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Marion P. - Discussione al lavoro del Dottor Sergio Bordi "E’ cambiata la tecnica analitica? Come sono cambiate le nostre interpretazioni e come sono cambiati i nostri pazienti?" (2004)

INTERPRETAZIONI, COSTRUZIONI E RICOSTRUZIONI:
E’ CAMBIATA LA TECNICA ANALITICA?

3° MODULO SEMINARIALE

 

 

L’INTERPRETAZIONE OGGI: COME SONO CAMBIATE LE INTERPRETAZIONI DELL'ANALISTA
E COME SONO CAMBIATI I NOSTRI PAZIENTI?
4 giugno 2004

Discussione al lavoro del Dottor Sergio Bordi

 

 

Paola Marion

Il tema, proposto alla discussione della serata, è un tema al contempo complesso ed elusivo, proprio per la molteplicità dei termini che mette in gioco: interpretazione, cambiamento, pazienti e quindi, implicitamente, patologia, trattamento ecc. Molteplicità che si complica alla luce delle divergenze che facilmente possiamo riscontrare circa il significato che ognuno di noi attribuisce a questi termini.

Si tratta, infatti, di affrontare un argomento che abbraccia e coinvolge la teoria e la teoria della tecnica psicoanalitica, oltre che attraversare l’intero arco temporale della psicoanalisi. Nondimeno, l’argomento  propone interrogativi che, più o meno esplicitamente formulati alla consapevolezza dell'analista, ci accompagnano nella pratica quotidiana o riaffiorano in momenti emergenti del nostro lavoro. Nell’ambito dell’interpretazione, che definisce dall’origine la nascita della pslcoanalisi insieme al sogno di cui è l’altro polo (di Traumdeutung infatti si parla), confluiscono gli sviluppi successivi della teoria psicoanalitica in senso stretto e non, perchè in ogni caso è in quell'atto del tutto particolare e speciale, la cui accezione, significato e importanza si è modificato nel tempo senza tuttavia mai scomparire, che la psicoanalisi ha fondato e continua a fondare la specificità del suo metodo e della sua cura. E quindi come sarebbe possibile parlare dell’interpretazione oggi, separandola da tutti gli altri concetti che attengono alla nostra disciplina e che sono anch'essi cambiati nel corso
del tempo?

Il compito si presenta quindi estremamente complesso da un punto di vista concettuale. Il dott. Bordi lo affronta con il consueto ampio respiro e capacità di visione di insieme, proponendo da subito un sui taglio. A partire, infatti, dalla domanda iniziale, "se è cambiata la tecnica analitica", il dott. Bordi ci offre una personale sintesi dei cambiamenti che si sono verificati all’interno della teoria psicoanalitica e dei suoi modelli. Dico personale, non certo perché il quadro descritto non corrisponda a quanto è avvenuto, a quelle progressive modificazioni dei modelli della mente che hanno accompagnato prima di tutto l’elaborazione freudiana e le sue diverse revisioni, come del resto indica lo stesso Bordi. Dico personale, e così dicendo forse già accenno a un primo punto di discussione, perchè a partire dallo sforzo iniziale di Freud di costruire una struttura teorica unitaria è seguita una  "movimentazione" e moltiplicazione delle prospettive teoriche e dei modelli di riferimento, che rende estremamente difficile utilizzare criteri univoci anche solo nell’impegno ricostruttivo.

Il dott. Bordi ci offre una visione sintetica dei cambiamenti verificatisi, soprattutto sottolineando il passaggio avvenuto con la critica al realismo scientifico, con l’introduzione di nuovi paradigmi osservativi e con "il ridimensionamento della concezione oggettivante della neutralità”, come egli stesso scriveva in un articolo del 1995 (“Lo stato attuale del concetto di neutralità analitica"). Sempre in quell’articolo dava una descrizione del quadro complessivo, che risulta coerente anche con ciò che egli ci propone ‘sta sera: "E così mentre si rarefacevano i riferimenti alle dinamiche conflittuali, ala primarietà dell’insight, alla confrontazione della realtà psichica e alla sua responsabilizzazione, in misura proporzionale si accrescevano la raccomandazioni sull’empatia, sul valore comunicativo della relazione qui-ora, sull’esperienza affettiva condivisa e sulla costruzione di significati che ne scaturiva" (p.378). La "dimensione relazionale del trattamento”, che si veniva imponendo - come scrive Bordi - è stato il risultato "delle migliori conoscenze sulla crescita mentale del bambino" e del fatto che "il piccolo umano veniva considerato, alla stregua di ogni organismo, come un essere sin dall’inizio in interazione con l’ambiente".

All’interno del quadro globale proposto relativo ai "cambiamenti avvenuti nella tecnica analitica”, il lavoro di  questa sera sottolinea come i nuovi punti di vista si riflettevano sia in un'inversione di rotta temporale (dal Ià -e- allora al qui-e-ora), che accomunerebbe psicologia dell’Io e psicoanalisi kleiniana (ciò naturalmente infuenzando la valutazione e I'interpretazione dei transfert e del suo significato); sia in un crescente interesse verso "la dimensione relazionale del trattamento in virtù delle conoscenze sulla crescita della mente acquisite tramite l’osservazione diretta dei bambini". Come Bordi già scriveva in un articolo su "La psicoanalisi alla fine del secolo: una rassegna" (2000): “Porsi in questa prospettiva significa anche dotarsi di una teoria evolutiva che dia maggior rilievo all’interazione reale, comprendendovi entrambi i poli dell'operazione". Come conseguenza di ciò – ci dice Bordi – all’impianto investigativo tradizionale si va affiancando una tecnica dell’accudimento.

1) Un primo problema mi sembra che riguardi il vertice assunto nel ricapitolare la storia dei cambiamenti avvenuti nella tecnica analitica. Infatti, se anche nell’attività ricostruttiva dobbiamo “patire” l’effetto della molteplicità dei punti di vista (il problema degli universi multipli o "the many worlds interpretations", come dice Everett) e l’influenza del modello prescelto su ciò che presentiamo, questo non ci pone forse di fronte al problema dell’uso che l’analista fa delle proprie teorie (teorie pubbliche e private) nell’ascolto e nella formulazione dell’interpretazione e nella successiva elaborazione e costruzione teorica?

Se assumiamo un modello esplicativo che tende ad assimilare il processo analitico a un percorso evolutivo non si rischia forse di reintrodurre dalla finestra il problema dell’oggettività che era stato fatto uscire dalla porta? Problema dell’oggettività legato all’interazione reale avvenuta e al ricorso alla teoria evolutiva, sia che ci muoviamo con lo spirito dell’ "archeologo", o con l’audacia del "corrispondente di guerra" Dobbiamo il clivaggio verso la dimensione relazionale del trattamento certamente una molteplicità di fattori che è forse difficile contenere interamente e tra i quaIi possiamo annoverare anche Ie teorie sullo sviIuppo infantile. Ma è - come afferma Bordi - "il diffondersi del punto di vista relazionale che aumenta I’importanza dell'analista come persona, con la conseguenza che il controtransfert veniva concepito più globalmente", o è l’inverso? Quando, infatti, la dimensione del controtransfert e il suo valore euristico cominciarono a essere riconosciuti, ciò determinò un cambiamento di prospettiva nel modo di vedere l’intero processo psicoanalitico, i due contraenti inclusi. Il ruolo dell’analista diventava sicuramente meno neutrale e più partecipante. In virtù del riconoscimento della dimensione controtransferale la situazione analitica non poteva più essere descritta come "una situazione di una persona di fronte a un personaggio indefinito e neutrale...bensì come la situazione di due persone inestricabilmente legate e complementari per la durata della situazione e contenute in uno stesso processo dinamico", come scrive Paula Heimann, e la dimensione relazionale entrava a pienotitolo nell’analisi. Come già era avvenuto per il transfert, proprio ciò che sembrava costituire un ostacolo per la psicoanalisi, diveniva un suo alleato, e ciò succedeva, vale Ia pena di ricordarIo, come conseguenza di un nuovo tipo di patoIogie, rispetto a quelle tradizionalmente considerate nevrotiche, e di nuove fasce di età che avevano accesso alla cura psicoanalitica.

2) La ricostruzione del dott. Bordi coglie anche la trasformazione a cui, in seguito alla preminenza del punto di vista relazionale e del modello di riferimento dello sviluppo infantile, sono andati incontro il concetto di setting e la dimensione temporale. Il dott. Bordi scrive: "In questo clima generale, all’impianto investigativo tradizionale si venne ad affiancare via via una tecnica dell'accudimento che impegna l’analista a farsi contenitore dei drammi e delle speranze dei pazienti e a dare la sua testimonianza al loro bisogno di essere ascoltati e riconosciuti anche nel coinvolgimento emotivo che essisuscitano nell’analista; ...il setting veniva così ad assumere anche una collocazione improntata alla sicurezza, al rispecchiamento e al dialogo'". (p.2). In una prospettiva che non è solo "relazionale" o diadica (prospettiva di cui, come da più parti è stato sottolineato, era ben consapevole anche Freud, cfr. Goretti, 2000; Bonaminio, 2003), ma che accentua fortemente gli aspetti interpersonali, intersoggettivi e interattivi, il setting, guadagnando in concretezza rassicurativa, non rischia forse di perdere il suo carattere di "metafora polisemica" (l’espressione è di Green), che include il riferimento al modello del sogno, al divieto dell’incesto e anche, ma solo anche, alle  cure materne? E che solo in quanto tale, cioè come "metafora", può proporsi come dispositivo particolare per assistere al funzionamento mentale dell’altro, alla sua realtà intrapsichica?

La trasformazione del modello freudiano e la preminenza di questi punti di vista hanno influenzato anche la concezione della dimensione temporale. E non solo nel senso di imporre uno spostamento di attenzione dal là-e-allora al qui-e-ora, e quindi - come scrive Bordi -  di accentuare l’uso della ricostruzione a fini confermativi di quanto viene vissuto nel presente, ma anche del rischio sottotraccia di una diluizione o dissoluzione della storia del soggetto sostituita da una presenzialità immanente o al massimo dal ricorso a una psicologia dello sviluppo. Scomparirebbe quindi un'altra nozione centrale dall’apparato concettuale psicoanalitico, quelle cioè di Nachtraeglichkeit, che definisce il nostro modo specifico di ascolto e di interpretazione e da cui discende quella fecondissima distinzione proposta da Winnicott tra "precoce" e "profondo" (distinzione introdotta proprio nell’articolo dal titolo "Il contributo dell’osservazione diretta del bambino alla psicoanalisi", 1957), distinzione che rivendica l’esistenza di una vita fantasmatica del bambino, non direttamente sovrapponibile a ciò che l’osservazione può dimostrare.

Proprio per le cose dette fin qui mi sembra utile ricordare quanto sostenuto da Bonaminio, che segnala il vizio epistemologico che si annida in questa visione ormai dominante della dimensione diadica, relazionale, intersoggettiva assurta a meta-modello: vizio che si esprime nella confusione tra "luogo" del processo psicoanalitico (luogo della dimensione intersoggettiva e relazionale) e “fine”, “oggetto" del processo psicoanalitico, che continua ad avere a che fare con l"individualità" del paziente.

Questa osservazione mi riporta al secondo interrogativo centrale del nostro modulo: "come sono cambiati i nostri pazienti?". Non so se siano cambiati i nostri pazienti o siamo noi analisti a essere cambiati. Del resto la questione così impostata è irrilevante, mentre penso che l’interrogativo propone alla nostra attenzione un problema di più difficile e assai più sofisticata soluzione, quello cioè del rapporto tra realtà esterna e realtà psichica. Il riferimento all’articolo che Eugenio Gaddini scrisse esattamente vent'anni or sono su "Se e come sono cambiati i nostri pazienti" mi è venuto spontaneo. Gaddini scriveva: "Tutto questo non impedisce che gli psicoanalisti, centre il secolo volge al tramonto e il secolo della psicoanalisi sta per compiersi, si domandino legittimamente se e come, nel tempo trascorso fin’ora, i loro pazienti siano cambiati". Il secolo è tramontato e il secolo della psicoanalisi si è compiuto. Ho l’impressione che la pressione di queste domande si è fatta più urgente e ci incalza, se quell' "oggi'" ricorre con insistenza nel titolo di due attività scientifiche che, malauguratamente, avvengono in contemporanea: “L’interpretazione oggi”, “L’Edipo, oggi”. Che significa quell’ “oggi” che sembra premere per ottenere una risposta? Gaddini è esplicito nell'ammettere, citando Rangell, "che la psicopatologia individuale cambia, così come cambia l'individuo umano, a seconda dell'ambiente socio-culturale in cui si forma" ed è del resto anche quanto indica Bordi, accostando a impostazioni più  tradizionali le visioni ermeneutiche.

Se, come abbiamo visto prima, è una nuova tipologia di pazienti, che dobbiamo il ripensamento della situazione psicoanalitica e la messa a fuoco di nuovi strumenti concettuali, a quali nuove psicopatologie ci troviamo di fronte, oggi? Nel lavoro che citavo prima, Gaddini individua nel transfert imitativo l'espressione di un particolare e molto insidioso tipo di difesa che gioca un ruolo essenziale nella relazione della cultura ambientale con la psicoanalisi. Attraverso il processo imitativo si evita il riconoscimento dell’alterità e il processo ad essa collegato di introiezione e di identificazione viene sostituito dall’idea di diventare "magicamente" l’altro per contatto. Il transfert imitativo rappresenterebbe dunque una difesa dal transfert. La descrizione che ci offre Gaddini coglieva e forse anticipava qualcosa che ha a che fare con una pseudorelazionalità come deriva di una relazionalità esasperata, onnipresente e onnicomprensiva (per es. quella tendenza fenomenologica incentrata sul soggetto e sull’incontro umano, di cui parla Bordi) e che, dal punto di vista psicopatologico, si traduce in una sottrazione di margini al mondo interno individuale a favore di una esternalizzazione e interattività perenne. Ciò che difetta in queste situazioni è proprio lo spazio intorno, corroso e dominato da una immagine di Sè rivolta al presente, tesa all’immediatezza, ma anche alla superficialità del contatto, alla rapidità della realizzazione di desideri e progetti. Da tutto ciò non è immune la stessa psicoanalisi quando propone una visione sempre più interattiva dello scambio analitico e non sono immuni i pazienti (o per lo meno una categoria che incontriamo sempre più frequentemente), nei quali prevalgono aspetti bidimensionali della personalità accompagnati da forme di maniacalità e per i quali il re-agire costituisce il modo prevalente di essere. La mia sensazione è che questa sia, se non la direzione, per lo meno una delle direzioni del cambiamento oggi nei pazienti, in un complesso intreccio tra psicopatologia individuale, teorie e modelli dell’analista, spirito del tempo.

In queste condizioni l’interpretazione è chiamata a svolgere un compito che - se certo non è più la decodifica del significato - non è nemmeno ancora la creazione dei significati o la riconcettualizzazione degli eventi psichici e i collegamenti tra di essi. In queste situazioni l’interpretazione svolge un lavoro preliminare che ha a che fare con il luogo in cui le emozioni possano accadere e le intepretazioni possano collocarsi (come dice Ferro preliminarmente create un contenitore tra paziente e analista che poi venga interiorizzato). La parola, l’interpretazione prima di "sviluppare nuovi sistemi di conoscenza, più adatte prospettive da assumere capaci di dare un senso più ricco e meno autolesivo all’esistenza, o riorganizzare esperienze limitanti e frammentarie”, come scrive Bordi, sembra doversi occupare di "costruire lo psichico", per usare un'espressione di Bion, e attraverso la sua funzione di terzietà preoccuparsi di dare forma al luogo, al contenitore, allo spazio dove tutto il lavoro successivo in termini di libera associazione e rappresentazione mediante il linguaggio possa avvenire, perchè questo spazio sembra collassato e il rappresentazionale sembra aver lasciato posto al percettivo.

I miei interlocutori sono diversi da quelli del dott. Bordi. Tuttavia esplicitare i punti di vista differenti circa il processo psicoanalitico significa esplicitare la teoria implicita ed esplicita che ognuno di noi ha e che influenza le nostre prospettive e le nostre ipotesi su come funziona la mente, sulla psicopatologia, e sulle finalità del nostro lavoro. Ed è premessa indispensabile per avviare la discussione.

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