lei?

In ogni caso occorre aiutarla a situare nello spazio e nel tempo tutti quegli elementi che se mescolati insieme possono darle l’impressione di un’esplosione in mille pezzi e che se mantenuti distaccati tra loro possono ostacolare l’avvio in lei di processi trasformativi e vitali.

2)

In momenti particolarmente delicati del ciclo vitale o in presenza di emozioni particolarmente intense la necessaria oscillazione tra i due poli depressivo e maniacale tende ad irrigidirsi, lasciando prevalere uno dei due ed inglobando in sé l’altro. La risultante è una rarefazione delle coordinate spazio-temporali ed un restringimento dello spazio mentale.

“Il momento depressivo, nella sua forma estrema,  si presenta allora come un’assenza di dolore e di tristezza, un’assenza dei significati, come la drammatica espressione del nulla.

Compare un universo permeato di ciò che gli analizzandi possono descrivere di volta in volta come -noia, indifferenza, perdita di senso del proprio vivere, inutilità dell’esistere, piattume, incapacità di partecipare alla vita-.[4] (....)

Si tratterebbe del cristallizzarsi di una modalità disarmonica di relazione tra corporeità e psichicità e non già di qualcosa che sia in relazione con un ipotetico oggetto esterno.

Se nella configurazione egoica viene a mancare la possibilità di includere ed accettare la percezione e la consapevolezza del limite generata da propri cambiamenti, dal definirsi del proprio essere, della propria identità,  o dalla morte dell’altro (che potrebbe al contrario in senso costruttivo,  permettere una rinnovata ed ampliata vitalità),  si creano le condizioni per l’instaurarsi di un’accentuazione della situazione depressiva: si perde l’ampiezza del gioco fra interno ed esterno, si perde la possibilità di aprirsi a momenti creativi, a quell’eccedere della mente che rende possibile la nostra esistenza, e tutto viene a rinchiudersi all’interno del sistema.

La delusione, il dolore, la paura, perdendo il referente esterno, si coagulano in un sentimento di odio involuto ed espresso in modo distruttivo proprio nei confronti di quegli aspetti di se stessi che potrebbero permettere un’evoluzione vitale e costruttiva. Questo odio arde all’interno del sistema, bruciando ogni risorsa e producendo una sorta di desertificazione della configurazione egoica.

Si tratta di un processo molto simile all’invidia, sentimento nel quale il soggetto non riconosce a se stesso le qualità che può soltanto vedere nell’Altro, come “dell’Altro” e che quindi invidia, aumentando così in maniera esponenziale il processo di desertificazione. [5]

Nell’esasperazione del momento depressivo assistiamo alla caduta della speranza e del desiderio, che non si riesce più né a trasformare, né ad alimentare e ad una esasperazione del binomio illusione/delusione.

Il sentimento di odio assume una funzione centrale nel crearsi della polarità depressiva , nel senso che potremmo ipotizzare  che l’odio ha già lavorato prima che si producesse la condizione di “caduta di ogni significato”: l’odio verso la propria impotenza o inadeguatezza o inanità o la delusione per la caduta degli ideali del mondo magico infantile, il terrore delle conseguenze del proprio essersi individuati, se non presi in considerazione, se non assunti e gestiti, possono sfociare in questa situazione che si presenta come l’incedere di un processo di desertificazione nella configurazione egoica e nella vita di un individuo.

Questo processo genera un terribile sentimento di invidia: il soggetto che non riconosce le proprie potenzialità le vede nell’Altro idealizzato e le invidia, le desidera ma le considera irraggiungibili. Esse diventano un miraggio, in quanto non riconosciute nel proprio sistema, cosa che genera un aumento di intensità esplosiva del sentimento di odio nei confronti del sistema stesso: anche quando sembra che esso operi verso l’esterno, è soltanto l’espressione dell’esplosione che sta avvenendo all’interno del sistema.

Nell’esasperarsi della condizione depressiva, dunque, concorrono sentimenti di odio esplosivo contro la percezione dei limiti e dell’impotenza, l’idealizzazione dell’Altro e un sentimento di invidia, che svuota di vitalità e di esperienza e rende sempre più inconsistente il sistema”. (Romano, in Panza, Romanini, Tauriello,2009).

Nel momento di massima chiusura, di allontanamento dalla vita e dai significati (“Vedo gli altri uscire al mattino per andare al lavoro ed io non riesco, e mi sento estraneo, alieno, tutto questo non significa più nulla per me”, diceva un analizzando) il pensiero corre in un’accelerazione insensata e perciò  angosciante, privo di agganci con l’esperienza vissuta e che si sta vivendo nel momento presente. Il contenuto è catastrofico, senza speranza e senza prospettiva, la modalità è ossessiva e dalle coloriture maniacali. Si avverte una assenza di spazio e di tempo, il tutto è nell’istante, e quindi impensabile.

Ciò che appare come immobilità e blocco dell’azione contiene al suo interno un’accellerazione inarrestabile dell’ideazione a contenuto catastrofico e l’intero sistema rischia di precipitare come risucchiato in una sorta di “buco nero” che ha risucchiato in sé l’insieme dei significati, delle emozioni e delle potenzialità dell’individuo.

Occorre entrare in questo “buio” insieme con l’interessato e illuminare via via frammenti di esperienze che sembravano perduti e di nuove esperienze che si vanno facendo nel qui ed ora, aiutandolo nella costruzione progressiva e lenta di nuovi significati, contenendo l’odio, servendosi dell’invidia per individuare potenzialità e desideri  inespressi e non riconosciuti, facendo attenzione a non sostituirsi ma piuttosto a sostenere potenzialità e capacità. E’ un lento lavoro di costruzione della configurazione egoica, in quegli aspetti che ora possono emergere e che fino ad allora erano stati compressi ed inespressi nel sistema dell’analizzando.

Ma il rifiuto e l’inaccettabilità del limite percepito nel proprio sistema e  in concomitanza di eventi della vita (primo fra tutti l’ineluttabilità della morte) possono spingere la mente a disinteressarsi del corpo, non potendo tollerare la vulnerabilità e la finitezza

 Se il disinteresse è radicale, se per così dire la mente abbandona il corpo, questi viene allora sospinto nello stato di marasma che può perfino in casi estremi confluire nella  morte stessa.

La mente può ignorare le istanze e le necessità del corpo e vivere nell’illusione di bastare a se stessa, con conseguenze drammatiche per l’intero sistema

“Dall’osservazione clinica rileviamo, infatti, che anche nella Mania, così come avviene nella Depressione, si verifica un azzeramento dei significati: tutto appare così esasperato ed estremo da appiattire ogni distinzione e coloritura, il tempo è così accelerato da divenire insignificante. Anche in questo caso, la risultante è una sorta di desertificazione della Configurazione egoica.

Ecco che allora il “fare” è un “fare privo di obbiettivi”, determinato dalla necessità di riempire e saturare uno spazio percepito come vuoto, necessitato da una sorta di horror vacui, poiché tutto è stato inglobato dalla situazione maniacale. Il soggetto percepisce l’impossibilità assoluta di fermarsi o soffermarsi con se stesso e in modo bulimico odia qualsivoglia forma di limitazione alla propria onnipotenza.” (Romano, in Panza, Romanini, Tauriello,2009).

Dal punto di vista clinico, tuttavia, è possibile rintracciare all’interno del dire dell’analizzando proprio la presenza di quei limiti che confusi con l’impotenza gli risultano inaccettabili ed intollerabili e aiutarlo ad includerli come elementi di base per il farsi dell’esperienza delle proprie capacità e limiti.

Il processo è delicato e complesso, poiché a volte proprio nel momento del capovolgimento radicale e repentino dalla situazione prevalentemente Depressiva a quella prevalentemente Maniacale  l’odio violento verso il proprio limite, identificato totalmente nella corporeità, potrebbe condurre la mente a volersene liberare sopprimendola: in questo senso il suicidio, come già sosteneva Freud, è piuttosto un omicidio, essendosi la mente radicalmente distaccata dal proprio corpo.

Nella nostra esperienza clinica abbiamo potuto osservare la presenza di tutti gli elementi che abbiamo identificato come caratteristici del processo depressivo come sottostante ed inglobata nel momento maniacale. Ci sembra che sia possibile, in alcuni casi,  aiutare l’Analizzando ad affrontare questi elementi nel momento maniacale, attraverso un progressivo riavvicinamento tra le istanze del corpo e quelle della mente al fine di evitare la caduta nelle manifestazioni più estreme e drammatiche della condizione depressiva. L’individuo può così affrontare la questione dei propri limiti ed interessarsi al suo peculiare modo di essere, stabilendo una più equilibrata compresenza ed oscillazione tra le due coloriture emotive.

Un esempio drammatico per le sue conseguenze sulla vita stessa dell’indistinzione tra istanze maniacali e depressive  e del conflitto profondo tra istanze conservatrici della mente e potenzialità trasformative del corpo potrebbe essere rintracciato nelle anoressie/bulimie.

La ragazza odia il corpo che va manifestandosi in modo deludente rispetto alle aspettative e che le impone la percezione ineludibile del trascorrere del tempo, della finitezza e della vulnerabilità e lo sottopone a trattamenti violenti ed aggressivi, nel tentativo di ridurlo a dimensioni accettabili per la sua mente infantile, invece di ampliare i confini del proprio spazio mentale per potere includervi i cambiamenti che da bambina la trasformano in adolescente e giovane donna.

Mangia “per vomitare”, per ristabilire un controllo onnipotente sul proprio corpo e sui suoi limiti, si abbandona a vere e proprie orge alimentari bulimiche, nel tentativo di controllare lo spazio ed il tempo della sua vita che le si prospettano come infiniti ed incontrollabili, per poi tornare a restringere ogni cosa obbligandosi a rigettare tutto. E così onnipotentemente e maniacalmente divora e vomita, si dilata e si restringe, piombando in una malinconia infinita poiché non  riesce in tal modo a soddisfare le sue attese ed in tutto questo impedendo a se stessa di sperimentarsi nei suoi nuovi modi di essere.

Anche in questo caso il lavoro clinico consiste nel tentare di aiutarla a distinguere il dolore per le cose che finiscono, dalla speranza e dal desiderio, per potere costruire basi più solide per il   suo divenire.

3)

Desideriamo ora proporre alcune riflessioni sull’approccio clinico e in particolare su alcuni accorgimenti tecnici necessari per predisporre un setting adeguato.

Da tempo nell’ambito psichiatrico la terapia elettiva per il disturbo bipolare è, accanto alla

terapia farmacologica, l’approccio cognitivo comportamentale teorizzato da Judith Beck.

Diciamo brevemente che tre sono i motivi principali:

1) la dicotomia mente‐corpo per cui il disturbo bipolare non appartiene all’ambito dei

processi somato‐psichici ma è “solo” neurofisiologico e il sostegno psicoterapeutico è

tollerato al fine di far accettare la malattia e le cure. (G.B. Cassano docet o secondo

A.Koukopoulos si tratta di un “disturbo somatico che viene psichicizzato attraverso i suoi

effetti sull’energia vitale e sull’umore”

2) i pregiudizi nei confronti di una psicoanalisi mentalizzante,

3) “Il tradizionale scetticismo con cui la psicoanalisi guardava alla possibilità di affiancare una terapia farmacologica” (Sonnino, 2006,)

A questi naturalmente si premette, come si comprende dalla nostra ipotesi, il patologizzare l’oscillazione in favore di una stabilizzazione a nostro avviso rischiosa per la natura stessa delle emozioni, espressione delle potenzialità implicite nell’inconscio.

Nei confronti della terapia cognitivo comportamentale il nostro interrogativo e i nostri dubbi vertono sulla questione di come sia possibile una reale educazione alla registrazione e monitoraggio dell’umore quando le emozioni che hanno un ruolo regolatore da svolgere sono compromesse?

L’osservazione di casi con gravi compromissioni dell’umore ci hanno messo di fronte non tanto a un’ampiezza dell’oscillazione mania‐depressione, quanto a un’accelerazione che tende ad azzerare questa oscillazione e quindi a restringere lo spazio e annullare il tempo. Ad azzerare ogni distinzione e limite.

 In questi casi il paziente è incapace di distinguere se si trova up o down, proprio per via di questa accelerazione che azzera la coscienza nucleare (Damasio,2000).

In altre parole possiamo, usando il vertice di Matte Blanco, vedere all’opera quella “nefanda unione” di logica simmetrica-asimettrica che provoca un’esplosione della coscienza, per cui “contenuti contraddittori entrano contemporaneamente nella coscienza”.  Abbiamo quindi a che fare con un sentire che è anti‐percezione e non prepercezione, visto che l’area della sensorialità è così estesa e caotica, non essendo soggetta ai limiti spazio‐temporali, da impedire la spinta verso un’espressione psichica.

Un’area di concentrazione massificata che necessita di essere dispiegata eparzializzata per ricreare lo spazio perduto, per limitare l’area sensoriale, e far ripartire il tempo in termini di micro momenti successivi, di minuto in minuto, di ora in ora.

Anche indispensabile per individuare quel lavoro di erosione che procede nell’ombra e “attende il totale compimento dell’opera per manifestarsi in forma esplosiva”(Bela Grumberger,1965). Cercando di evitare quindi quel fulmine a ciel sereno che lascia dietro di sé solo devastazione, ma tollerando quel “vento del caos”(Bernard Moitissier[6])  avvolte necessario all’ andare e venire fra il “liberamente correre e l’intimamente raccogliersi”.[7]

Vorremo a questo punto confrontarci sulle implicazioni cliniche dei presupposti esposti fino ad ora e vorremo farlo attraverso delle esemplificazioni.

 Il materiale sarà letto e non divulgato.

Per concludere, partendo dalla nostra esperienza clinica ci sembra utile poter costruire di volta in volta un setting ad personam tale da sollecitare nel paziente la percezione di ciò che va facendo e da aiutarlo a seguire e tollerare i movimenti che questo suo fare attiva. E’ nostra esperienza che proprio nella situazione che abbiamo descritto ogni movimento percepito ed ogni cambiamento vengono dall’interessato  attribuiti al caso e generano un terrore senza nome.

Ci domandiamo infine come aiutare il soggetto a creare quei limiti spazio‐temporali sufficienti ad attivare la spinta verso la psichicità necessaria a distinguere le coloriture maniacali\depressive in un’ampiezza tollerabile e funzionale al vivere.

Bibliografia essenziale

Beck,J.S., Terapia cognitiva. Fondamenti e prospettive, 2002, Libreria Universitaria

Bonanome N.-Lombardi R., Concrètude et action dans le langage du changement des adolescents et des psychotiques, Relazione presentata al 42° International Psychoanalitical Association Congress, Nice 2001

Carignani,P.-Romano,F., (a cura di), Prendere Corpo, 2006, Franco Angeli

Damasio, A.R., Emozione e coscienza, Adelphi,1999

Ferrari, A., L’eclissi del corpo, Borla, 1992

-          Adolescenza: la seconda sfida, Borla,1994

-          Il pulviscolo di Giotto, Franco Angeli, 2005

Freud, S., Metapsicologia, 1915, Boringhieri

-          Lutto e melanconia, 1915, Boringhieri

-          Caducità, 1915, Boringhieri.

-           Inibizione, sintomo e angoscia, 1926, Boringhieri.

Klein, G.S., Udire la propria voce: un aspetto del controllo cognitivo nel pensiero verbalizzato,1965, in Al di là della Metapsicologia, a cura di P.Fabozzi e F.Ortu, Il Pensiero Scinetifico, 1996

Grunberger, B., Il suicidio del melanconico, in Psiche II, 4,1965

Lopez,D.-Zorzi,L., Terapia psicoanalitica delle malattie depressive, 2003, Raffaello Cortina

Matte Blanco,I., L’inconscio come insiemi infiniti, 1981, Einaudi

Oneroso,F., La logica delle emozioni, in Le emozioni fra cognitivismo e Psicoanalisi, a cura di     OnerosoF. – Gorrese, A. , Liguori ed,2004

Oneroso, F.,Nei giardini della letteratura, Editrice Clinamen, 2009.

Panza A., Romanini M., Tauriello S., (a cura di), Corporeità. L’Oggetto Originario Concreto: un’ipotesi Psicoanalitica in espansione., Cafpscarina, Venezia, 2009

Sonnino,A., Un caso particolare di scissione del transfert:identificazione proiettiva e acting out nel doppio setting, Rivista di Psicoanalisi, 2006, LII,4



[1] Usiamo il termine esperienza nel senso di capacità di percepirsi ed esperire aspetti di se stessi in modo consapevole.

[2] Ci riferiamo alla struttura bi-logica della mente teorizzata da Ignacio Matte Blanco.

[3] Un’analisi più dettagliata si trova in Bonanome N. “Rendersi presente. La costruzione dell’identità” In Prendere corpo (2006)

[4] Freud  (1915) rileva come l’inibizione melanconica possa apparire inspiegabile, poiché non è connessa non accadimenti specifici o luttuosi e ne individua il funzionamento in una scissione dell’Io che sotto la pressione della coscienza morale, della censura della coscienza e dell’esame di realtà si contrapporrebbe ad una parte dell’Io stesso, sottoponendola a critica ed assumendola quale suo oggetto:  l’istanza critica prodotta dalla scissione dell’Io è autonoma.

Egli ritiene  che le accuse che il depresso rivolge contro se stesso sono in realtà accuse contro una persona che egli ama o ha amato e quindi che appaiono come autorimproveri sarebbero rimproveri verso l’oggetto d’amore, da questi distolti e rivolti verso il proprio Io.

[5] Freud  (1915) intuisce la speciale funzione del sentimento di odio nel configurarsi della Melanconia, quando afferma che le occasioni di insorgenza della melanconia non si limitano alla perdita di una persona amata, ma si estendono a casi di mortificazione, alla sensazione di avere subito un torto, alla delusione o a situazioni che generano contrasto tra amore e odio. Egli attribuisce al sentimento di odio la finalità di svincolare la libido dall’oggetto e al sentimento d’amore quello di mantenere questa posizione libidica contro l’assalto che le viene mosso. Tali conflitti vengono da lui collocati nell’inconscio dal quale procederebbero verso il preconscio per giungere infine alla coscienza.

[6] Grande navigatore solitario e scrittore

[7] Oneroso F., Nei giardini della letteratura (2009)

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