Giovedì, Aprile 18, 2024

NOTA! Questo sito utilizza i cookie e tecnologie simili.

Se non si modificano le impostazioni del browser, l'utente accetta. Per saperne di piu'

Approvo

I cookies sono dei piccoli file di testo che, trasferiti sull’hard disk del computer dei visitatori, consentono di conoscere la frequenza delle visite e quali pagine del sito vengono visitate dai netizen. Si tratta di dati che non permettono di procedere all’individuazione dell’utente (ma la sola provenienza dell’azienda), non incrociamo le informazioni raccolte attraverso i cookies con altre informazioni personali. La maggior parte dei browser può essere impostata con modalità tali da informarla nel caso in cui un cookie vi è stato inviato con la possibilità, da parte sua, di procedere alla sua disabilitazione. La disabilitazione del cookies, tuttavia, può in taluni casi non consentire l’uso del sito oppure dare problemi di visualizzazione del sito o delimitare le funzionalità del medesimo sito, pur se limitatamente ad aree o funzioni del portale.

La disabilitazione dei cookies consentirà, in ogni caso, di accedere alla home page del nostro Sito. Non viene fatto uso di cookies per la trasmissione di informazioni di carattere personale, né vengono utilizzati c.d. cookies persistenti di alcun tipo, ovvero sistemi per il tracciamento permanente degli utenti. L’uso di c.d. cookies di sessione (che non vengono memorizzati in modo persistente sul computer dell’utente e svaniscono con la chiusura del browser) è strettamente limitato alla trasmissione di identificativi di sessione (costituiti da numeri casuali generati dal server) necessari per consentire l’esplorazione sicura ed efficiente del Sito. I c.d. cookies di sessione utilizzati sul Sito evitano il ricorso ad altre tecniche informatiche potenzialmente pregiudizievoli per la riservatezza della navigazione degli utenti e non consentono l’acquisizione di dati personali identificativi dell’utente. Coloro che intendono avvalersi della sezione riservata del sito prestino attenzione alla specifica informativa anche relativamente all’uso dei cookies.

Solano L. - Dal sintomo alla persona: Medico e Psicologo insieme nell'assistenza di base (2012)

 Dal sintomo alla persona:

Medico e Psicologo insieme nell’assistenza di base

Luigi Solano

3 febbraio 2012

Quando il medico non sa cosa fare

     Sig.ra C., sposata, senza figli. Questa paziente era in cura dal mio collega associato dello stesso studio già dall'inizio del 1946. Si lamentava allora di dolori epigastrici ed al torace. Il mio collega l'aveva inviata da un eminente specialista nell'aprile del 1946 e questi aveva riferito: "Ho il piacere di comunicarle cha la radiografia del torace di questa paziente è del tutto normale. Essa appare molto soddisfatta di questo risultato (sic); io penso che la maggior parte dei suoi sintomi siano di origine funzionale e spero che le rassicurazioni che le ho dato possano esserle di qualche utilità".

   Poco dopo, la paziente si preoccupava nuovamente delle condizioni dei suoi polmoni poiché era riapparso il medesimo dolore. Venne inviata per una nuova radiografia ad una clinica di tisiologia. Il medico di questa clinica riferì, nel maggio 1946: "Ho il piacere di comunicarle che non appare nessun segno di tubercolosi polmonare o pleurica. Io credo che il dolore epigastrico provenga dalla parete addominale, e cioè sia probabilmente di origine muscolare o tendinea. Si potrebbe tentare il massaggio." Fu tentato il massaggio, ma con scarso successo.

   La paziente veniva frequentemente a consultarci e venne da me visitata per la prima volta nell'ottobre 1946. Attribuivo, a quell'epoca, i suoi sintomi ad una "appendicite cronica". La inviai dapprima da un ginecologo che, nel 1947, scriveva: Questa signora lascia piuttosto perplessi. Il Dr. L. l'ha esaminata in modo completo e non ha trovato nulla, ed io devo ammettere che nemmeno io ho potuto trovare nulla di anormale dal punto di vista ginecologico. Dato il suo dolore costante al fianco destro e la sua stipsi cronica, è possibile che si tratti di appendicite; è difficile dirlo, ma, se lo desidera, chiederò ad uno dei nostri chirurghi..."

   Consultammo quindi un chirurgo e questi, nell'ottobre 1947, scrisse: "Le ho consigliato il ricovero in ospedale per l'asportazione dell'appendice." L'appendicectomia venne eseguita nel dicembre 1947. Dopo di che, la paziente continuò a venire da me praticamente ogni settimana accusando i dolori più vari, qualche volta alla fossa iliaca destra, qualche volta alla schiena, e mi faceva impazzire con le sue chiacchiere apparentemente inconcludenti........ (Balint, 1957, pp.19-20 ed. it.).

   Numerose ricerche, a cominciare da quelle di Balint, hanno mostrato che almeno il 50% delle richieste che pervengono ai Medici di Medicina Generale esprimono un disagio di tipo relazionale/esistenziale più che un problema somatico.

   Questo 50% può diventare il 100%  in un'ottica di unità corpo/mente (De Toffoli 1991, 2001; Matthis, 2000) che ha trovato sostegno in una vastissima mole di ricerche nell'ambito della salute (vv. ad es. Solano, 2001) che mostrano come anche il disagio che prende forme somatiche (organiche) nella maggior parte dei casi riconosce cause anche (o soprattutto) psicosociali: relazionali, intrapsichiche, storico/traumatiche, legate al ciclo di vita.

   La possibilità per il medico oggi di offrire risposte ad una domanda di tipo psicosociale è resa molto difficile dalla progressiva differenziazione tra Medicina e Psicologia, cioè tra approccio al corpo e alla mente (al contesto relazionale) di un individuo. La Medicina occidentale (a parte eccezioni individuali) si è progressivamente allontanata da un approccio olistico alla persona, che era sua caratteristica preminente prima della metà del 1800, andandosi a concentrare elettivamente sugli aspetti organici e genetici della malattia e della salute. Questa focalizzazione ha portato nel corso del 1800 e del 1900 a progressi fino a quel momento impensabili nella prevenzione, diagnosi e trattamento delle malattie, ma ha comportato la scotomizzazione dell'importanza dei fattori emozionali e relazionali nella malattia e nella salute, e più in generale della specificità della singola persona. Tale atteggiamento, fortemente incoraggiato proprio dall'entità dei successi ottenuti, non accenna affatto a modificarsi, si è anzi recentemente rinvigorito con l'affermarsi dell'Evidence Based Medicine e di protocolli universali per la diagnosi e il trattamento.

    Tutto questo fa sì che raramente il medico sia in grado di soddisfare la domanda complessa del paziente, e tenti di fornire risposte sul piano solo biologico, ricorrendo all'effettuazione di analisi e alla somministrazione di farmaci di cui per primo riconosce la dubbia utilità.

   La proposta di Balint di colmare il divario attraverso una formazione psicologica del medico, appare oggi di più difficile attuazione, per diversi motivi tra cui:

-  la maggiore differenziazione odierna tra Medicina e Psicologia;

-  la maggiore quantità di nozioni biomediche e psicologiche da apprendere: è più difficile pensare ad un unico professionista che acquisisca e tenga aggiornate entrambe le formazioni.

   Difficilmente qualcuno penserebbe ad una formazione medica dello psicologo che lo metta in grado di fare anche il medico con i suoi pazienti; quel che è certo è che la questione non si risolve con un corso di aggiornamento di qualche giorno.

   Un'altra possibilità appare quella della collaborazione con uno Psicologo

Le risorse della Psicologia nell'approccio al disagio somatico

  La Psicologia, segnatamente quella di matrice psicoanalitica, ha certamente gli strumenti per considerare il disagio anche somatico secondo una modalità più olistica, prendendo cioè in considerazione il rapporto tra il soggetto e il suo contesto relazionale, il momento del suo ciclo di vita, le sue capacità per affrontare le situazioni. Ha anche la possibilità di adottare un atteggiamento diverso nei confronti della comparsa di un sintomo somatico. Se per la medicina il sintomo è sempre indicatore di malattia, qualcosa in genere di poco auspicabile (se non nella misura in cui permette una diagnosi precoce), diverse correnti della psicosomatica a derivazione sia nordamericana (vv. Bucci, 1997a,b; Solano, 2009; 2010) che francese (Smadja, 2001) vedono il sintomo somatico come un primo tentativo di espressione di nuclei di esperienza dissociata e fino a quel momento presente nella memoria soltanto in forma implicita, subsimbolica, inconscia, comunque non accessibile; come un tentativo di connessione tra i sistemi non verbali e verbali dell’organismo, che richiama quello che Winnicott, nel suo lavoro pionieristico del 1949, chiamava “ricondurre la Psiche alla sua associazione intima originaria con il Soma”. Qualcosa che può quindi assumere un valore adattivo e progressivo, rispetto ad una condizione di distacco da se stessi, di alessitimia, di vita “operatoria” (Smadja, 2001): un valore comunicativo molto importante, verso se stessi e verso l'esterno, e che quindi necessita fortemente di essere compreso, prima che si trasformi in malattia. Carla De Toffoli (2009, 2011) ci ha fornito diversi esempi di come sia possibile, anche in situazioni molto complesse, costruire nella relazione transfert/controtransfert un significato di sintomi o movimenti somatici.

  La possibilità di invio a uno psicologo da parte del medico appare però anch'essa problematica per la progressiva differenziazione e difficoltà di comunicazione tra Medicina e Psicologia, che comporta: modelli diversi sull’origine della salute e della patologia; modelli diversi sulle indicazioni di un intervento psicologico; modelli diversi rispetto alle modalità di invio.

  Ci sono inoltre problemi anche più seri, che riguardano la posizione sociale della Psicologia.

Quando lo Psicologo arriva tardi

  Anna[1], una donna di 45 anni, viene ricoverata in un noto Ospedale di Roma per una ipertensione molto grave (200/120) resistente ai comuni trattamenti farmacologici. Fisicamente appare leggermente in sovrappeso ma abbastanza curata nell'aspetto; come professione è impiegata. Poiché nell'Ospedale è presente un Servizio di Psicologia (cosa per niente scontata), un medico informato, che ha sentito dire che l'ipertensione ha delle componenti "psicosomatiche", chiede la consulenza di uno psicologo per la paziente.

   Al colloquio, senza grandi difficoltà, la psicologa raccoglie la seguente storia, di cui Anna non ha mai parlato con nessuno[2]:

    All'età di 20 anni, come talvolta accade, Anna è rimasta involontariamente incinta del fidanzato, coetaneo. Come spesso accade in questi casi, di fronte all’impreparazione di entrambi, ha abortito. Come spesso accade in questi casi, si è sentita fortemente in colpa. Spesso, in questi casi, la ragazza riversa la colpa (e il rimpianto) sul fidanzato e lo lascia. In questo caso no. Anna decide che il modo migliore per punirsi è di sposare quest’uomo che non ama più.[3] Nascono dopo qualche anno due figli. Si arriva a pochi mesi fa, i figli sono abbastanza grandi, Anna sente di aver "espiato" a sufficienza. Incontra “l’uomo della sua vita”, decide di separarsi dal marito e di andare a vivere con lui. Comincia però ad avvertire un forte mal di testa: il medico di famiglia riscontra una pressione arteriosa elevatissima, che come già detto, non risponde ai comuni trattamenti farmacologici.

   A questo punto quindi, dopo 25 anni di una vita condotta all’insegna della disconnessione rispetto alle proprie esigenze e alle proprie emozioni, qualcuno pensa sia il caso di chiamare uno psicologo. Il quale si troverà a dover sostenere che, se la psicologia deve poter fare qualcosa per questa signora, è necessario un trattamento plurisettimanale della durata di un numero imprecisato di anni (questi psicoanalisti, non cercano altro che spillare soldi alla gente!) per provare a dipanare una matassa così avviluppata, e con una progettualità di vita sul piano concreto certamente ridotta rispetto a 25 anni prima.

  Quante volta Anna, magari sentendone parlare in televisione, avrà pensato che forse le sarebbe stato utile parlare con uno psicologo, uno psicoanalista, uno psicoqualcuno? Quante volte, dai giorni precedenti il matrimonio in poi, avrà consultato il suo medico di famiglia, il ginecologo, il pediatra, per un mal di schiena, per una dismenorrea, per una allergia di un figlio; chissà, se qualcuno, in queste occasioni, notando qualcosa di particolare nel suo atteggiamento, le avesse chiesto “e lei come sta, signora?”[4] non si sarebbero forse aperte delle possibilità di comprensione e di intervento?

   Si comincia invece a pensare di consultare uno psicologo solo quando il disagio, dopo 25 anni di sofferenza, ha prodotto modificazioni (in questo caso) somatiche, gravi, addirittura resistenti ai farmaci, all'interno di una situazione relazionale che si è andata strutturando negli anni e che può quindi essere modificata soltanto a prezzo di ulteriori, grandi sofferenze e di interventi lunghi, impegnativi, costosi, in genere non forniti a livello pubblico.

   Venendo da una formazione medica mi è venuta in mente una metafora per rappresentare l'attuale condizione dello psicologo, quella di un medico “occidentale” che si trovi ad operare in un ipotetico paese primitivo dove in prima istanza le persone per i loro problemi di salute si rivolgono ad uno stregone, il quale, solo quando si rende conto di essere impotente di fronte ai problemi del paziente, si decide a chiamare il medico occidentale: questi, al suo arrivo, si trova invariabilmente di fronte a sepsi diffuse, appendiciti perforate, tumori metastatizzati, patologie epatiche in fase di cirrosi ecc.; costretto quindi a dichiarare la propria impotenza o a proporre rimedi lunghi, dolorosi, invasivi, di incerta efficacia, spesso non disponibili in quel paese per motivi economici. Certo la fama della medicina occidentale non sarebbe molto elevata in questo ipotetico paese; l'arrivo di questo medico verrebbe associato con la presenza di malattie gravissime, e salutato con i più decisi scongiuri.......

Quanto è difficile consultare uno psicologo

   La malattia fisica è socialmente considerata come qualcosa di inevitabile per tutti, prima o poi, parte integrante della vita comune, al punto che, almeno in Europa, è previsto che ciascun cittadino fin dalla nascita abbia un medico di riferimento, le cui prestazioni sono offerte gratuitamente. L'esistenza di una malattia fisica viene vista come qualcosa di oggettivo, non legata al fatto che si vada o meno dal medico.

  Il disagio psichico è considerato invece come qualcosa che riguarda soltanto determinate persone, che sono state trattate in modo più o meno benevolo a seconda dei periodi storici (rogo, catene, farmaci, psicoterapia), ma sempre in servizi specifici, cui si accede su specifica richiesta degli interessati o di chi per loro, distinti da quelli (universali) per la salute fisica. A questo si aggiunge che il disagio psichico appare difficilmente definibile e oggettivabile socialmente, se non nel momento che la persona si rivolge (o viene condotto) ad un servizio o ad un operatore della salute mentale. E' soprattutto a questo punto che l'interessato viene socialmente identificato come persona con problemi psichici, con conseguente stigma sociale[5] nonostante ogni dichiarazione contraria pubblica o privata.

   Il giudizio può essere anche benevolo e tollerante, ma dal punto di vista della società si entra comunque a far parte di una categoria diversa. Il vissuto più comune di chi si senta proporre di consultare uno psicologo appare simile a quello di un comune cittadino italiano, nella maggior parte dei casi cattolico, o non credente, che si sentisse proporre di rivolgersi ad un monaco buddista. "Non ho nulla contro i buddisti", risponderebbe (nel migliore dei casi) il nostro ipotetico soggetto, "ma io non sono buddista!" Non sorprende quindi che ci si rivolga ad uno operatore della salute mentale soltanto come ultima spiaggia, dopo che ogni altro tentativo è fallito; Rovesciando una nota battuta di Woody Allen, soltanto dopo essere stati a Lourdes senza esito.

  A conferma di questa difficoltà, un recente studio dell' Ordine degli Psicologi (Ponzio, 2008) ha mostrato che solo il 5,5% della popolazione adulta ha avuto nel corso della sua vita un contatto professionale con uno psicologo, ivi incluse situazioni non cliniche, quali di orientamento, formazione ecc.

   Una fonte più neutra, l'Istituto Superiore di Sanità all'interno dello European Study of Epidemiology of Mental Disorders, ha esaminato 4.700 persone in Italia nel 2001-2003:

- il 18.6% afferma di aver sofferto di almeno un disturbo mentale nella vita.

- di questi, solo il 16%  si è rivolto a qualcuno .

 - il minor contatto con i servizi si è osserva tra i 18 e i 24 anni, ovvero in una delle fasi evolutive più delicate, e quella in cui si manifestano per la prima volta la maggior parte dei disturbi mentali.

- il ritardo medio nel trattamento è di 28 anni per i disturbi d'ansia e di 2 anni per la depressione maggiore.

    Ogni commento mi sembra superfluo. Rimangono peraltro fuori da questa analisi tutte quelle persone che riescono ad esprimere il loro disagio solamente attraverso il corpo.

Quando lo psicologo arriva in tempo

     Sul finire del 1800, un giovane medico si trovava in vacanza sulle Alpi dal versante austriaco. Un giorno fa una gita impegnativa fino ad un rifugio a più di duemila metri e, poiché è piuttosto stanco, decide di fermarsi per la cena e per la notte. Possiamo immaginare che sia passato dai knodel al goulasch con patate o allo stinco di maiale, innaffiati con vino o birra locali. Terminata la cena, c'è ancora luce, il nostro si immerge nella contemplazione dell'incantevole panorama; da quello che sappiamo di lui possiamo immaginarlo che si accende uno dei suoi pestilenziali sigari (non c’era ancora il divieto di fumare nei locali pubblici), il cui aroma si mescola a quello dei sauerkraut. E' talmente immerso in questa beatitudine da non comprendere subito di essere la persona interpellata quando ode la domanda: "Lei è un dottore?".  La voce è di una ragazza di circa diciotto anni, quella che lo aveva servito a tavola "con espressione piuttosto accigliata", dice il racconto. Ha visto che è un medico sul registro degli ospiti.

   "Sa, sono malata di nervi e sono già stata una volta da un dottore, mi ha dato anche qualche cosa ma non sono ancora migliorata". Richiesta di spiegarsi meglio racconta con immagini molto concrete: "la testa mi diventa tanto pesante e sento un ronzio da non resistere, e mi viene la vertigine che mi sembra di cadere, e poi mi sento come schiacciare il petto e mi manca il respiro. La gola mi si stringe come se dovessi soffocare! Mi sento martellare nella testa che mi sembra di scoppiare".

   La ragazza, che la storia ricorda come Katharina, continua la sua descrizione. Il medico, che in quel periodo si sta occupando proprio di queste cose, le chiede di parlargli del contesto di vita in cui i sintomi sono iniziati. Rapidamente e senza troppe difficoltà (sono passati solo due anni) Katharina ricorda di aver scoperto il padre a letto con una cugina, e altrettanto rapidamente associa di aver subito lei stessa delle molestie sessuali da lui, qualche anno prima dell'ultimo episodio. A seguito dell’episodio più recente, che ha riferito alla madre, i genitori si sono poi separati, tra liti furibonde e minacce del padre nei confronti della "delatrice". Il padre da un po’ di tempo vive altrove.

   Ce n'è abbastanza per permettere al giovane Freud di inquadrare i disturbi lamentati da Katharina come comprensibili reazioni a fatti traumatici. Disturbi che invece, isolati dal contesto, rischiano di apparire come "malattia", indirizzando il destino della ragazza verso quello di una "malata di nervi", "incurabile".

   Non sappiamo quali siano state a lungo termine le vicende della ragazza. Sappiamo però qualcosa sulla reazione immediata all'intervento chiarificatore del medico, all'aver stabilito dei collegamenti tra i suoi disturbi e degli eventi importanti, dolorosi, della sua vita: "Dopo aver terminato queste due serie di racconti, si interrompe. E' come trasformata, il volto prima accigliato, sofferente, si è ravvivato; gli occhi guardano con freschezza, appare alleviata e sollevata" (Breuer e Freud, 1892-1895, p.285 ed.it.). E' difficile dire se sia stata "curata". Certo, la prossima volta che avvertirà dei disturbi, le appariranno meno misteriosi, spaventosi, magari arriverà a pensare che dopo quello che ha attraversato sta fin troppo bene. Si sentirà meno "malata".

    Tutto questo è stato possibile perché una sera, a casa propria, per una “incredibile coincidenza” (o qualche altro motivo che al momento non siamo in grado di comprendere razionalmente) Katharina si è trovata di fronte, poco tempo dopo l'inizio dei suoi disturbi, forse l'unica persona in quel momento in grado di capirla e di aiutarla. E' difficile infatti immaginarsi una ragazza della sua condizione culturale (parlava solo in dialetto, ci racconta Freud) e abitativa (un rifugio a 2000 metri) che arriva a consultare uno psicoanalista, anche se ce ne fossero stati al mondo più di uno. D'altra parte è pronta ad utilizzare molto bene la possibilità che il destino le offre; Freud, per quello che lo riguarda, non è affatto riluttante ad accettare un dialogo in quel setting piuttosto inusuale (al di là della sua curiosità scientifica) forse proprio perché si rende conto della straordinaria opportunità che si è aperta per quella persona (sappiamo bene, peraltro, quanto Freud non sia mai stato un "freudiano ortodosso"). 

120 anni dopo

   Circa 120 anni dopo, Silvia, 17 anni, entra nello studio del suo medico di medicina generale sorretta dai genitori. Cammina molto a fatica e sostiene di non vedere. E' stata portata d'urgenza al pronto soccorso di un ospedale, è entrata con diagnosi di ischemia cerebrale transitoria ed emicrania oftalmica, ed è stata dimessa con diagnosi di transitoria cefalea e sindrome  di conversione. La madre chiede una visita neurologica. Il medico non è molto convinto dell'utilità di questa visita: in fondo il neurologo non aggiungerebbe gran che alla diagnosi già effettuata in ospedale, e non avrebbe molto altro da offrire.

   Anche il medico forse, nella condizione più comune, non avrebbe molto altro da offrire, e potrebbe essere tentato di utilizzare la richiesta di visita specialistica per delegare il problema. Per un caso però - un caso la cui probabilità al momento attuale è simile a quella di incontrare uno psicoanalista in un rifugio di montagna sul finire del 1800 - nella stanza di consultazione è presente anche una psicologa, che affianca il medico nel suo lavoro. La psicologa propone di sospendere per un attimo l'idea di una visita neurologica, e di parlare invece lei per una ventina di minuti con la ragazza. Silvia accetta subito con interesse, i genitori sono riluttanti, ma alla fine acconsentono. Silvia e la psicologa si sistemano in una stanza adiacente.

   Appena fuori dalla vista dei genitori, i sintomi fisici di Silvia appaiono già meno appariscenti, mentre nel suo raccontarsi emergono problemi ben più strutturali. Il modo in cui si esprime e le categorie di pensiero appaiono vacue, tanto da far pensare ad un deficit cognitivo. Emerge che da quando ha conseguito la licenza media, circa 1 anno fa, non ha più studiato né svolto alcuna altra attività. Si sveglia tardi la mattina, sta tutto il giorno in casa con la madre e non esce quasi mai da sola. Descrive i genitori come "una coppia felice e che si ama tanto". 

   Dopo qualche esitazione, dovuta al timore di turbare un equilibrio fragile in una persona che appare scarsamente dotata di risorse, la psicologa ascolta se stessa pronunciare la domanda che le sta in mente dall'inizio del colloquio: "Dove non vuole andare? Cosa non vuole vedere?".

   Silvia, contrariamente alle apparenze, capisce benissimo il senso della domanda: risponde che non vuole vedere la falsità e prorompe in un pianto dirotto. Si percepisce per un momento un'emozione, una persona viva. Dice di aver litigato con le cugine e con le sue amiche, per la loro falsità, da molto tempo non parla con nessuno.

   Viene fissato un nuovo appuntamento per la settimana successiva. Appena usciti i tre, il medico riferisce alla psicologa che la madre due anni fa ha sofferto di un forte dimagrimento ed è stata presa in carico dal CSM, per una forte depressione e liti violente con il marito.

   Prima dell'appuntamento telefona il padre comunicando che Silvia è stata ricoverata nel servizio neurologico di un Ospedale di Roma per un cedimento delle gambe più drammatico del solito. Silvia rimane 8 giorni in ospedale, le viene effettuata una risonanza magnetica cerebrale e un'elettromiografia, tutto negativo. Per tutta la durata del ricovero nessuno cerca di parlare con Silvia per capire cosa stia accadendo nella sua vita.Viene dimessa con diagnosi di nuovo di "sindrome da conversione", con l'indicazione di un ricovero in una clinica psichiatrica. Il messaggio appare molto chiaro: una volta esclusi danni organici, il problema non ci riguarda: sei di un'altra categoria. 

   Per fortuna, di nuovo, Silvia conosce ormai un luogo dove il suo problema viene invece preso in considerazione, senza dover entrare nella categoria dei "disagiati psichici": riprende appuntamento con la psicologa ed effettua alcuni incontri. Racconta di aver avuto una prima crisi a 14 anni, in seconda media: si assentava spesso da scuola, non usciva di casa ed era arrivata a pesare 90 kg (adesso è abbastanza normale). Bocciata due volte, si era poi ripresa anche grazie all'incontro con l'attuale fidanzato. Silvia è molto vaga sui possibili motivi di questa prima crisi, come dell'attuale; le liti con le cugine e con le amiche non appaiono un motivo sufficiente. La psicologa ha sempre più la sensazione di un grosso segreto familiare, tanto più che Silvia parla di voler  essere aiutata a far comunicare i genitori tra di loro, rinunciando all'immagine Mulino Bianco che aveva tentato di proporre all'inizio.

   Il segreto emerge subito dopo l'interruzione estiva: la prima crisi in seconda media avvenne quando il padre le raccontò di una prima, poi di una seconda amante, chiedendole anche di frequentare la seconda, una storia più  seria. Lei riuscì a tacere con la madre per un mese poi le raccontò tutto. La madre reagì trasferendosi a casa dei genitori, Silvia non l'ha più vista per un anno. Colpa, dolore e rabbia per l'abbandono si sono sommate in un crescendo intollerabile. Riconosce di avere avuto “tante sintomatologie per coprire un problema più grande di lei”.

   Aggiunge che forse anche adesso con la "bugia" di non vedere e non camminare sta cercando di coprire un’altra sofferenza. Da qualche mese la madre, rientrata in casa, ha scoperto dove lavora l'amante del marito e ha chiesto ripetutamente alla figlia di accompagnarla “per vederla da lontano”. Silvia racconta di non essere riuscita ad opporsi per molto tempo, fino alla comparsa del sintomo.

    All'incontro successivo, il 4°, il racconto della psicologa descrive una Silvia del tutto cambiata: "Il viso è espressivo, gli occhi vivi, lo sguardo attento. C'è coerenza tra le espressioni del volto e il sentimento che racconta di provare in quel momento. Appare 'scintillante', ha la pelle luminosa e mi emoziona quando parla di sé e del suo futuro. Non ha più nulla dell’espressione depressa, del colorito cereo e pallido dei nostri primi incontri". Ha trovato lavoro e vuole ricominciare la scuola il prossimo anno.

   Al 5° incontro, cui è venuta da sola, riferisce che i problemi fisici sono del tutto scomparsi (anche in presenza dei genitori). E' felice di non aver seguito l'indicazione di un ricovero psichiatrico. E' anche riuscita a dire ai genitori di tenerla fuori dai loro problemi.

   Così, nell'esperienza che vado ad illustrare, delle persone sofferenti si trovano di fronte uno psicologo senza doverlo cercare, anzi, prima ancora, senza dover riconoscere di averne bisogno. Molte di loro, come Katharina e Silvia, riescono a farne un ottimo uso[6].

L'Esperienza della Scuola di Psicologia della Salute della Sapienza di Roma

   E' un tentativo di organizzare quindi situazioni in cui:

 - non sia necessaria una specifica domanda psicologica;

- l’accesso allo Psicologo sia agevole e gratuito;

- sia chiaro che non si tratta di un servizio per alcuni sventurati, ma rivolto all’intera popolazione, esattamente come accade per i Servizi Sanitari medici;

- sia chiaro che si tratta di un luogo dove si può essere aiutati a risolvere dei problemi,  quali possono capitare a tutti, non dove si “curano” “patologie”.

   La possibilità che abbiamo esplorato è stata quella di collocare uno Psicologo dietro la stessa scrivania con il  Medico di Medicina Generale, all'interno del suo consueto orario di ambulatorio. Questa collocazione  risponde all'esigenza di:

•garantire un accesso diretto a uno psicologo a  tutta la popolazione, senza il rischio (o la certezza) di essere etichettati come "disagiati psichici";

intervenire in una fase del disagio iniziale, in cui non si sono organizzate malattie gravi e croniche sul piano somatico od organizzazioni intrapsichiche fortemente limitanti una realizzazione ottimale dell'individuo;

•offrire un ascolto che prenda in esame, oltre alla condizione biologica, anche la situazione relazionale, intrapsichica, di ciclo di vita del paziente;

•favorire un interscambio tra Medicina e Psicologia, integrando le reciproche competenze;

limitare la spesa[7] per analisi cliniche e visite specialistiche, nella misura in cui queste derivino da un tentativo di lettura di ogni tipo di disagio all'interno di un modello esclusivamente biologico.  

   L'esperienza (Solano, 2011) è in corso dal 2000, inizialmente ad Orvieto, poi in diverse località di Roma e del Lazio. Ha finora coinvolto 14 studi medici, dove Psicologi specializzandi in Psicologia della Salute hanno garantito la  loro presenza per 3 anni ciascuno presso lo studio un Medico di Base, per un giorno fisso la settimana, previa affissione di un cartello che spiega l’iniziativa ai pazienti e chiarisce la possibilità, ove lo si desideri, di essere ricevuti solo dal proprio medico.

   Il lavoro dello psicologo si svolge sia in copresenza con il medico sia, successivamente, in incontri separati (in rari casi). I casi di cui ci si occupa congiuntamente vengono tutti discussi tra il medico e lo psicologo, negli spazi che la coppia trova più congeniali (prima o dopo l'orario di studio, tra un paziente e l'altro ecc.). Lo scopo non è di fare della "piccola psichiatria" in casi specifici, ma di sforzarsi di dare un senso in ogni caso al disturbo portato dal paziente all'interno della sua situazione relazionale e di ciclo di vita.

  Il lavoro viene discusso in riunioni almeno ogni due settimane coordinate dal sottoscritto in qualità di docente della Scuola di Specializzazione. Le riunioni sono aperte anche ai Medici, che vi partecipano a seconda delle proprie possibilità.

Risultati dell'iniziativa[8]

   La semplice presenza di uno psicologo nello studio di Medicina Generale, evidentemente accettata e organizzata dal medico, ha modificato in modo sostanziale le aspettative dei pazienti su quali argomenti si potessero portare e discutere in quella sede e quindi la loro disponibilità ad approfondire tematiche non fisiche.

   Ogni psicologa è entrata in contatto con circa 700 pazienti, ed ha trovato utile e possibile intervenire in un centinaio di casi in media, insieme al medico o in colloqui separati (sempre all'interno dello studio). Nella maggior parte di questi casi l'intervento ha portato ad una esplorazione e ad un chiarimento di disturbi fisici o altri problemi portati all'attenzione del medico.Tale intervento ha ostacolato un percorso verso l'assunzione di una identità di malato, fisico o mentale, da parte dei pazienti/utenti; in nessun caso l'adozione anche di una prospettiva psicosociale ha ostacolato il medico nella corretta applicazione della propria professionalità sul piano organico, anzi in diversi casi l'ha sostenuta (vv. Solano, 2011, pp.65-68).

   La possibilità di incontrare uno psicologo senza la necessità di una richiesta specifica e formale da parte del paziente, in assenza di qualunque filtro, ha permesso l'utilizzo di una professionalità psicologica da parte di persone che, spesso per loro esplicita ammissione al termine del lavoro svolto, non sarebbero mai state in grado di formulare una domanda autonoma in tal senso, per timore di uno stigma sociale, per motivi economici, ma soprattutto per un vissuto di estraneità culturale. E' stato di estremo interesse vedere invece con quanta naturalezza la quasi totalità dei pazienti ha accettato la presenza dello psicologo una volta che se lo è semplicemente trovato davanti, mostrando nel tempo anche di comprenderne perfettamente la specificità di funzione rispetto al medico.

  Lo scarso numero di invii a strutture specialistiche di secondo livello nell'ambito della Salute Mentale (4 in media in 3 anni per ciascuna psicologa), testimonia altresì come il tipo di intervento adottato, lungi dallo "psichiatrizzare" o "psicologizzare" la popolazione utente degli studi di Medicina Generale, abbia invece contribuito ad evitare che il disagio si trasformasse in patologia psichiatrica.

  Da un vertice complementare possiamo invece considerare come l'incontro abituale con uno psicologo abbia potuto rendere questa figura estremamente più familiare, in modo da potervi ricorrere in futuro con molte meno remore in caso di necessità. Anche il numero di invii, molto piccolo rispetto ai 1500 utenti di un medico, diventa per nulla trascurabile se rapportato al numero altrettanto piccolo di persone che attualmente cercano aiuto presso un operatore della salute mentale: su base nazionale (calcolando 40 milioni di pazienti) avremmo 106.000 richieste di psicoterapia in più in 3 anni, 35.500 in un anno - e stiamo parlando di persone in origine lontanissime da questo tipo di richiesta. Possiamo inoltre ritenere che tre anni di collaborazione abbiano reso anche il medico molto più in grado di valutare chi si può avvantaggiare di un invio ad uno operatore della salute mentale e come effettuarlo correttamente. 

   Il dato più "concreto" che è stato possibile ottenere nella sperimentazione in questo ultimo triennio 2008-2010 è stata la documentazione di una riduzione delle prescrizioni di farmaci nei due studi in cui è stato possibile avere il dato; riduzione che in un caso è stata del 17% (75.000 euro in un anno), nell'altro del 14% (55.000 euro in un anno). Questo dato non ha solo valore in sé ma testimonia il cambiamento del modo di lavorare all'interno degli studi, laddove evidentemente vengono date risposte di tipo diverso al disagio portato. Ricordo che non abbiamo il dato, probabilmente più sostanziale, della spesa per indagini strumentali, visite specialistiche, ricoveri.

 

Punti di forza

  La maggior parte del lavoro è stato svolto in termini di trovare un senso ai disturbi che venivano portati, di promozione delle risorse personali, di accompagnamento lungo passaggi evolutivi.

   In modo abbastanza rispondente alle aspettative, i punti di forza dell'esperienza sono stati:

- la possibilità di intervenire in tempi molto precoci rispetto al primo emergere di una sintomatologia;

- la possibilità di intervenire all'interno dei momenti di passaggio evolutivo: (es. adolescenza, ingresso all'università, matrimonio, genitorialità, pensionamento);

- la possibilità di intervenire in tempo reale su crisi accidentali (es. crisi coniugali e lavorative, perdita o malattia di persone significative);

- la possibilità di assegnare al sintomo un significato di segnale rispetto ad una condizione di vita insoddisfacente, e non soltanto di un disagio da eliminare.  

    Tra le tematiche incontrate occupa un posto centrale la difficoltà di svincolo tra le generazioni, da entrambi i versanti dei genitori e dei figli, dalla prima infanzia alla piena età adulta. Tale tematica è talmente pervasiva di quasi tutti i problemi incontrati che un capitolo specifico in questo senso avrebbe coinciso più o meno con l’intero volume.

   Per concludere riporto un caso in cui si intrecciano diverse delle tematiche sopra elencate. Il caso è riportato in prima persona dalla psicologa:

Le orecchie a sventola di Sara

Sara è una bella ragazza di 23 anni; sembra più giovane della sua età, dimostra 18-19 anni. Si presenta in ambulatorio agitata perché ha trovato dei "puntini" dietro le orecchie. Un anno prima si è sottoposta a un intervento di chirurgia estetica per ridurre una conformazione delle orecchie "a sventola" e teme che le stiano uscendo i punti di sutura. Il medico la visita e poi la tranquillizza, si tratta di semplici puntini di grasso che non hanno nulla a che vedere con l’operazione. Sara commenta che l’operazione è stata inutile perché non riscontra miglioramenti, si vede comunque brutta. Come ho già detto trovo che Sara sia una ragazza molto bella e sono molto stupita dalla scelta di intervenire chirurgicamente per un difetto minimo. Mi si affaccia anche il timore che, come spesso accade, Sara possa farsi venire in mente qualche altro "difetto" da correggere chirurgicamente.

 Insieme con la dottoressa, chiediamo a Sara come sta più in generale e come vanno le sue cose. A questo punto Sara accenna ad una situazione familiare conflittuale che la fa star male e rispetto alla quale non vede soluzione. È abituata a tenersi tutto dentro perché non sa con chi parlarne e teme di scoppiare da un momento all’altro. Le proponiamo dei colloqui individuali con me che accetta volentieri.

Durante i nostri incontri emergono problematiche legate principalmente a difficoltà di individuazione e svincolo da un nucleo familiare invischiato e simbiotico. Tutto sembra ruotare attorno a un fratello di 17 anni, il quale manifesta condotte antisociali, aggressività auto ed etero diretta e abuso di sostanze stupefacenti. L’organizzazione familiare prevede che il fratello di Sara dorma in camera con lei, delegandole l’accudimento e il contenimento del fratello, delega a cui lei non riesce a sottrarsi. Ciò limita notevolmente la sua libertà e attiva in lei forti dinamiche di controllo. Sara comincia a rendersi conto del nesso tra tutta questa complessa situazione e una serie di disturbi, di cui non aveva ancora parlato con nessuno, nemmeno con il medico: frequenti emicranie, attacchi di panico, fino alle recenti manifestazioni che possiamo definire di dismorfofobia, che hanno condotto all'intervento (molto probabilmente sproporzionato) di chirurgia estetica; spesso la notte ha degli incubi, si sveglia in preda ad una forte agitazione e ha paura di impazzire.

Emergono però anche delle risorse: con molta fatica Sara sta cercando di ritagliarsi dei suoi spazi: frequenta l’Università, ha un lavoretto part time ed è fidanzata da alcuni anni con un suo coetaneo. Sara vorrebbe trascorrere un periodo all’estero con una borsa di studio dell’Università ma pensa di non riuscire a vivere fuori casa, teme che in sua assenza possa accadere qualcosa di grave.

Vediamo come la presenza della psicologa nello studio del medico di medicina generale abbia permesso a Sara di incontrare una psicologa pochissimo tempo prima che fosse troppo tardi: se non avesse avuto la possibilità di esprimere il suo disagio, di cominciare a connetterlo con i vari sintomi sia psichici che somatici, si sarebbe probabilmente ritrovata in una "carriera" di paziente psichiatrica oppure di frequentatrice di cliniche di chirurgia estetica.

Nel corso dei colloqui - che sono stati in numero di 6 - Sara ha lavorato con la psicologa sul riconoscimento e lo sviluppo delle proprie risorse ed è riuscita a dare un nuovo significato al disagio e alla sua manifestazione, visto non più come espressione di una inadeguatezza/malattia individuale ("la paura di impazzire") ma come un tentativo di adattarsi a un contesto familiare altamente disfunzionale. La necessità di mantenere in piedi un equilibrio familiare statico e rigido ha infatti ostacolato Sara nella sua maturazione e nella possibilità di percepire adeguatamente i propri bisogni ed anche di costituire un'immagine realistica di se stessa (si vedeva brutta).

   Il lavoro svolto ha portato Sara a potersi prendere cura di sé, a pensare alle proprie esigenze e bisogni, ad accrescere la fiducia in se stessa e ad essere più assertiva nel relazionarsi agli altri, soprattutto ai genitori e alle loro richieste. Tutto ciò le ha permesso di avviare un processo di individuazione e separazione dal contesto familiare. Sara ha fatto domanda per la borsa di studio all’estero dell’Università ed è risultata vincitrice.

Sara ha trascorso un periodo di dieci mesi all’estero con la borsa di studio universitaria, affrontando e superando le sue paure ed angosce. Anche il suo sistema familiare ha dovuto fare i conti con i suoi cambiamenti e la conseguente assenza di contenimento e sostegno psicologico e fisico svolto fino ad allora da Sara nei confronti del fratello. Ciò ha permesso, quindi, una crescita del sistema stesso e una sua presa di coscienza.

   Al suo rientro Sara viene a salutare il medico e la psicologa:

 “Se potessi tornare indietro non mi sottoporrei più a tante visite mediche e ad un intervento chirurgico, mi terrei volentieri le mie orecchie. Ora so che il problema era un altro…”.

   Nel caso presentato appare come un intervento molto limitato possa incidere in maniera estremamente significativa sul percorso di vita di un soggetto quando intervenga in prossimità del primo manifestarsi di una sintomatologia e, aggiungiamo, in una fase della vita altamente evolutiva.

   Il caso è anche una buona illustrazione di come un sintomo, una attivazione subsimbolica (Bucci), possa costituire un segnale d’allarme, un movimento evolutivo, rispetto ad una situazione di vita molto insoddisfacente, scarsa di realizzazioni, con il rischio concreto di rimanere invischiati in una simbiosi familiare. Una notazione importante che possiamo fare è però come questo valore evolutivo possa esprimersi soltanto se il sintomo trova un contenitore adeguato. Se Sara avesse trovato soltanto una "rassicurazione" sull'assenza di significato patologico dei "puntini" le cose sarebbero molto probabilmente andate in modo diverso. Così pure se Silvia avesse trovato soltanto una richiesta di visita neurologica. Si è invece verificata una metabolizzazione, una connessione verso un livello simbolico del disagio affiorante, inizialmente all’interno della mente della psicologa, del medico, e del gruppo di lavoro che conteneva questa esperienza, che ha poi permesso analoghe connessioni nel paziente: questo ha consentito al sintomo di diventare effettivamente un segnale, tale da condurre a cambiamenti tangibili.

Riferimenti Bibliografici

Balint M. (1957), The doctor, his patient and the illness. Pitman Medical Publishing Co. Ltd., London, trad. it. Medico, paziente e malattia, Feltrinelli, Milano, 1961.

Breuer J., Freud F. (1892-95), Studi sull'Isteria. OSF I.

Bucci W. (1997a), Psychoanalysis and Cognitive Science. A Multiple Code Theory.New York, Guilford Press. Trad.it. Psicoanalisi e scienza cognitiva, Fioriti, Roma, 2000.

Bucci W. (1997b), Symptoms and Symbols. A Multiple Code Theory of Somatization, Psychoanalytic Inquiry, 17, 151-172.

De Toffoli C. (1991), L'invenzione di un pensiero dal versante somatico. Rivista di Psicoanalisi, 38: 563-597.

De Toffoli C. (2001). Psicosoma. Il sapere del corpo nel lavoro psicoanalitico. Rivista di Psicoanalisi, 47: 465-486.

De Toffoli C. (2009), Il corpo vivente dell’esperienza psicoanalitica. Lavoro presentato al Convegno “Prospettive Psicoanalitiche menteßàcorpo”, Centro di Psicoanalisi romano, 21-22 Novembre.

De Toffoli C. (2011), The living body in the psychoanalytic experience. Psychoanalytic Quarterly, 80: 595-618, 2011. 

Matthis I. (2000), Sketch for a metapsychology of affect. International Journal of Psychoanalysis, 81: 215-227. Trad. it. Per una metapsicologia dell'affetto. Ricerca Psicoanalitica 2002; 13: 235-54.

Ponzio, G., a cura di (2008): La Psicologia ed il mercato del Lavoro. Ordine degli Psicologi del Lazio, Franco Angeli, Milano.

Smadja C. (2001), La vie opératoire. Etudes Psychoanalytiques. Trad. it. La via psicosomatica e la psicoanalisi, 2010, Franco Angeli, Milano.

Solano, L. (2001), Tra mente e corpo: come si costruisce la salute. Raffaello Cortina, Milano.

Solano L. (2009). Teoria del codice multiplo e psicosomatica di ispirazione psicoanalitica. In: G. Moccia, L. Solano (a cura di) Psicoanalisi e Neuroscienze: risonanze interdisciplinari. Franco Angeli, Milano, pp.125-143.

Solano L. (2010), Some thoughts between body and mind in the light of Wilma Bucci's Multiple Code Theory. International Journal of Psychoanalysis, 2010, 91, pp.1445-1464.

Solano L. (a cura di), Dal Sintomo alla Persona: Medico e Psicologo insieme per l'assistenza di base.  Franco Angeli, Milano, 2011.

Winnicott D.W. (1949), Mind and its relation to the psyche-soma. Saggio letto alla sezione medica della British Psychological Society. Pubblicato su British Journal of Medical Psychology, 27, 1954. Ripubblicato in: Through Pediatrics to Psychoanalysis, Tavistock Publications, London, 1958. Trad. it. L'Intelletto ed il suo rapporto con lo psiche-soma, in: Dalla Pediatria alla Psicoanalisi, Martinelli, Firenze, 1975, pp.291-304.

    



[1] Il caso mi è stato raccontato diversi anni fa da Ausilia Sparano, specialista in Psicologia della Salute.

[2] è stata notata da diversi autori la facilità con cui le persone, quando si trovano per qualunque motivo di fronte ad uno psicologo, riescono a parlare di situazioni di cui non sono mai riuscite a parlare. Nel corso del nostro lavoro abbiamo avuto conferma di questo fenomeno al di là di qualunque aspettativa.

[3] Si potrebbero naturalmente attribuire molti ulteriori significati, meno coscienti, alla decisione di Anna. Il matrimonio parte comunque da motivazioni non certo esaltanti.

[4] Il riferimento è ad uno dei casi più emblematici descritti da Balint (1957, p.44 ed. it.) in cui questa domanda, posta dal medico dopo anni di indagini e di interventi sui figli della paziente, portò ad una rapida comprensione dell'origine dei disturbi.

[5] Tale stigma purtroppo non risparmia né le generazioni più giovani né gli ambienti più acculturati. “Sei da psicologo” è un insulto comune tra gli studenti delle nostre scuole.  "E' un discorso da psichiatra" è una frase usata recentemente con intenti denigratori da alcuni nostri parlamentari.

[6] Si potrebbe in realtà sostenere che all'inizio tutti i pazienti di Freud si recavano da un medico (specialista in malattie nervose e mentali, ma pur sempre medico) e trovavano uno psicoanalista senza averlo richiesto né averne riconosciuta la necessità. E' probabile tra i motivi per cui le prime analisi di Freud duravano anche pochi mesi ci fosse proprio una maggiore tempestività di intervento.

[7] La spesa sanitaria pubblica globale in Italia è aumentata da 66 miliardi di euro nel 2000 a 107 milardi di euro nel 2008 (fonte ISTAT).

[8] I dati numerici si riferiscono al ciclo 2008-1010, in cui sono stati coinvolti 4 studi medici, e che sono riportati nel recente volume Dal Sintomo alla Persona (Solano 2011).

 

София plus.google.com/102831918332158008841 EMSIEN-3

Login