"uno per tutti, tutti per uno"
(A. Dumas, 1844)
1. Il metodo e il suo oggetto.
La nostra riflessione nasce da una considerazione fatta da Freud nel saggio “L’Inconscio” del 1915 nel quale afferma “è nostra intenzione chiarire fin dall’inizio che il rimosso non esaurisce tutta intera la sfera dell’inconscio. L’inconscio ha una estensione più ampia; il rimosso è una parte dell’inconscio”. Analoga posizione assume ne ”L’Io e L’ l’Es” (1922): “ la ricerca in campo patologico ha fatto sì che il nostro interesse si rivolgesse in modo troppo esclusivo al rimosso”, Alludendo da un lato all’esistenza di un inconscio più ampio e dall’altro giustificando la trascuratezza con l’interesse per una specifica categoria clinica di pazienti. In questi ultimi decenni la riflessione su “come sono cambiati i nostri pazienti” ha portato ad una riconsiderazione di una serie di assunti metapsicologici e clinici, quali il concetto di inconscio e quello di coscienza, che ha indotto, di conseguenza, ad una riflessione sul metodo psicoanalitico e su una sua possibile estensione. Ogni scienza, e quindi anche la psicoanalisi, viene definita dall’oggetto di studio e dai modi con cui si raggiunge la sua conoscenza.
Il metodo psicoanalitico freudiano si basava principalmente sull’idea che si dovesse rendere conscio tutto ciò che era inconscio, attraverso l’interpretazione. L’estensione del concetto di inconscio pone alla nostra attenzione, tra le altre, il trovare altre modalità, cioè il metodo, con cui cogliere quell’inconscio non più conoscibile solo attraverso i tradizionali strumenti che la psicoanalisi ha sempre utilizzato. Anche il concetto di coscienza è andato incontro a delle riconcettualizzazioni[1]. Ora queste nuove teorizzazioni sull’inconscio e sulla coscienza, ci impongono di prendere in considerazione una visione pluralistica dell’azione terapeutica, che si conformi alla specificità della coppia analitica che si viene a formare.
Questa diventa l’ interprete di “quel qualcosa in più” (Stern, 2005) che non è possibile cogliere nel solo inconscio dinamico. In psicoanalisi l’intuizione dell’estensione di un inconscio che va al di là dell’inconscio dinamico, che in modo attivo promuove la rimozione come difesa, la si deve, non proprio a Freud, ma particolarmente a quegli analisti che hanno posto al centro dell’indagine analitica oltre che l’interpretazione anche la relazione, prestando attenzione a tutto ciò che accade nell’incontro fra analista e paziente: il linguaggio non verbale(W. Reich, 1933, H. Deutch, 1952), la comunicazione fra gli inconsci, l’ Identificazione Proiettiva, il concetto di ascolto psicoanalitico e non ultima l’azione (Reich, 1966, Boesky,1982).
2. Il relazionale implicito
I contributi dati dalle neuroscienze allo studio sulla memoria, hanno messo in evidenza l’esistenza di una relazione fra questa e l’azione. Oltre ad una memoria relativa alle abilità motorie definita procedurale, memoria questa di natura non verbale, sono state registrate altre forme di memoria come l’implicita, la semantica e quella episodica. Queste ultime rientrano nel registro del linguaggio verbale e pertanto sono dette dichiarative. Nella memoria implicita rientrano la cosiddetta memoria di riconoscimento e la memoria di richiamo (Meares, 2009). Queste, collocate al di fuori della coscienza, si manifestano prevalentemente attraverso l’azione ed il non verbale[2]. La memoria semantica diviene, nella seconda parte del secondo anno di vita del bambino. dichiarativa perché si associa al linguaggio. Questa distinzione fra memoria implicita e memoria esplicita-dichiarativa , amplia il campo di indagine della psicoanalisi estendendolo dal verbale a tutto ciò che non lo è. L’azione, come dicevamo, ora viene compresa come uno dei modi, assieme ad altri, di comunicazione dell’implicito[3].
Della conoscenza relazionale implicita è stata data questa definizione:” L’insieme di rappresentazioni che regolano il modo di fare le cose, di comportarsi…con gli altri…per esempio scherzare, esprimere affetto o richiamare l’attenzione….. da un punto di vista affettivo, interattivo ….e cognitivo. Essa comincia ad essere rappresentata ben prima della comparsa del linguaggio e continua ad operare implicitamente per tutta la vita.” . Come si può ben intuire la conoscenza relazionale implicita non ha a che fare con le procedure, ma ha a che fare con un campo di saperi, saperi che attengono prevalentemente ai modi di come stare con un altro. Questo tipo di conoscenza avviene attraverso un processamento automatico del quale non siamo consapevoli, processamento che comprende anche quelle “esperienze non formulate”, cioè mai messe in parole, di cui ci ha parlato Donnel Stern (2003) Vi è una sequenza evolutiva fra la c.r.i. dell’infanzia ed i ricordi procedurali a lungo termine dell’età adulta (BCPSG), i primi in forma di traccia possono subire delle modificazioni e solo in caso di traumatismi evolutivi si irrigidiscono e arrestano il loro processo continuo di trasformazione (Sander, 1995), i secondi in forma di conoscenza implicita governeranno tutte le relazioni. Meares (2009) sostiene che "i traumi non sono ricordati come avvenimenti, ma come una forma di “conoscenza” di caratteristiche negative del sé. E’ come se l’individuo fosse inconsapevole dell’origine di queste attribuzioni, che trasmettono, per esempio, la sensazione di essere cattivo, mostruoso, incompetente o fallito”[4].
Il processo di modificazione di queste tracce o dei nessi associativi tra unità mentali, idee, memorie, sensazioni, affetti (Westen e Gabbard, 2002) è il prodotto di elaborazione e rielaborazione di tutte le informazioni immagazzinate, poiché ciò che ci rappresentiamo anche a livello presimbolico è il risultato della continua relazione esistente fra l’ambiente e l’individuo. Questo modo “elementare” di rappresentare gli scambi di interazione fra il bambino e l’ambiente è una forma di rappresentazione presimbolica che si costruisce attorno ai sei mesi di vita e precede la rappresentazione simbolica[5]. Ciò che comunque viene rappresentato sia in forma presimbolica che simbolica è la relazione intersoggettiva, per cui i due soggetti non possono mai venire rappresentati singolarmente. L’associazione fra questi nessi avviene attraverso l’esperienza ed è inconscia, per cui non ci è possibile determinarne i loro stati di attivazione o disattivazione, questi regolano e guidano i nostri pensieri ed i nostri comportamenti e si manifestano in maniera automatica e prevalente attraverso l’azione, che, organizzata, si sviluppa in modelli disadattivi anch’essi automatici ed inconsci. Possiamo affermare che sono esperienze mai formulate, che possono solo essere vissute e solo attraverso il viverle essere colte e comprese. e in analisi evidenziarsi attraverso la relazione nel qui ed ora, fra paziente ed analista. E’ su questa dimensione che molti Autori ritengono che debba agire l’azione terapeutica.
3. la dimensione analitica dell'incontro
Queste conoscenze come il “conosciuto non pensato” di Bollas possono non arrivare mai alla coscienza, ma essere la base di ciò che può essere rappresentato simbolicamente e quindi essere interpretato. Ad esempio il transfert può essere riconosciuto come uno dei modi di stare con gli altri nelle relazioni , Ogden sostiene che quando un paziente entra in analisi sperimenta quella che è stata definita angoscia transferale, cioè la convinzione inconscia che le cose con l’analista andranno nello stesso modo in cui sono accadute con i suoi oggetti significativi. Il paziente, per dirla con Loewald, vedrà l’analista come un oggetto vecchio. Compito di questi, ad opera dell’azione terapeutica, è costituirsi nei confronti del paziente come un oggetto nuovo. L’osservazione clinica ci ha messi nella condizione di riconsiderare oltre al concetto di trauma anche la relazione di questo con la memoria. Il trauma non è più solo considerato come un evento focale e puntiforme, come l’abuso sessuale o la violenza, le perdite o altri eventi catastrofici, ma deve essere inserito in uno spettro più ampio che va a comprendere quelle situazioni relazionali nelle quali è presente conflittualità, trascuratezza o mancata sintonizzazione della comunicazione affettiva, cioè tutte quelle situazioni che possono essere ricondotte a ciò che è stato definito come traumatismo relazionale.
Inoltre, come Freud aveva già intuito, ciò che viene immagazzinato nella memoria non è una riproduzione di ciò che viene percepito, ma una potenzialità che può rivivere quando eventi esterni o interni riattivano l’esperienza originaria. Un aspetto importante di questa riattivazione è il suo automatismo :” si tratta di una replica automatica ed interna degli eventi evolutivi cruciali dell’esperienza del bambino con il genitore” (Brandchaft, Stolorow, 1990).L’automatismo si situa pertanto nel campo della psicologia, espressione di un inconscio che per dirla con Janet (1889) è ,“ capace di sensazioni, ma incapace di idee”, un inconscio capace di azione ma non ancora di rappresentazione, un inconscio bloccato dagli eventi traumatici e spinto alla ripetizione nel tentativo di superare l’angoscia dominante.
La riattivazione automatica di queste emozioni spinge, il più delle volte, a due manovre psichiche: la prima è il blocco del processo dissociativo che in questa ottica gioca un ruolo importante collocandosi nel campo della memoria implicita come una difesa che si erige automaticamente a difendersi da un’angoscia destrutturante; la seconda è l’azione. Il blocco del processo dissociativo agisce impedendo l’integrazione fra le diverse parti del sé, le quali separate fra di loro diventano incapaci di esprimersi attraverso rappresentazioni simboliche riuscendo a manifestarsi solo attraverso l’azione, questa al momento è l’unica manovra utile ad alleviare l’intenso senso di angoscia ed anche come un disperato tentativo di portare dentro la coscienza una esperienza non formulata( Donnel Stern,2003) L’azione , pertanto, rivela quelle memorie che depositate nell’implicito entrano nella vita dei pazienti in maniera devastante come “l’ombra dello tsunami” di cui ci ha parlato Bromberg (2011), e che nella relazione analista-paziente si rilevano nelle interazioni che avvengono nel qui ed ora, il cui riconoscimento rappresenta un valore aggiunto per la tecnica analitica. L’azione che, molte volte, è organizzata attorno a modalità ripetitive e disadattive di relazione, non è un sostituto di ricordi dimenticati, è un ricordo che non può essere ricordato, ma che può essere solo vissuto e che l’analista nella relazione deve permettere di far emergere ed essere in grado di cogliere[6].
La psicoanalisi relazionale ha teso a minimizzare la differenza fra parola ed azione, privilegiando l’idea che entrambe sono espressione di contenuti psichici, sottolineando come :” le parole non limitano o sostituiscono l’azione, esse sono l’azione. Per ciascuno di noi, ciò che diciamo e come lo diciamo è una parte estremamente importante del nostro repertorio di azioni” (J. Greenberg, 1996).
4. Il processo di cambiamento.
Le premesse teoriche a cui ci siamo riferiti ci forniscono , a nostro parere, la possibilità di usare ulteriori strumenti terapeutici, che aggiunti agli altri usati tradizionalmente, possono risultare utili a determinare un cambiamento. L’ampio contenitore all’interno del quale è possibile utilizzare gli strumenti terapeutici a cui facciamo riferimento è la relazione terapeutica vissuta nel qui ed ora. In questo contenitore è possibile osservare fenomeni intrapsichici altrimenti non osservabili al di fuori di un contesto intersoggettivo, questo principio non solo vale per il trattamento psicoanalitico, ma anche per lo sviluppo evolutivo. La relazione nel qui ed ora include tutto ciò che accade momento per momento in seduta andando oltre la dinamica transfert-controtransfert, che viene considerata una parte di uno scambio intersoggettivo più ampio. Partiamo da una premessa, l’attenzione data al lavoro sul qui ed ora non implica, da parte nostra, né un abbandono, né una sottovalutazione dell’importanza della storia evolutiva del paziente, lavorare sul qui ed ora ci è parso essere un ulteriore strumento di lavoro per evidenziare e decifrare aspetti altrimenti non formulati. Il presupposto teorico si basa su alcune considerazioni:
1) che quello che accade fra il paziente e l’analista è il vero oggetto dell’analisi. Safran (2009) propone di definire la relazione analitica nel quì ed ora come “un continuo processo di negoziazione intersoggettivo” sugli scopi e gli obiettivi terapeutici, la relazione da questo punto di vista diviene un elemento non solo necessario ma anche sufficiente a determinare un cambiamento. Le negoziazioni hanno lo scopo di sottolineare i tentativi messi in atto sia dal paziente che dall’analista per trovare i modi per lavorare insieme. Questo processo che avviene prevalentemente fuori dalla coscienza, si basa non solo su ciò che viene trasmesso attraverso la comunicazione verbale, ma anche attraverso le percezioni e le fantasie che il paziente coglie della soggettività dell’analista. E’ stato osservato che questo processo è un aspetto importante del cambiamento terapeutico, perché dà al paziente la possibilità di comprendere che i suoi bisogni hanno una legittimità solo all’interno di un riconoscimento delle esigenze dell’altro e che le relazioni devono sempre prevedere il riconoscimento della soggettività dell’altro. Inoltre la negoziazione può fornire utili insight “sull’influenza del passato del paziente, sugli schemi conflittuali e sulle relazioni d’oggetto del presente (Gabbard, 1997).
2) Nello scambio terapeutico avvengono così tante impercettibili interazioni affettive, comprese le rotture ed i modi delle loro riparazioni, che diviene importante riconoscerle e farne oggetto di discussione, questa dinamica può evidenziare la capacità da parte del paziente di essere in grado di gestire affetti intensi senza esserne distrutto o essere causa di distruzione, che la paura generata dalla conflittualità può essere elaborata in modo diverso nel qui ed ora della relazione e vissuta come una nuova esperienza.
3) Nel qui ed ora è possibile non solo riconoscere come l’insight prodotto dalle interpretazioni di transfert modifica la memoria dichiarativa, ma anche come, a ragione della costruzione di un ambiente psicologicamente accettante ed intersoggettivo, nato dall’incontro non solo delle due soggettività di analista e paziente, ma anche delle loro due conoscenze relazionali implicite, che vanno a costituire ciò che è stata denominata “conoscenza implicita condivisa”, la memoria implicita del paziente oltre che quella dell’analista, può subire cambiamenti attraverso esperienze che il gruppo di Boston rubrica come “momento presente”, cioè ciò che sta accadendo fra di noi qui ed ora”, i “momenti ora ”che portano il paziente “più pienamente nel presente”(BCPSG) quando il piano familiare costituito dalla relazione paziente analista sta cambiando o rischia di cambiare, ed i “momenti di incontro” che sono momenti ora nei quali sia il terapeuta che il paziente “si incontrano come persone relativamente svelate, non nascoste dietro ai loro rispettivi e ordinari ruoli in terapia”.
L’esperienza dell’intersoggettività, è immersa in una atmosfera nella quale la regressione e le identificazioni parziali dominano la scena analitica, atmosfera che viene resa bene dalla metafora di Isakower di “strumento analitico”, l’insieme, cioè, di due strumenti musicali che suonano in perfetta armonia, una comunicazione molto primitiva che può avvenire sia attraverso le parole che il silenzio. Ed è in questa atmosfera che si attiva un processo nel quale ”si creano metafore che danno forma all’esperienza dell’analista rispetto alle dimensioni inconsce della relazione analitica” (Ogden,1997). La metafora per Ogden (1997) si presenta prevalentemente nello stato di reverie ed ha come funzione principale quella di compensare le insufficienze del linguaggio esistente.