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Neri C. - Campo: impiego della nozione nel lavoro analitico (2005)

CAMPO: IMPIEGO DELLA NOZIONE NEL LAVORO ANALITICO*

11 novembre 2005

Claudio Neri

Porterò l’attenzione su alcuni aspetti della nozione di “campo”: quelli che mi sono parsi maggiormente utili nell’impiego clinico. i Mi baserò soprattutto su Bion e sui lavori degli psicoanalisti e psicoterapisti di gruppo italiani. ii Gli psicoterapisti italiani - per antica tradizione - sono stati allenati a monitorare, momento per momento, ciò che accade in seduta, in particolare il mutare di sensazioni, atmosfere, vissuti corporei. iii Essi seguono anche accuratamente il minuto scambio - fatto di silenzi, gesti, cambiamenti nello spazio e mutamenti della postura - tra il paziente e loro stessi, che sostiene, modifica e mette a punto la relazione terapeutica. iv Queste percezioni vengono annotate nella mente dell’analista come osservazioni utili per seguire lo sviluppo della seduta. Esse però  possono anche non essere annotate come osservazioni, ma trasformate in immagini, fantasie e narrazioni che al momento opportuno potranno venire condivise (o meno) con il paziente. Questo lavoro di annotazione, trasformazione ed eventuale comunicazione non si sovrappone e non sostituisce l'interpretazione, ma l’affianca, ridefinendone la posizione e l'importanza. Ne deriva un cambiamento della tecnica classica: la ricettività dell’’'analista, l’attenzione per il contesto, le trasformazioni che opera sugli elementi non-verbali (extra-verbali, ultra-verbali), la tolleranza per il dubbio, divengono un’importante chiave terapeutica assieme alla capacità d interpretazione e soprattutto alla capacità di modulazione interpretativa. v vi

Parallelamente allo sviluppo, che ho sinteticamente descritto, è cresciuto in Italia L’interesse per l’idea di campo e si è realizzata un elaborazione originale di questo concetto, che non è ancora ben conosciuta in ambito internazionale. vii La mia esposizione sarà scarna ed essenziale. Tale scelta è guidata dal desiderio di rendere più semplice possibile la trattazione di un tema complesso e difficile. Rinvio alle note alla fine del testo per la documentazione relativa ai vari punti trattati.

Prima di presentare il tema principale - proposte per l impiego della nozione di campo nella clinica fornirò una definizione preliminare ed a grandi linee del “campo”.

Il campo

I termini campo ed atmosfera sono talora impiegati come sinonimi. Atmosfera e campo, tuttavia, non coincidono. Il termine campo indica qualcosa di più complesso ed articolato dell’’’atmosfera. Il campo non è soltanto un atmosfera: dal campo dipendono una serie di funzioni tra loro interagenti. Il campo - più precisamente - è l’insieme delle condizioni che fa sì che tali funzioni (empatia, attenzione, attunement, ricezione, interpretazione, ecc.) interagiscano positivamente oppure siano bloccate, inibite e sovvertite. viii ix x

Il campo non è il setting. Il campo, diversamente dal setting, non è relativamente invariante. Al contrario, la sua configurazione muta momento per momento. Questi cambiamenti influenzano il paziente e l’analista e la qualità ed i contenuti della loro relazione. xi Le nozioni di campo e di relazione - sebbene abbiano aspetti comuni - debbono essere anch’esse differenziate. Gli individui (l’analista  e l’analizzando) sono la sorgente dell’attività, organizzazione, intenzionalità che si manifesta in analisi. La relazione è il contesto in cui tali attività prendono vita. Il campo è una dimensione di base della relazione. Altre volte, un particolare tipo di campo, si presenta non come la dimensione di base della relazione, ma piuttosto qualcosa che è presente al posto di una relazione che è venuta a mancare o si manifesta prima che si stabilisce una relazione. xii

Aggiungerò a queste note, che differenziano il concetto di campo da altri concetti prossimi ma non coincidenti, ancora due osservazioni. Le caratteristiche del campo mutano per evoluzione spontanea; possono però anche essere modificate (involontariamente e inconsapevolmente o intenzionalmente) delle persone che condividono uno stesso spazio o situazione relazionale.xiii Le caratteristiche del campo cambiano anche in funzione degli stati mentali che si succedono nella mente del paziente. Il variare delle caratteristiche campo - insieme alle comunicazioni verbali e non verbali del paziente, alle associazioni ed ai sogni - fornisce all’analista  una rappresentazione del percorso che il paziente sta facendo, durante la seduta nell esplorazione del suo mondo di relazioni, fantasie e memorie. xiv

Funzione alfa, Emozioni narrazioni

Come è possibile per lo psicoterapista modificare le caratteristiche negative, costrittive o addirittura perverse che possono essersi determinate nel campo analitico? Per rispondere almeno ad alcuni aspetti di questa domanda è necessario affiancare alla nozione di campo quelle di Funzione alfa e di Sciogliere le emozioni in narrazioni . xv

La Funzione alfa corrisponde alla capacità di operare trasformazioni sulle esperienze sensoriali, sulle tensioni ed emozioni e più in generale su tutti gli elementi esterni ed interni che sollecitano la mente e la personalità di una persona. La strutturazione della funzione alfa del bambino non avviene per sviluppo autonomo, ma si appoggia su quella della madre e delle altre persone che si prendono cura di lui. La madre inizialmente digerisce con la propria funzione alfa le impressioni sensoriali che il bambino ancora immaturo non è in grado di metabolizzare. Successivamente, il bambino - appoggiandosi su quella della madre - struttura ed attiva la propria Funzione alfa.

Alcuni modi dell’ operare della Funzione alfa dell’analista  durante la seduta possono essere chiariti, facendo riferimento alla Rêverie. La Rêverie - come indica l'uso comune della parola nella lingua francese - è un'attitudine rilassata e sognante, un lieve fantasticare ad occhi aperti, senza obiettivi. Con riferimento alla situazione analitica, la Rêverie corrisponde alla «capacità dell’’'analista di recepire comunicazioni del paziente pre-verbali o verbali, capacità di ricezione che è accompagnata da una concomitante attività di elaborazione». (Di Chiara, 1982).

Emozione narrazione

L’espressione sciogliere le emozioni in narrazioni indica un approccio teorico e tecnico che dà grande importanza alla possibilità che un dato sentimento o vissuto possa essere espresso. L’importanza dell’ esprimere è pari a quelle del comprendere e dare senso. xvi xvii Lavorando secondo questo approccio, l’ idea di trasformazione diviene centrale ed assorbe in larga misura quella di interpretazione. Sciogliere le emozioni in narrazioni significa operare una trasformazione attraverso cui emozioni e vissuti troppo addensati possono essere espresse in parole, scene e narrazioni. La messa in parole - cui mi riferisco - non coincide con la interpretazione classica, ma piuttosto ne è un precursore o un sostituto. Essa è caratterizzata dal fatto di essere per alcuni aspetti (spontaneità, immediatezza, vicinanza con la dimensione pre-conscia) simile ad una libera associazione. Essa è caratterizzata, inoltre, dalla forma narrativa e per immagini.

La nozione di Sciogliere le emozioni in narrazioni - che può essere indicata anche con Emozione narrazione - corrisponde non soltanto al dare espressione alle emozioni, ma anche all operazione reciproca. Essa significa, cioè, ipotizzare anche che la narrazione abbia la capacità di fare emergere emozioni sino a quel momento disperse o avvertite soltanto come tensioni. Benché le emozioni ed i sentimenti non siano solitamente considerati come fattori organizzativi e di orientamento come i pensieri. La emergenza ed espressione di una nuova forma di sentimento - a mio avviso è fondamentale nel processo di cambiamento che si attua in analisi. xviii Seguendo questo approccio teorico e tecnico, anche il sogno non è visto tanto come un testo da decifrare, ma piuttosto come una prima forma di espressione e contenimento di emozioni e vissuti, che potranno andare incontro a successive trasformazioni, attraverso il racconto del sogno in seduta ed il dialogo tra paziente ed analista.xix

Fornirò un esempio clinico.

Lucio: ho sognato che Mi trovavo in una stanza con alcune altre

persone, i colleghi del Centro di igiene mentale dove lavoro.

Incominciavo a ballare con Annarita, la psicologa del mio

servizio; così, per fare allegria. Il ballo diventava via via più

intenso e veloce. Annarita iniziava a ridere. Anche io - dopo un

po’ - ridevo con lei. La risata ci trascinava sempre più. Cadevamo a terra.

Lucio aggiunge alcune associazioni.

Lucio: Con Annarita per molti anni ho avuto un rapporto molto

positivo. Abbiamo condotto insieme un gruppo di pazienti

gravi che ha dato risultati veramente buoni. Io poi ho avviato,

nel servizio, un secondo gruppo: il gruppo-cultura . Nello stesso

periodo, Annarita ha iniziato un gruppo di musico-terapia. Il

gruppo di Annarita non ha funzionato molto bene, a causa di

alcuni problemi tecnici. Lentamente lei lo ha trasformato, sino a

quando è diventato un gruppo gemello del mio, con la stessa

formula.

Ascoltando il paziente, penso che il suo rapporto con Annarita, più che un accoppiamento sessuale, è un andare di pari passo sincronizzandosi e sostenendosi reciprocamente.

Lucio (continua): Attualmente, il rapporto tra me ed Annarita è

cambiato. Continua ad esservi grande stima, ma tra noi si è

inserita una certa sospettosità. Il rapporto è sempre intenso, ma

piuttosto sul versante di una sottile conflittualità, che su quello

della amicizia. Quest’anno, io ho deciso di non riprendere il mio

gruppo-cultura . Il gruppo che ho terminato l’ anno passato è

stato molto ricco e produttivo. Quest’anno, però, manca un idea

centrale intorno alla quale il gruppo potrebbe lavorare.

Penso che se Lucio non ha ripreso un gruppo che era andato tanto bene, si deve essere

verificato ed ancora sia presente qualcosa che rappresenta un intoppo molto grande.

Lucio (continua a parlare e poi terminando questa parte del suo

discorso rimane in silenzio). La situazione del servizio, in

generale, è fortemente conflittuale. Vi è una contrapposizione

litigiosa, violenta e distruttiva tra il primario ed il responsabile

del day hospital. Il conflitto è dilagato, andando anche al di là del

servizio: ha coinvolto il sindaco, il deputato locale ed altri

personaggi di rilievo della città.

Si presentano alla mia mente due possibilità di intervento. La prima è mettere il sogno e le associazioni in rapporto con il transfert. Letto in questa chiave. il sogno segnalerebbe un erotizzazione del rapporto tra il paziente-Lucio e me-Annarita. Il surriscaldamento della relazione analitica avrebbe un effetto destabilizzante sulla struttura del Sé del paziente e potrebbe portare ad un collasso della analisi ( la risata ci trascinava sempre più, cadevamo a terra ). Il transfert erotico - ad un altro livello - troverebbe corrispondenza in un transfert persecutorio, che si sta adesso progressivamente insinuando nel positivo rapporto tra il paziente e l’analista -Annarita. Questo secondo aspetto del transfert sinora è stato tenuto relativamente lontano, perchè scisso e proiettato in una scena secondaria, che è rappresentata dalla relazione tra il primario-analista e il paziente-responsabile del day hospital.

Questa lettura del sogno e delle associazioni, però, non mi convince pienamente. Essa, infatti, è in contrasto con la percezione, che ho avuto del rapporto di Lucio con Annarita come un andare all’unisono, piuttosto che un accoppiarsi. Inoltre, non ho percepito nell’atmosfera della seduta erotizzazione e/o persecuzione, ma piuttosto sofferenza, ansia e preoccupazione. Il ballo sarebbe un modo di contrastare e modificare tali sentimenti, introducendo allegria o piuttosto eccitamento. La seconda possibilità di intervento - coerente con l’ idea che il sogno sia una prima forma di contenimento ed espressione di emozioni che sono in cerca di un espressione più completa ed articolata - è guidata dall’idea che Lucio desideri effettivamente condividere con me ciò che sta vivendo. Questa lettura non vede me-analista come uno dei protagonisti del sogno, ma piuttosto come il destinatario del sogno e del suo racconto. Scelgo questo seconda linea di lettura ed intervengo in modo cauto segnalando l’ eccitazione piuttosto che l’ erotizzazione.

Dr. Neri: Mi sembra che vi sia una eccitazione crescente.

Lucio: Dove vede l’ eccitazione? Ciò che provo nel

servizio - semmai - è noia, impossibilità a partecipare.

Dr. Neri: Il sogno mostra un eccitazione crescente. Le risate

portano Lei ed Annarita a cadere a terra.

Lucio rimane in silenzio. Sembra teso ed a disagio. Probabilmente, attende che io dia una collocazione al sogno indicando un contesto. Ciò gli permetterebbe di capirlo ed avvicinarsi ai sentimenti che contiene. L’individuazione di un contesto - in generale - è essenziale perché possa avvenire una trasformazione conoscitiva ed affettiva. Penso che il rischio che il conflitto tra il primario ed il responsabile del day hospital trascini con sé l’ intero servizio è molto doloroso per Lucio. Già in una precedente occasione, alcuni anni addietro, la deflagrazione del servizio in cui lavorava, lo ha costretto a cambiare posto di lavoro ed andare a vivere in una cittadina vicina. Decido di intervenire seguendo il più possibile ciò che il paziente ha detto nelle associazioni del sogno.

Dr. Neri: Ho pensato che il sogno possa rappresentare la

situazione che vi è nel servizio dove lavora e mostri come Lei sta

vivendo questa situazione.

Lucio: (inizia sommessamente a piangere). Nel sogno vi sono

risa crescenti, ma io credo che stiano per l’ opposto: un pianto

crescente.

Sono molto commosso dalla pena di Lucio, che si è manifestata in modo improvviso. L’eventualità che quello su cui ha investito vada in rovina lo fa soffrire molto. Rifletto che capire maggiormente quale sia il suo ruolo nella vicenda potrebbe aiutarlo.

Dr. Neri: Il sogno fa vedere anche la funzione svolta nel servizio

da Lei e dalla sua collega psicologa.

Lucio: In effetti, io ed Annarita, siamo centrali nel servizio. Se il

nostro rapporto, che è già è diventato più conflittuale, dovesse

rompersi, il servizio non sarebbe più lo stesso.

La seduta sta volgendo al termine. Mi sembra opportuno intervenire, ancora, non sminuendo la gravità della situazione o distanziando il dolore provato da Lucio, ma operando una regolazione affettiva, che consenta al paziente di lasciare la seduta meno oppresso. Mi viene in mente un film e la scena di un ballo: il ballo si svolge nel salone di una nave prossima alla catastrofe. Mi appare anche l’ immagine della bella attrice formosa che balla col protagonista.

Dr. Neri: È un po’ come la festa da ballo sul Titanic.

Lucio: (sembra sollevato dal mio implicito riferimento alle

immagini del film, riprende a parlare con voce più chiara) Alcune

cose stanno andando bene: . Io forse nel servizio potrei

collocarmi in questo modo: . Mio figlio ha la capacità di

attirare consensi sociali e di gruppo: ..

Non comunicazione à comunicazione: dalla barriera alla non direzione alla ripresa della comunicazione

L’ultimo intervento che ho riportato - quello del ballo nel salone del Titanic - offre un esempio di inserimento di un elemento narrativo che ha la funzione di regolare la qualità affettiva del campo presente in seduta. Desidero soffermarmi su questo aspetto del lavoro terapeutico, che può essere svolto, non soltanto con interventi associativo-narrativi , ma anche con altre forme di intervento. xx xxi

Riporterò altre due brevi illustrazioni cliniche. Ambedue considerano situazioni nelle quali la seduta è dominata dalla freddezza, dall’impaccio e dalla difficoltà a comunicare. In questi casi, non basta interpretare la non comunicazione ; ma è necessario trasformarla prima che un interpretazione sia possibile ed utile. La prima illustrazione clinica considera la situazione, guardandola dal punto di vista del vissuto dello psicoterapista.

Durante alcune sedute si attiva (in me o tra me ed un dato

paziente) una sorta di barriera magnetica che tiene a distanza la

mia possibilità di mettermi in rapporto con lui e ciò che sta

esprimendo. L’attivazione di questa barriera provoca una

reazione nel paziente, che si smarrisce, diviene logorroico o, al

contrario, si chiude. Io stesso mi stanco per lo sforzo

inconsapevole di tenere attiva la barriera.

Se però riesco a rinunciare a capire ciò che sta succedendo e

lascio andare del tutto liberamente i miei pensieri e fantasie, mi

avvicino, mi sento meglio. Divento più interessato. Accetto con

piacere di condividere qualunque discorso e qualunque

condizione mentale. Sono in grado di riprendere il lavoro insieme

al paziente. xxii

Questo modo di procedere può essere considerato come un regolare l’ assetto mentale dell’analista , secondo le indicazioni proposte da Bion: senza memoria, senza desiderio, senza comprensione. Può essere anche considerato come una momentanea possibilità dell’analista  di affidarsi ad un terzo (il campo) ed alla sua creatività e capacità di re-indirizzare la comunicazione tra lui stesso ed il paziente.

Non comunicazione --> comunicazione: un dialogo liberamente fluttuante

La seconda illustrazione clinica ha per oggetto una situazione simile che viene però considerata dal punto di vista del paziente. In questo caso, la ripresa del contatto si realizza attraverso un piccolo dialogo liberamente fluttuante, una sorta di chiacchiera.

Il paziente - ad un certo momento della seduta - è in un tale stato

di ansia ed agitazione che non riesce a dire più niente. Rimane in

silenzio e il suo disagio aumenta visibilmente.

Comprendo che il paziente è inutilmente sotto sforzo. Riempio

allora la spazio/tempo di silenzio e difficoltà - che si è creato in

seduta - con qualche discorso senza particolare rilevanza. In certe

occasioni, posso fare una domanda su un argomento che è

familiare e non conflittuale per il paziente (ad esempio i

programmi per la serata o per il fine settimana). In altre

occasioni, faccio qualche osservazione oppure presento un

piccolo riassunto degli avvenimenti delle ultime settimane. Altre

volte ancora, propongo una piccola storia per ricostruire un

quadro d insieme. Comunque introduco elementi narrativi, una

voce.

Sono interventi che non assomigliano e anzi sono l’ opposto delle

interpretazioni delle resistenze, che io stesso avrei fatto all’inizio

del mio lavoro come psicoanalista.

Quando c è stallo ed impossibilità a parlare, attendere non serve

a granché; anzi può portare ad un braccio di ferro. Interpretare

spesso è controproducente. È invece opportuno reintrodurre una

discorsività che consenta poi la ripresa della parola da parte del

paziente.

Ho potuto notare, in molte circostanze, che le mie parole e la

tranquilla accettazione che esprimono riescono a dissolvere

l’ eccesso di imbarazzo e paura. L’atmosfera della seduta presto

diviene nuovamente accogliente. Progressivamente, un po’ a

tentoni, l’analista  ed il paziente creano isole di contatto e di

direzione condivisa. Il lavoro analitico può riprendere. xxiii xxiv

Linguaggio e strutturazione del campo

In che modo uno psicoterapista può facilitare lo stabilirsi di un campo vantaggioso per il lavoro analitico?

Dirò subito che l’ assetto mentale dello psicoanalista ha grande rilevanza. Kohut ed Anzieu hanno segnalato l’ importanza dell’ investimento affettivo sugli aspetti frammentati e nascenti della personalità del paziente. xxv xxvi Hanno, inoltre, indicato la rilevanza del fatto che l’analista  sia sufficientemente autonomo rispetto al Super-io individuale ed istituzionale. xxvii Gli psicoanalisti italiani hanno portato l’ attenzione in particolare sulla tolleranza per i limiti della conoscenza . xxviii Tale tolleranza - esercitata attivamente e tenacemente seduta dopo seduta - promuove una specifica configurazione del campo analitico, che consente alle ombre dell’ essere di sostare mantenendo la propria oscurità. Ciò - a sua volta - rende possibile l’ emergenza di pensieri inediti e lo sviluppo di nuove ricerche di senso. xxix

Desidero aggiungere, a queste osservazioni, qualcosa a proposito del linguaggio con cui il terapista interviene in seduta. Ho imparato molto a questo proposito attraverso il contatto e la discussione con i terapisti che lavorano con bambini piccoli. Molti preferiscono, piuttosto che interpretare il gioco verbalmente, intervenire direttamente nel gioco: spostando un elemento, aggiungendo un personaggio, proponendo un cambiamento dello sviluppo della scena giocata. Ad esempio, non dicono al bambino: Il gioco che stai facendo con l’ elefante, il leone e la piccola scimmia arrivano sempre allo stesso risultato. Il papà-leone e la mamma-scimmia distruggono tutto, la scimmietta rimane poi sola con la casa distrutta . Aggiungono, invece, un personaggio o propongono un possibile diverso sviluppo della scena giocata: Arriva l’ amico leoncino della scimmietta, (ecco lo metto qui) vediamo se il leoncino può dare aiuto . xxx

Anche l’analista  cha lavora con pazienti adulti, può usare nei suoi interventi il linguaggio che l’ analizzando sta adoperando in seduta. Può cioè proporre le sue osservazioni ed interpretazioni, non sotto forma di un meta-discorso che commenta ciò che il paziente sta dicendo, ma inserendosi direttamente nel filo del suo discorso. La prima condizione perché questo tipo di interventi abbia successo è che lo psicoterapista abbia investito di interesse e partecipazione il linguaggio del paziente ed il mondo di persone, cose, fatti, idee, sentimenti che ne è oggetto. L’analista , in secondo luogo, non deve tradurre il discorso dell’ analizzando nella lingua della psicoanalisi e poi ri-tradurre da questa nella lingua dell’ analizzando; deve semplicemente parlare con lui. Il linguaggio della psicoanalisi rimane momentaneamente nella penombra della mente del terapista, anche se in qualche modo è presente nelle sue parole.

Renato, due volte la settimana, fa due ore in treno o in auto per

venire in psicoterapia. Egli spesso impiega tutto il tempo delle

sedute spiegandomi molte cose che conosce su questioni ed

argomenti di tipo molto diverso. A volte le sue spiegazioni sono

ricche di dettagli, ma non sono mai noiose.

Questo suo modo di fare, nel corso degli anni, ha suscitato in me

numerosi pensieri. Ho pensato che il nostro rapporto potesse

essere una riedizione di quello col padre, a cui Renato era molto

legato e che è morto alcuni anni addietro. Ho pensato che in

alcuni aspetti del Sé, egli soffrisse di grande solitudine. Renato,

quindi, mi veniva a trovare semplicemente perchè qualcuno

stesse con lui ed ascoltasse le cose che lui sapeva e voleva dire.

La vita di Renato è via via andata migliorando. A questo

miglioramento la psicoterapia, a mio avviso, ha dato un

contributo. Non saprei dire in quale misura sia aumentata la sua

consapevolezza sulla natura e radici dei suoi problemi.

La maggior parte delle teorie psicoanalitiche spiegano i

cambiamenti che avvengono nella vita dei pazienti come risultato

di una comprensione verbale condivisa dall’analizzando e

dall’analista  (comunicata come interpretazione) in momenti

particolarmente significativi della relazione di transfert. Io non

mi sento di attribuire un importanza così esclusiva alla

comprensione e neanche alla verbalizzazione. Il cambiamento - a

mio avviso - non richiede necessariamente una comprensione di

qualcosa che è stato messo in parole, nel senso dell’ inconscio che

diviene conscio. Il cambiamento può realizzarsi anche a poco a

poco attraverso gli scambi minuti tra paziente ed analista. In

alcune circostanze, questi cambiamenti non hanno neanche la

necessità di essere esplicitati, ma passano per contiguità nella

vita del paziente.

Certamente, adesso, Renato è in grado di operare anche da solo,

una buona regolazione affettiva nei suoi rapporti ed è in migliore

contatto con sentimenti e fantasie.

Renato comunque continua a venire alle sedute ed a spiegarmi

cose a volte molto particolari a volte meno.

Oggi sta parlando di un attività propria della vita quotidiana:

lavare i piatti.

Il paziente mi spiega che l’ impiego di acqua molto calda o

addirittura bollente è inutile per lavare i piatti. Anzi è

controproducente.

Sono incuriosito e domando spiegazioni.

Renato chiarisce che gli enzimi dei detersivi sono attivi già a

quaranta gradi, una temperatura maggiore non è necessaria.

Dico che non lo sapevo e che mi sembra una informazione degna

di attenzione.

Il paziente continua: Se si mettono i piatti sotto l’ acqua bollente

si crea una patina che poi è molto difficile togliere .

Lo ringrazio: Ne terrò conto la prossima volta che laverò i

piatti .

La sera, dopo essere tornato a casa, rifletto su questa

conversazione. Capisco che il paziente mi ha anche detto di

andare molto cauto con lui. Le mie parole potrebbero scottarlo e

provocare, invece che sollievo e voglia di collaborare, una

reazione di difesa. Gli ho però già dato una prima spontanea

risposta di consenso durante la seduta, quando gli ho detto: Ne

terrò conto la prossima volta che laverò i piatti. Adesso, si tratta,

non tanto di spiegare al paziente quello che è successo in seduta,

ma di regolare opportunamente il mio modo di intervenire. xxxi xxxii

Nel corso degli anni ho imparato a conoscere il linguaggio di Renato, un linguaggio eloquente anche quando parla di cose estremamente semplici, un linguaggio sostanziale e serio e ricco di domande affettive. Anche Renato ha scoperto le grandi potenzialità espressive del proprio linguaggio. Si è inoltre creato, un nostro modo di comunicare (un linguaggio del tandem psicoterapista-paziente) fatto di molto ascolto da parte mia e di molte spiegazioni da parte di Renato.

Questo lavoro ha trasformato il campo analitico, dotandolo di nuove qualità che sono simili a quelle della vita quotidiana, pur conservandone altre speciali e preziose proprie della situazione analitica. xxxiii

Renato si è sentito accolto in analisi. In qualche misura è stato anche adottato come un partecipante (un figlio) della mia vita domestica. Ogni tanto, quando sono seduto a cena con i miei familiari, ad esempio posso dire: Lo sapevate che per lavare i piatti ., oppure per conservare i cibi ., ecc.

Renato, poi, ha fatto esperienza prolungata e duratura di stare nel campo analitico, un campo che ha caratteristiche molto diverse da quelle della sua famiglia di origine. Sulla base di questa esperienza, egli non ha tanto giudicato l’ esperienza della sua infanzia e della sua famiglia, ma piuttosto l’ ha messa in prospettiva e l’ ha potuta guardare con più simpatia e compassione.

 

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Note

i Molti psicoterapisti ed analisti hanno offerto una loro definizione della nozione. Attualmente abbiamo a disposizione un grande numero di definizioni anche contraddittorie ed inconciliabili tra di loro. Non mi sembra utile aggiungerne altre. L’ impiego della nozione di campo in psicologia ed in psicoanalisi ha portato a numerose definizioni in parte contraddittorie tra loro. i Mi limito a ricordare gli apporti di K. Lewin e F. Corrao. Più avanti parlerò del contributo di M. e W. Barnager. Per Kurt Lewin (1951) il campo, inteso come nozione sociale e psicologica, è una totalità dinamica - oggetto di investimenti emotivi, ideologici, mentali - che sviluppa una forte coesione, un senso di appartenenza che si manifesta mediante l'emergere di un sentimento del noi e che risponde alla finalità di accrescere la sicurezza personale, sedimentando un senso di fedeltà verso il gruppo (Lewin, 1948). La visione di Lewin è etica ed operativa: le forze del campo sono motivazioni e mete comuni, è implicito un livello di stabilità e assestamento, una sorta di identità di gruppo, con cui l'individuo fa corpo. Un aspetto particolarmente interessante della concezione di campo di Kurt Lewin è la definizione del legame di interdipendenza: «gli elementi del campo non sono necessariamente simili tra loro, ma una volta che si è stabilito un legame di interdipendenza, questa può essere più forte del legame basato sulla somiglianza» (Lewin, 1948) e un cambiamento di stato in una parte degli elementi del campo, influenza necessariamente lo stato di tutte le altre. F. Corrao (1986) vede la psicoanalisi come una pratica addetta alla trasformazione delle esperienze sensoriali ed emotive in pensieri e significati. Egli mette a punto una nozione di campo coerente con questa visione generale. «Il campo  [...] può essere descritto in base alle sue trasformazioni  [...], non appare confinato da alcun piano di osservazione fattuale di tipo percettivo, ma  [...] si riferisce a movimenti fenomenologici eventuali,  [...] invisibili e tuttavia deducibili  [...]». La valorizzazione delle nozioni di trasformazione e di campo hanno come conseguenza l’ abolizione di una distinzione stabile soggetto/oggetto. Una teoria della cura, congruente con la nozione di campo, deve essere centrata sulle trasformazioni ed evoluzioni del campo psicoanalitico (comprendente l’analista , il paziente e le teorie) piuttosto che sugli individui (analizzando ed analista) ed i loro contenuti. Jean Claude Rouchy (1998) mette in rapporto la nozione di campo soprattutto con l’ esperienza ed il sentimento di appartenenza. Gli psicoanalisti e psicoterapisti di gruppo che hanno dato vita in Italia ad un movimentato dibattito intorno a questo tema sono numerosi. Esaminare i loro lavori richiederebbe un articolo a se stante. Mi limito a ricordare alcuni contributi: Riolo (1986, 1997), Correale (1991), Di Chiara (1992), Gaburri, (1997) e Chianese (1997).

ii Per ciò che riguarda Bion mi riferisco sia a ciò che scrive in Esperienze dei gruppi (1961) a proposito della mentalità di gruppo, sia all idea di Spazio beta che avanza in Cogitations. Come segnala anche Lopez-Corvo, (2003) in Cogitations (1992, p. 313 dell’ edizione inglese), Bion completa la sua elaborazione teorica introducendo l’ idea di Spazio beta : Lo spazio beta è uno spazio mentale di pensieri non pensati ed impensabili . «According to Bion it represents a mental space of unthoughts , unthinkable thoughts and thoughts without a thinker (see: wild thoughts ). A mental domain that extends in time, space and style in such a manner that it could only be explained (or thought by a thinker) using astronomical analogies. In this universe there are also constellations of alpha-elements capable of composing universes of discourse*| that are characterized by containing and being contained by terms such as, void , formless infinite , god , infinity . This sphere I shall named by borrowing the term, noösphere  [...] but as I wish to avoid too great a penumbra o associations, particularly those activated by the term, sphere , I shall employ a sign that is as devoid of meaning as I can make it (compatible with retention of its capacity for communicability, (Bion 1992, p. 313 dell’ edizione inglese) What eventually would make a difference about the outcome of all these constellations, would be the presence of a thinker containing an alpha-function capable of transforming, or not, any of these wild thoughts or unthinkable thoughts, or using lost or wild alpha-elements that eventually might allow an illumination by O as a formless infinity .»

iii Mi riferisco alla tradizione, nata con Federn e poi con Weiss, e portata avanti da Perrotti, Musatti e Servadio.

iv Riprendo - con qualche piccolo cambiamento - ciò che scrivono gli psicoanalisti che partecipano al Boston Change Process Study Group (2005, p. 694) La traduzione è mia: «The local level is the second-by-second interchange between patient and therapist consisting of relational moves composed of nonverbal and verbal happenings such as spoken phrases, silences, gestures, and shifts in posture or topic. Each relational move at the local level is seen as revealing an intention to create, alter, or fine-tune the immediate nature of the therapeutic relationship.» v Parlo di elementi non-verbali, extra-verbali, ultra-verbali per indicare con chiarezza che non mi riferisco soltanto al livello non-verbale della comunicazione. Vedi anche Boston Change Process Study Group (2005, p. 702): « Because implicit relational knowing has often been misunderstood as referring entirely to the nonverbal aspects of the interaction, we felt it important to illustrate that these sloppy features of the communication are not confined to the nonverbal domain but are evident at the implicit procedural, or process, level of the verbal exchange itself.»

vi Il contributo di Nino Ferro (2003) nello sviluppare e chiarire questo aspetto del discorso è stato particolarmente rilevante.

vii Gli psicoterapisti italiani sono invece relativamente meno interessati alle vicissitudini del transfert ed alla decifrazione simbolica dei sogni e delle fantasie raccontate dai pazienti, rispetto ai loro colleghi francesi ed inglesi.

viii Per illustrare questo punto impiegherò un osservazione di ambito ospedaliero. Quando un medico o un infermiere entrano in turno, rilevando i colleghi che li hanno preceduto, solitamente chiedono: Come è?!? . Di fatto stanno domandando: Come è la situazione generale, del reparto? . Soltanto dopo avere ricevuto informazioni a questo proposito, aggiungono altre domande: Vi è qualche emergenza? Come va il paziente del letto X che ieri era grave? . L’ ordine con cui pongono le loro domande corrisponde a qualcosa che è stato insegnato dall’esperienza. Se vi è un emergenza da affrontare o una questione clinica complicata da seguire, ciò avverrà in modo molto diverso se il reparto tiene oppure se vi è tensione, caos, allarme diffuso. Nella risoluzione dei problemi clinici, bisogna tenere in conto variabili di grande importanza che non riguardano solo i pazienti. Queste variabili corrispondono alle funzione svolte dai diversi membri dello staff, alla relazione tra loro e a quella che vi è tra lo staff ed i pazienti. Tutto ciò è raccolto nella semplice domanda del medico che entra in turno: Come è?!? . In un Servizio psichiatrico di diagnosi e cura della regione Emilia-Romagna, è stato sviluppato uno strumento per rendere immediatamente evidente agli operatori che arrivavano in reparto la situazione nella quale si sarebbero trovati a lavorare questa. Tre bollini di colore diverso - affissi nella sala comune segnalano: ben funzionante , agitato, ma contenuto e sotto controllo , frammentato, caotico, al limite .

ix Nella terapia di gruppo, se il terapista è in grado di promuovere il costituirsi e il mantenersi di un

campo con convenienti qualità la massima parte del restante lavoro verrà svolto dai pazienti.

x Il campo, inoltre, corrisponde a stati mentali che possono essere sperimentati - contemporaneamente o alternativamente - come interni alla mente o come appartenenti all’ambiente, mentre l’ atmosfera è una condizione attribuita all’ambiente. Questo frammento clinico presenta una situazione nella quale l’ attivazione di un campo ha sostituito una relazione ed il campo è vissuto come qualcosa proprio dell’ ambiente. Roberto - un uomo di circa quaranta anni - da circa due anni è chiuso in casa. Racconta di essere sottoposto ad un campo elettromagnetico, provocato da Radio Maria. Roberto ha chiamato più volte i carabinieri per una disinfestazione, ma senza alcun risultato. I medici del Centro di salute mentale - che sono andati nella sua casa per una serie di visite domiciliari e che successivamente lo hanno seguito abbinando alla psicoterapia un trattamento farmacologico - fanno l’ ipotesi che il campo magnetico possa rappresentare una particolare forma di legame del paziente con la madre morta alcuni anni prima. La madre ed il legame residuo si manifesterebbero come campo magnetico-Radio Maria. Ascoltando il loro resoconto sono colpito tanto dalla grande qualità del lavoro dei colleghi e dall’impegno che hanno profuso ed anche dalla precisione dell’ immagine scoperta ed utilizzata dal paziente per descrivere la propria condizione. L’ immagine di campo elettromagnetico, provocato da Radio Maria contemporaneamente uno stato mentale ed condizione sociale e spaziale di imprigionamento. Sono grato a Giorgio Campoli ed ai colleghi della USL Roma A di Via Boemondo per avermi fatto conoscere la vicenda di questo paziente e per avermi autorizzato a riportarla.

xi M. e W. Baranger considerano il setting come un componente o meglio un livello del campo. M. e W. Baranger, all inizio degli anni 60, propongono un ampliamento dell’ ottica relazionale della psicoanalisi kleiniana, prospettando la nozione di campo dinamico, che hanno mutuato dalla psicologia della Gestalt e dalla psicologia dell’ uomo in situazione di Merlau-Ponty. «Le caratteristiche strutturali della situazione analitica rendono necessaria una descrizione con l’ aiuto del concetto di campo. La situazione analitica ha la sua propria struttura spaziale e temporale, è orientata secondo linee di forza e dinamiche determinate, possiede proprie leggi di sviluppo, obiettivi generali e obiettivi momentanei. Questo campo è il nostro oggetto immediato e specifico di osservazione» (Baranger, 1961). Partendo dalla considerazione che paziente e analista partecipano allo stesso processo dinamico, i Baranger arrivano a distinguere le personalità impegnate nel rapporto dal campo che essi stessi producono ed in cui sono immersi: il campo non è la somma delle situazioni interne dei membri della coppia, né è riconducibile all uno o all altro, ma si configura come un elemento terzo con qualità e dinamiche indipendenti. Il campo analitico così definito si articola secondo gli Autori in tre livelli di strutturazione sovrapposti: il primo livello corrisponde agli aspetti formali e al contratto di base (setting), il secondo agli aspetti dinamici del contenuto manifesto e dell’ interazione verbale, il terzo all aspetto funzionale di integrazione ed insight rispetto alla fantasia inconscia bi-personale (Baranger, 1978). La fantasia inconscia bipersonale rappresenta l’ aspetto più originale della proposta dei Baranger e coniuga i concetti kleiniani con quello di campo: essa è infatti costituita dall’incrocio delle identificazioni proiettive dei due membri della coppia analitica. La fantasia inconscia bi-personale è l’ oggetto specifico dell’’’analisi, il cui scopo diventa in questo senso quello di mobilizzare il campo e permettere il riattivarsi dei processi proiettivi e introiettivi, la cui paralisi ha determinato la condizione di sofferenza.

xii Quali rapporto vi è tra la nozione di campo e quella di relazione? Loewald propone una risposta che distingue nettamente le due nozioni e nello stesso tempo stabilisce un rapporto tra loro. La relazione è una forma altamente sviluppata di dialogo e di interazione psichica, nella quale due o più persone interagiscono tra loro. Una relazione si realizza contemporaneamente a vari livelli. Il nucleo essenziale di significato del termine, tuttavia, fa riferimento all'interazione di individui in quanto centri di attività psichica - che sono di per sé - molto organizzati e relativamente autonomi. Nonostante ognuna delle persone - impegnate nella relazione - sia relativamente autonoma, tuttavia dipende per il suo ulteriore sviluppo e preservazione dal rimanere nell'ambito del campo affettivo, sociale e culturale che è proprio di quella relazione. In altri termini, il campo svolge un attività nutritiva e di sostegno sugli individui e sulle relazioni che hanno luogo nel suo ambito. In altre circostanze, al contrario il campo può svolgere un attività svuotante e paralizzante. Questa definizione (nel suo complesso) è valida anche per la relazione psicoanalitica. Bisogna aggiungere però che la relazione psicoanalitica è contraddistinta dalla mobilitazione di intense fantasie ed aspettative ed è caratterizzata da forte idealizzazione e dalle relativa contro-spinte.Hans Loewald (1960, p. 285 dell’ edizione inglese) più precisamente scrive: «Ciò che chiamiamo relazione  [...] corrisponde ad una forma altamente sviluppata di interazione psichica, nella quale centri di attività psichica - che sono  [...] di per sé molto organizzati e relativamente autonomi - interagiscono tra loro. [ Nonostante] ognuno di essi sia di per se stesso  [...] relativamente autonomo ed altamente organizzato  [...], tuttavia dipende per l’ ulteriore sviluppo, preservazione e riparazione dal rimanere nell’ambito del campo  [...] che diviene sempre più ampio e complesso.» La traduzione del testo di Lewald è mia: «What we call object relations represents a highly developed form of psychic interactions in which relatively autonomous and in themselves highly organised centres of psychic activity interact with each other. But each such centre originates in the primitive interaction of field and depends for its further development and maintenance and remaining within the compass of increasingly wider and more complex interactional fields, even though it is now itself comparatively autonomous, highly organised psychic field within such field.» S. Mitchell (1988) - ponendosi sulla stessa linea di Loewald - mette in evidenza come l’ indagine analitica comporta la partecipazione e l’ osservazione del campo di relazioni e delle sue rappresentazioni, all interno del quale l’ individuo nasce e lotta per stabilire contatti ed esprimersi. Non è facile indicare quale è la collocazione del transfert rispetto alla definizione di relazione e di campo che propongo. Tentare di dare una risposta lineare ed univoca a queste domande porta ad un labirinto di definizioni contraddittorie. Si può asserire a giusto titolo che la relazione tra due o tra più persone genera un campo.xii Però, è altrettanto valido affermare che la nascita ed il mantenimento di una relazione dipendono dalla esistenza del campo e dalle sue caratteristiche. Si può sostenere che campo e relazione si sovrappongono in larga misura e sono difficilmente distinguibili una dall altro. Si può anche dire - con verità - che alcuni fenomeni di campo, sono ben distinguibili dalla relazione, ed anzi interferiscono marcatamente col suo funzionamento. Il brano di Kapu ci ski, che ho riportato, fornisce un illustrazione di questa proposizione. Nei prossimi paragrafi fornirò, inoltre, alcune illustrazioni cliniche che la convalidano. Questa prospettiva mette in rilievo la parentela tra la nozione di campo e quelle di terzità e di terzo analitico . Analogie e differenze tra la nozione di relazione e quella di campo possono essere considerate anche da un altra prospettiva, una prospettiva che mette in evidenza come una coppia o un gruppo producono un campo e nello stesso tempo ne sono influenzati. «La condizione necessaria e sufficiente per stabilire una relazione è data dal fatto che vi siano due termini. Questa semplice constatazione  [...] instaura la coppia come referente teorico più fecondo di tutte le teorie che prendono come base l’ unità.» «[Si può fare un altro passo avanti ed aggiunger che non vi è] alcun interesse a lasciarsi imprigionare nella relazione duale.» «T. Ogden, riprendendo queste idee, ha creato il concetto di analytic third (il terzo analitico), di cui Ogden si serve per la comprensione dei fenomeni che hanno luogo durante la seduta.» (Green 2002, p. 251 e p. 267). Green prosegue la trattazione discutendo il rapporto tra terzo e funzione simbolica e tra terzo e funzione paterna. «Se si fa avanzare la riflessione sulle implicazioni di questa dualità fondamentale come condizione per la produzione di un terzo, si può trovare il fondamento dell’ attività simbolica.» «[ Ho scritto altrove però che ] questo non voleva dire che in psicoanalisi si debba essere sempre rimandati alla situazione edipica. È certamente possibile pensare a relazioni triangolari nelle quali il terzo non rappresenta la funzione paterna. Per contro, mi sembra che vi sia interesse a non lasciarsi imprigionare nella relazione duale.» « Si l’ on réfléchit plus avant sur les implications de cette dualité fondamentale comme condition de la production d un tiers, on peut y trouver le fondement de l’ activité symbolique.» « [ Ho scritto altrove che ] cela ne voulait pas dire qu en psychanalyse, il fallait être toujours ramené à la structure oedipienne. Il est parfaitement possible d envisager des relations triangulaires où le tiers ne représenterait pas la fonctionne paternelle. » La traduzione è mia. « Pour établir une relation, la condition nécessaire et suffisante est qu il ait deux termes. Cette constatation simple a beaucoup d implications. Elle instaure le couple comme une référence théorique plus féconde que toutes celles qui prennent l’ unité comme base. » « En revanche. Il me semble y avoir intérêt à ne pas se laisser emprisonner dans la relation duelle. » « T. Ogden, reprenant ces idées, a formé le concept de l’ analytic third (le thier analytique), dont il se sert pour sa compréhension des phénomènes qui on lieu durant la séance. » Madeleine e Willi Baranger (1961-2) hanno descritto alcuni di questi fenomeni come bastioni . Sono arrivato alla conclusione che: Il rapporto tra relazione e campo non risponde a nessuna espressione, che sia lineare, univoca e permanente . Questa espressione non è semplicemente la constatazione di un fallimento, ma ha un contenuto positivo. Prima di tutto, porta a capire ( non risponde a nessuna espressione che sia permanente ) che il rapporto tra relazione e campo, è soggetto a continue e radicali variazioni. Un uovo - a seconda della temperatura, del tempo e della modalità di cottura - può essere un liquido vischioso, un gel o un solido abbastanza compatto. Il tuorlo e la chiara nella ricetta ad occhio di bue sono ben distinti, nella frittata finemente emulsionati. In secondo luogo, ( non risponde a nessuna espressione che sia lineare e univoca ) mette in evidenza che campo e relazione non sono disposti secondo un ordine gerarchico che indichi la dipendenza o la preminenza di uno dall’altro, ma costituiscono invece un sistema, nel quale le funzioni dell’ uno e sull’altro variano con il mutare delle condizioni più generali.

xiii Per spiegare questo fenomeno è stata chiamata in causa l’ identificazione proiettiva. A mio parere, però, l’ impiego di questo concetto non chiarisce molto, anzi può risultare piuttosto confondente. Preferisco cercare di spiegare questi fenomeni, concentrando l’ attenzione sulla sincronizzazione di funzioni basiche somatiche e mentali (ad esempio: respiro, tono muscolare, ansia, rilassamento, attenzione) e sulla rottura ed alterazione di tali sincronizzazioni. Saul Bellow (1997) - nel testo che riporterò racconta una situazione di questo tipo ed impiega termini come spandere , spargere , spruzzare . L’ impiego di queste parole potrebbe suggerire che la variazione del campo psicologico esistente tra due o più persone possa venire operata non tanto investendo direttamente le altre persone, ma modificando le caratteristiche del medium che si trovano a condividere. «Madge incrociò le braccia sul petto e si mise a passeggiare avanti e indietro. Era estremamente irrequieta. Passò tra le porte di vetro, entrando nel lungo soggiorno come se volesse ispezionare i sofà, le poltrone, i tappeti persiani, tornando a mettervi qualcosa di lei. Qualcosa di sessuale? Qualcosa di criminale? Ribadiva la sua importanza. Non aveva la minima intenzione di lasciartela dimenticare. La spandeva, la spargeva, la spruzzava qua e là. Non per nulla era stata in prigione. Quando la conobbi mi fece pensare a un corso sulla teoria dei campi al quale mi ero iscritto da studente; la teoria dei campi psicologici, cioè concernente le proprietà mentali di una regione mentale sotto influenze mentali che somigliano alle forze gravitazionali.»

xiv Questo brano - tratto da un libro di reportages di Ruyard Kapu ci ski - mostra con immediatezza come le caratteristiche del campo possano influenzare i vissuti delle persone che sono nel suo ambito. In Ebano, Kapu ci ski descrive un percorso in taxi nell’isola e città di Lagos. «La casa [dove abito e dove adesso sto tornando] si trova nel centro della città, sull’isola di Lagos. Un tempo l’ isola fu base dei mercanti di schiavi e questa sua origine sinistra e vergognosa ha lasciato un non so che di inquieto e violento che aleggia ancora nell’aria. Andando in taxi chiacchiero con l’ autista, quando all’improvviso questi si zittisce e comincia a guardarsi intorno con aria nervosa. Che c è? domando incuriosito. Very bad place! risponde lui a voce bassa. Proseguiamo. L’ autista, si è appena rilassato riprendendo a chiacchierare, quando in mezzo alla strada (qui non esistono marciapiedi) ci viene incontro un gruppo di persone alla cui vista il conducente ammutolisce, si guarda intorno, accelera. Che succede? domando. Very bad people! risponde e solo dopo un chilometro riprende la conversazione interrotta. Questo autista si porta impressa nella testa una mappa della città come quelle dei commissariati di polizia, con le luci multicolori che lampeggiano segnalando i punti pericolosi, le aggressioni e i delitti. I segnali d allarme sono particolarmente fitti nel centro della città, dove si trova la mia casa.» È come se ad un territorio (Lagos: l’ isola degli schiavisti) fossero rimasti legati ricordi terribili (che adesso sono sullo sfondo) ed un palpabile campo di negatività: un non so che di inquieto e violento che aleggia nell aria . Questo campo di negatività è composto da un insieme di stati mentali (corrispondenti a diversi punti del campoluogo- deposito); ognuno di essi è capace di pervadere la percezione e i vissuti dell’ autista e di Kapu ci ski stesso. Entri in un certo quartiere della città e ti trasformi, sei in pericolo, diventi anche tu un po losco. Il racconto di Kapu ci ski richiama alla mente la celebre analogia, nella quale Freud (1913-14, p. 344) paragona il paziente ad un passeggero seduto in uno scompartimento di un treno e l’’analista  ad un esperto di linee ferroviarie. Il paziente-passeggero, associando liberamente, descrive i suoi stati d animo come se fossero le diverse scene del mutevole paesaggio che vede dal finestrino. Egli, però, non conosce il senso di ciò che sta illustrando ed ancora meno quello del viaggio nel suo insieme. L’analista -esperto di linee ferroviarie, invece, è in grado non soltanto di seguire il percorso associativo complessivo, ma anche di attribuirgli un significato. Al di là della somiglianza delle immagini scelte, vi sono alcune sostanziali differenze tra ciò di cui parla Freud e ciò che racconta Kapu ci ski. La prima consiste nel fatto che il dispositivo individuato da Freud prevede che l’analista  non abbia accesso diretto alle fantasie-paesaggio, ma possa esserne informato soltanto indirettamente attraverso ciò che il paziente racconta. Per Kapu ci ski, invece, ciò che l’ autista dice non è l’ unica fonte di informazione che ha a disposizione. Kapu ci ski percepisce anche in prima persona il variare delle atmosfere e sensazioni nell’attraversamento dei diversi quartieri della città. La seconda differenza è rappresentata dal fatto che Freud - attraverso l’ esempio delle due persone nello scompartimento del treno - essenzialmente vuole illustrare il particolare lavoro in tandem che il paziente e l’’analista  compiono per convertire le fantasie inconsce in comunicazioni consce e dotate di significato. Kapu ci ski, invece, vuole mettere in evidenza come il passaggio attraverso diversi quartieri della città provochi una variazione dei pensieri, delle fantasie, del tono dell’ umore e della comunicazione tra le due persone. Freud ipotizza che il setting sia relativamente ben protetto dall’influenza di ciò che accade fuori della stanza d analisi. Il campo non è il setting, non è neutro e statico, non è invariante al contrario le sue caratteristiche influenzano momento per momento la qualità ed i contenuti della relazione. La traduzione del brano di Kapu ci ski è mia: «The apartment is located in the centre of town, on the island of Lagos. The island was once a staging area for slave traders, and these shameful, dark origins of the city have left traces of something restless and violent in its atmosphere. You are made constantly aware of it. For instance, I may be riding in a taxi and talking with the driver, when suddenly he falls silent and nervously surveys the street. What s wrong? I ask, curious. Very bad place! he answers, lowering his voice. We drive on, he relaxes and once again converses calmly. Some time later, we pass a group of men walking along the edge of the road (there are no sidewalks in the city), and at the sight of them the driver once again falls silent, looks about, accelerates. What’s going on? I ask. Very bad people! he responds. It’s another kilometer before he is calm enough to resume our conversation. Imprinted in such a driver s head must be a map of the city resembling those that hang on the walls of police stations. Little multicolored warning lights are constantly lighting up on it, flashing, pulsating, signaling places of danger, sites of attacks and other crimes. These warning lights are especially numerous on the map of the downtown, where I live.» (pp. 108-9)

xv Attraverso lo stretto collegamento con esse la nozione di campo stesso cambia dando luogo a quella che vorrei definire: nozione allargata di campo .

xvi Impiego la nozione di narrazione in un modo assai diverso da quello che è stato impiegato ad esempio da Roy Schafer, R. (1992).

xvii Vedi a questo proposito il contributo di Anna Baruzzi.

xviii Vedi ciò che scrivono gli autori del Boston Change Process Study Group (2005, p. 701) «Although meanings, feelings, intentions are not usually thought of as created products that pop up unexpectedly from a dyadic process, they are arguably the most important and complex products that emerge from human interaction.»

xix Il tema è ampiamente trattato in Friedman 2002

xx Io (1995-2004) ho dato minore importanza alla funzione narrativa, collegando il modello di campo all’evoluzione in O di Bion ed introducendo il concetto di mimési. «Il gruppo nella sua attività  [...] di parola opera un rapporto di mimési con il non detto, con il non espresso, con una costellazione in via di formazione e definizione». Il concetto di mimési, che ho ripreso da Benjamin (1933), indica «una capacità di rappresentare che al tempo stesso rende presente sul piano emotivo e sensoriale la cosa rappresentata».

xxi Per la scrittura dell’’ intero paragrafo, sono debitore a Ferro (2003). Vedi anche ciò che scrive Vallino (1992).

xxii Ho già impiegato questi esempi in Neri 2003.

xxiii Ciò che scrivo è in larga parte ripreso da Strozier (2001, pag. 352): «Sometimes in therapy Beigler would get so upset that he could say nothing more. Kohut would sense that and fill the space with gentle talk that was not the harsh and demeaning interpretations of the old school but a kind of empathic bath. »

xxiv Vedi anche Boston Change Process Study Group (2005, p. 707): « Progressively, out of the sloppiness, patient and analyst have co-created islands of intentional fittedness and shared direction. Through the same process, of using the co-creativity of sloppiness, these islands then coalesced to make larger spaces of shared implicit knowing. In this way the analytic pair stumble forward from the patient's feeling that she had to be sicker than she was, the feeling that emerged from the dream of the group therapy. This is a way station toward her greater sense of agency, seen most clearly the following day, when she began the session sitting up.»

xxv Freud, Winnicott e Bion hanno parlato dell’’ astinenza, dell’ attenzione liberamente fluttuante e della pazienza. Noterò che: a) l’astinenza viene intesa come non intrusione ed autentico rispetto per il paziente e per i suoi pensieri, sentimenti e progetti; b) l attenzione liberamente fluttuante come una condizione mentale in mobile relazione con momenti di attenzione concentrata; c) la pazienza come uno stato che si alterna a sicurezza e fermezza. xxvi Rimando a Neri 2005.

xxvii Rimando chi fosse interessato ad approfondire questo aspetto del discorso a Neri 1998.

xxviii La tolleranza di cui sto parlando non deve essere confusa con il fatalismo, la rinuncia e il distacco. È invece un esercizio attivo. Si tratta di contrastare la tendenza ad aderire alle richieste implicite ed esplicite, interne ed esterne di dare (comunque) un significato a ciò che sta avvenendo. Queste richieste di fornire senso e definizione traggono forza dal loro rapporto con istanze potenti: il Super-io istituzionale (che ho appena nominato) e lo Automatico conformismo (la valenza che è proprio di ogni uomo in quanto animale del gregge e lo porta a legarsi agli altri secondo un assunto di base ). Se il terapista aderisce a queste richieste - che a volte sono pressanti ed imperiose - produce conoscenze apparentemente solide e costruisce scenari di prevedibilità superficialmente rassicuranti.

xxix Una espressione della tolleranza per i limiti della conoscenza è la interpretazione insatura . Per lo sviluppo di questa parte del discorso mi sono riferito in particolare a Gaburri 1998. Vedi anche Neri 2005a.

xxx Ho voluto fornire un immagine che fissi l attenzione del lettore. L’esempio che riporto è estremamente semplificato e non rende giusta ragione al lavoro estremamente più sottile e preciso dei colleghi che lavorano con i bambini. Queste idee mi sono state suggerite alla lettura di Lugones 2005.

xxxi A proposito della non necessità di rendere consapevole il cambiamento, vedi Boston Change Process Study Group (2005, p. 697): « It also frees us from the expectation that change necessarily requires verbal understanding in the sense of making the unconscious conscious. While most relational theories explain change as the result of the shared verbal understanding of patient-analyst transactions achieved after the critical interactions have occurred, our model proposes that affectively rich implicit processes can bring about change in interactive capacities in the moment (see Stern 2004). In some instances, these changes may not require that the interactants explicitly reflect on what has transpired.»

xxxii È importante ricordare ciò che afferma Luciana Nissim Momigliano (1992, pp. 28-29) in Due persone che parlano in una stanza : «La concezione della psicoanalisi intesa come un campo bi-personale (affermazione ripresa da un importante lavoro di M. e W. Baranger), nel quale i due componenti la coppia analitica sono considerati coinvolti nello stesso processo dinamico, tanto che nessuno dei due può essere capito, dentro la situazione, senza l'altro - ma in cui, beninteso, i ruoli sono asimmetrici, l'analista avendo come compito cruciale l'osservanza del setting - comporta, fra l'altro, che ogni eventuale disattenzione o infrazione da parte dell’’'analista, soprattutto a questo livello, costituisce per il paziente uno stimolo intenso e difficilmente metabolizzabile, che in genere diventa una sorta di "elemento organizzatore" (che Langs chiama "adaptive context") del suo discorso successivo; ed è quello che diventa quindi urgente riconoscere. È invece propria di Langs, a quanto mi risulta, la concezione del dialogo analitico come qualcosa che ha un andamento spiraliforme, in quanto è costituito da sequenze di eventi, che possono essere così descritte: avviene una comunicazione (in generale proveniente dal paziente, più raramente dall'analista), segue una formulazione/intervento (generalmente da parte dell’’'analista, più raramente dal paziente), segue una nuova comunicazione, che è una risposta. Ora, noi siamo abituati da sempre ad ascoltare con attenzione questa risposta, nei suoi aspetti consci e inconsci di conferma/accettazio-ne, o di rifiuto a quanto abbiamo proposto con la nostra interpreta-zione, ma siamo meno allenati a considerare questo aspetto di sequenza, in cui ogni comunicazione è così strettamente collegata alla precedente. Ponendosi invece in questa prospettiva, si può avvertire come molte delle associazioni cosiddette "libere" del paziente non comunichino soltanto gli elementi caratteristici del suo mondo interno, che chiamiamo tradizionalmente transfert sull'analista, e ne mobilitino il controtransfert, inteso in senso lato, ma costituiscano anche un messaggio per l'analista nell'attualità della relazione, e una risposta, in genere non diretta, ma espressa attraverso derivati, sia ai suoi interventi che ai suoi silenzi.» xxxiii L’ idea di linguaggio della vita quotidiana attivato di funzioni proprie della analisi mi è stata suggerita da Charles Malamoud (1994-2005, pp. 256-9 dell’ edizione italiana). L’ idea è che lo psicoanalista comincerà a parlare efficacemente quando il paziente avrà iniziato a parlare efficacemente, ma per incitare il paziente a parlare efficacemente l’analista  deve esortarlo con la propria parola e con l’ investimento sul suo linguaggio. Malamoud precisa: «Il verbo che traduco con comincino a parlare è pra-vad, letteralmente parlare davanti, in avanti . Cominciare a parlare, ma anche: parlare per primi, precedendo l’ altro, e parlare in direzione dell’’ altro. Qui si potrebbe dire, proferire le primizie di una parola.  [...]»

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