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Lupinacci M.A. - Riflettendo su spazio e tempo in psicoanalisi - Il dispiegarsi del tempo nello spazio (2011)

Venerdì 14 gennaio 2011

RIFLETTENDO  SU SPAZIO  E  TEMPO IN PSICOANALISI

Il dispiegarsi del tempo nello spazio

Maria Adelaide Lupinacci

Introduzione: spazio e tempo

Spazio e tempo, due dimensioni fondamentali dell’essere, sono stati considerati ed utilizzati in  psicoanalisi da differenti angolazioni, che sono mutate e si sono arricchite lungo lo sviluppo del pensiero psicoanalitico.

Potrei citare la suddivisione spaziale dell’apparato psichico di Freud, il concetto di mondo interno di Melanie Klein, il concetto di contenitore di Bion, lo spazio transizionale di Winnicott, il concetto di campo dai Baranger in poi e così via.

Possiamo ugualmente pensare alla qualità atemporale dell’inconscio, alla particolare temporalità in due tempi della nachtraeglichkeit con la sua doppia freccia del tempo (dal presente ad attivare ed illuminare il passato; dal passato nuovamente a determinare il presente).

Sembrerebbe che da Melanie Klein in poi e particolarmente con Bion, il tema dello spazio abbia avuto fra gli analisti (eccezion fatta per gli analisti francofoni) una maggiore attenzione esplicita, che è stata per altro assai feconda. Mi pare tuttavia significativo che attualmente un rinnovato interesse al tema del tempo in psicoanalisi si stia manifestando diffusamente, particolarmente in forma di dialogo fra diversi modelli: Green (2000, 2007) Perelberg (2006), Birksted-Breen (2003), H. Faimberger (2005), Sodré (1997), il Congresso degli analisti di lingua francese, Parigi, maggio 2009).

Tuttavia se in Melanie Klein non troviamo una teorizzazione esplicita forte sul tempo paragonabile a quella della nachtraeglichkeit, c’è una concezione implicita nel suo pensiero che ha indubbiamente contribuito a modificare la teoria (e la prassi) psicoanalitica classica. Ogni tappa evolutiva (orale, anale, fallica), attraverso l’operare dinamico della fantasia inconscia che comunque include la relazione con l’oggetto, influenza la successiva e fondamentalmente modella di sé la configurazione che prende l’Edipo fin dall’inizio (per il principio della continuità genetica dello sviluppo). Le fissazioni, le lacune, le distorsioni evolutive modellano normalità, carattere, disturbo psichico e sintomi (Isaaks S., 1943). Questo era precisamente uno dei punti controversi delle Controversal Discussions (King P., Steiner R. eds, 1991; Heimann P., Isaaks S., 1943).

Nell’analisi la riattivazione e la rivisitazione nella relazione di transfert di quanto è scisso, bloccato, distorto o anche non vissuto apre alla possibilità di riattivare zone mute, stabilire o ristabilire legami, elaborare il conflitto, il trauma e la sofferenza psichica, riattivando almeno una quota del  processo evolutivo vitale.  

Parallelamente un’altra originale dimensione del tempo è stata introdotta dalla Klein, quella che riguarda il passaggio fra le due configurazioni evolutive fondamentali: la posizione schizo-paranoide e la posizione depressiva. Melanie Klein era ben consapevole della fisiologica mobilità fra le due posizioni; di come ogni periodo, anzi ogni momento della vita rimettesse in discussione le due configurazioni impegnando di continuo l’individuo alla loro rielaborazione (Klein, 1935, 1940, 1946). Nulla è mai acquisito (né perso) una volta per sempre.  

Bion ha poi teorizzato esplicitamente la continua oscillazione SPß àD, da lui considerata uno degli elementi della psicoanalisi, favorendone così una utilizzazione più ampia e approfondita (Bion, 1963).  

La dialettica spazio-temporale

Nei continui rimandi che inevitabilmente si fanno fra l’esperienza clinica diretta nella stanza d’analisi e la riflessione successiva, sempre più spesso mi sono trovata a notare che considerare spazio e tempo ciascuno a sé, isolatamente, non è sufficiente. Colpiva la mia attenzione proprio l’intreccio e la interconnessione dinamica delle due dimensioni e le molte emergenze significative dell’elemento “tempo” connesso all’elemento “spazio”.

Così sempre più ho pensato alla dialettica spazio-temporale come ad una ulteriore dimensione silenziosamente sottesa alla esperienza psichica ed alla sua elaborazione clinica.

Cercherò di esplicitare meglio questo concetto.

Sulla scena del gioco, i bambini della Klein costruivano concretamente luoghi dove fatti mentali avvenivano (Fritz: “Adesso mi metto a giocare quello che ti ho raccontato”, M.Klein, 1921,  pag.56).

Successivamente Bion, con il concetto di relazione contenitore-contenuto, apriva all’esistenza di un luogo, uno spazio mentale (cioè permeato di emozione) all’interno della madre, dove fatti mentali (cioè impregnati di significato emotivo) avvengono, dove trasformazioni hanno luogo (W. R. Bion, 1962).

E’ questo fatto, degli accadimenti in un luogo, che mi ha colpito.

Ma come si costituisce questo luogo nella situazione analitica? Quali ne sono gli elementi costitutivi? Quale la sua influenza sulla dimensione del tempo per paziente ed analista?

Una delle funzioni della situazione analitica e del setting è proprio quella di raccogliere le emozioni, le parti scisse, le relazioni oggettuali del paziente e la loro storia, che la relazione di transfert inevitabilmente sollecita e convoglia su di sé.

Bion in Attacchi al legame (Bion,     ) parla della funzione che il pensiero verbale possiede di tramite, di legame creativo fra due oggetti (per esempio il paziente e l’analista) analogo, egli dice, a quello del seno e del pene come oggetti parziali primitivi. Questa funzione è fondamentale per l’analista che usa il pensiero verbale come metodo terapeutico.

Il pensiero verbale nell’analisi, collegando ciò che è scisso e disperso produce per il Sé integrazione, sensazione di esistenza, di un luogo dove relazioni con oggetti, parziali come interi, esistono e si svolgono.

Il concetto di legame, con le sue molteplici funzioni, di per séintroduce al concetto di spazio.  

L’analista fornisce anche un contenimento. Predispone un luogo fisico che ha però un importante valore emotivo: la stanza, degli orari sicuri, cioè un tempo definito che contribuisce a dare definizione e stabilità al luogo. Offre soprattutto uno spazio mentale di ricezione, elaborazione, restituzione. E poiché il collegamento produce significato e stabilisce un legame emozionale fra le menti, vengono messe in moto esperienze emozionali più ricche, più in contatto con la realtà esterna e con la realtà psichica; con amore e odio, con piacere e frustrazione, dolore mentale, limite.

Tutto ciò indirizza al problema del tempo in quanto esperienze e relazioni sono fatti dinamici, hanno un prima ed un poi, si svolgono nel tempo.   

La potenzialità dello “spazio” creato in analisi tramite il linguaggio verbale ed il contenimento manifesta, così mi sembra, i suoi effetti e la sua efficacia anche per quello che riguarda la dimensione del tempo. In questo spazio il tempo prende posto più ampiamente ed in varie forme.

Vorrei ora descrivere in alcune situazioni cliniche evocative e significative, alcune di queste forme.

 

Nella clinica  -  Agli albori: il bambino Dino

Dino, un bambino di sei anni con marcati tratti autistici, era arrivato un giorno di buon umore e tranquillo; tuttavia si era messo a scarabocchiare in modo informe e a parlare in modo smozzicato e con voce gutturale mentre scarabocchiava velocemente: Questo è… questo è…Ti faccio…Scrivi… evidentemente ripetendo frasi della maestra che gli spiega e nomina qualcosa dalle illustrazioni di un libro, o che gli “fa” disegni o giochi. Avevo però percepito una qualità particolare nel suo comportamento: un suo desiderio di aderire e fondersi (essere benvoluto, fare il bravo) e insieme il senso di inadeguatezza, la frustrazione, l’impazienza. 

Dico allora che vorrebbe tanto fare queste cose presto, presto, per sentirsi bravo e buono; il bambino bravo e buono con la maestra e con me; però non ha pazienza di provarli a fare piano, piano. Dino, sentendosi capito, mi aveva guardato negli occhi colpito; si era messo a temperare con cura le matite, si era lasciato aiutare; i disegni erano diventati un po’ più compiuti. Poi aveva continuato in un gioco in cui spostava i mobili, dividendo la stanza in due parti. In una ci stavamo lui ed io; nell’altra, confinata con grandi gesti in un angolo sotto la finestra, c’era la “signora cattiva”.

Parlando meglio e pronunciando le parole correttamente ed in modo spontaneo (ne’ cantilene, ne’ imitazioni), parla della “signora cattiva”. Dice che la manda in prigione, in punizione, la caccia via; “prendi questo e questo!” dice tirando oggetti nell’angolo e guardandomi in  cerca di solidarietà. Gli dico che quando abbiamo disegnato insieme piano, piano è stato contento e vorrebbe stare sempre così con me; dico anche che vorrebbe cacciare via e fare male alla signora cattiva. Aggiungo che la signora cattiva c’è quando non  lo aiuto, non lo faccio sentire bene, non faccio quello che gli fa piacere, e che questo succede pure a scuola.

Il fatto di essere riuscita, in mezzo alle ecolalie e gli scarabocchi, a cogliere e a dare spazio ai sentimenti del bambino (desiderio di riuscita per sé, desiderio per l’oggetto) ed a tradurli in parole, aveva permesso anche di introdurre la dimensione della frustrazione come “tempo dell’attesa” e promosso uno stile di relazione meno adesivo/imitativo.  

Capito e contenuto, il bambino aveva accettando la “lentezza” disegnando con più calma e precisione, parlando meglio e più spontaneamente. A sua volta aveva operato un lavoro sullo spazio: aveva diviso l’angolo della signora cattiva dal resto della stanza dove aveva vissuto un momento di piacere con l’analista, utilizzando meccanismi di difesa (scissione e proiezione) più evoluti di quelli autistici adesivi.                     

Il giorno successivo Dino stesso aveva introdotto il tema del tempo, sia pure nel modo ecolalico che rimane frequente.

Ma dopo che ne avevo raccolto l’alone emotivo, era seguito un dialogo fra noi in cui aveva cominciato ad usare lui stesso gli avverbi di tempo correttamente raccontando un evento di scuola: oggi (piacevole)… domani (frustrante)… Mentre mi parla mi sfiora le ginocchia.

Un senso di immediatezza mi colpisce: il “dialogo” attuale,  il tocco leggero del bambino sulle mie ginocchia come a dire: ci sei. Allora aggiungo che per lui è difficile aspettare, quando non sa cosa vuol dire “domani”, quando è “domani”. Ma “adesso” sei qui, parliamo, mi puoi toccare, ci sono anche io e questo ti piace.      

Subito dopo l’avverbio di tempo “adesso” (da me usato) compare nel vocabolario di Dino in modo appropriato e non ecolalico. “Adesso” possiamo andare”, mi dice dopo essere stato accompagnato in bagno, senza volervi indugiare come di solito fa, segnalando il suo esserci, per un momento, a pieno nello spazio e nel tempo.

L’esperienza analitica si era tradotta per il piccolo paziente nel potere usare l’espressione verbale come legame (fra le sue sensazioni, fra sé e l’oggetto). Il tempo (incomprensibile, sconfinato) veniva per un momento legato e delimitato per mezzo del suo equivalente simbolico, l’avverbio di tempo “adesso” usato autenticamente e appropriatamente.

 

Nella clinica  -  Il tempo della vita e le oscillazioni PS ßàD: il signor Z

Ho cercato di mostrare, nel lavoro con un bambino grave, la comparsa e l’articolazione di forme elementari della temporalità, in rapporto alla (ed in funzione della) costituzione di uno spazio mentale,  con i primi accenni di rappresentabilità grafica e verbale.

Vorrei ora descrivere in modo più esteso e con un paziente adulto, una situazione in cui spazio e tempo si dipanano in forme più evolute,  meno primordiali.

Il primo contatto con il signor Z avviene curiosamente una domenica mattina (fuori tempo!) con una telefonata all’insegna della perentorietà e di una evidente urgenza, tuttavia non verbalizzata, in cui mi chiede un appuntamento perché vuole fare una analisi. 

Pochi giorni dopo incontro un uomo di circa sessanta anni, atletico, aria da grand’uomo, sconvolto perché una donna molto più giovane di lui, con cui aveva una relazione da alcuni anni, l’ha lasciato.

Z, unico figlio di una coppia alquanto insolita, nutriva per la madre (una artista straniera, ora vecchissima) un odio esplicito e totale impressionante. La descriveva come un mostro di narcisismo, rigida educatrice. “Non mi abbracciava perché siccome poi i genitori muoiono, i figli non debbono abituarsi alla tenerezza”. Il padre era morto quando Z era ancora giovane. Il paziente ne parla con  ammirazione e rispetto, malgrado il tono di nonchalance e di superiorità che gli è proprio e che imparerò a conoscere bene. Una oasi nella sua infanzia erano state le bambinaie; M.lle A, di cui ricorda la gentilezza e la affettuosa indulgenza e M.me B, precisa ed esigente ma giusta.  Sposato giovane, presto divorziato, aveva avuto dalla ex moglie una figlia ormai adulta. 

Z, uomo di potere nel suo lavoro ma comunque serio e competente, pur collezionando conquiste femminili con carattere da animale predatore, portava avanti da più venti anni una relazione stabile anche se molto sciolta con Olga, signora colta un po’ artista anche lei e molto indipendente, quando era rimasto catturato in una storia con una giovane donna Vera. Era iniziata per il puro gusto della seduzione e del gioco del Pigmalione, ma quando Z le aveva chiesto di sposarlo ed avere un figlio insieme, la donna si era rifiutata ed al suo aut aut lo aveva lasciato.

Da predatore Z era diventato preda. Aveva puntato tutta la sua vita su una giocata che, accanto ad una fantasia di immortalità ed eterna giovinezza (una compagna giovanissima, un figlio bambino), includeva però anche autentici bisogni di tenerezza e stabilità affettiva, ed aveva perso. Era crollato.

La strana telefonata della domenica mattina era stata fatta in un momento di disperazione totale nella solitudine festiva.

Iniziammo subito l’analisi. Z era profondamente depresso. La crisi stava rimettendo in gioco tutto il suo stile di vita e, soprattutto, i pilastri difensivi su cui si era retto: maniacalità, narcisismo, onnipotenza.

Z era anche un uomo estremamente vitale e dotato. Ma l’orologio del tempo era per lui già molto avanzato e questa vitalità non aveva molto tempo davanti a sé per realizzarsi. Ciò creava una notevole pressione.

Il suo stile caratteriale grandioso, riversato nel transfert, vi manifestava il suo significato difensivo e aggressivo: di volta in volta faceva con me il don Giovanni, il Grande Capo, l’Uomo di mondo, lo squalo.

Il costo controtransferale era alto. Era difficile contenere l’onnipotenza e i tentativi di prevaricazione (anche in forma di sottili attacchi al setting ed all’autostima professionale) senza perdere  contatto con la sofferenza e l’angoscia. Tuttavia cercavo di fargli sentire, per dirla con le parole del paziente di Bion, che I could stand it (Bion, “On arrogance”, 1957, pag   ). Che potevo sopportare, sostenere tutto ciò attraverso cui mi faceva passare.         

Faticosamente, con tatto e fermezza, provavo a raccogliere e ad esplicitare rabbia, dolore, onnipotenza; i bisogni affettivi genuini inevasi, l’angoscia per il futuro, la fuga dalla dipendenza dei legami emotivi.

Quando riuscivo a contattarlo su questi punti, Z cambiava tono, diventava un altro; angoscia e depressione si attenuavano. Lentamente si faceva strada un altro personaggio: il “Principe povero”, il ragazzo ricco di successo, di donne, di originalità, ma profondamente povero di affetti veri.

Con sua sorpresa scopriva nel rapporto con me le caratteristiche salienti delle due bambinaie: qualcuno che si occupava di lui, che non si faceva intimidire (M.me B.), ma poteva entrare in contatto con il bambino bisognoso e smarrito (M.lle A.). Uncontenitore sufficientemente ampio quanto solidocominciava a costruirsi nella relazione analitica, uno spazio mentale dove avvenivano integrazioni e “movimenti temporali”, nel senso che le memorie tornavano, prendevano significato anche alla luce di esperienze più recenti (i fatti della vita, gli eventi transferali) e le esperienze recenti prendevano significato connesse con il passato.

 Z tentava anche in molti modi di annullare il tempo, ma finiva col rendersi conto che riusciva ad ottenere solo di creare un buco nero; annullare il tempo non lo guariva da la ferita della separazione che non si colma, non si può guarire; si condensa come un buco nero come disse una volta.

Un passaggio importante era stato quando avevamo potuto ricollegare le così dette “isole felici”, momenti di intensa vicinanza avuti con O e poi anche con V (isole in quanto momenti isolati nell’andamento maniacale, onnipotente e controllante che imprimeva a quei rapporti), alle sia pur poche “isole felici” del rapporto con sua madre che andavano affiorando. Erano la fantasia e la creatività di sua madre (che ritrovava in se stesso e riconosceva ad Olga), l’indipendenza intellettuale di lei, le ciambelle calde un giorno di grande nevicata, le estati al mare, il sapore del cocomero fresco, l’ironia. Isole felici in un mare di infelicità.

Era stato molto commovente quando, avendo io commentato sulla sua attrazione per le donne artiste come sua madre, aveva risposto in uno stile pronto e piano, del tutto inusuale: “Si, la parte bella di mia madre”.   

Dopo un anno e mezzo di analisi una sequenza di sogni sembrò segnalare un doppio movimento temporalenell’analisi e nella vita di Z. Sembrava che la vita del paziente (che si era sentito sull’orlo di un baratro) si fosse rimessa in moto e la categoria del tempo potesse entrare nuovamente a farne parte; un altro movimento più interno, evolutivo poteva essere descritto come un iniziale movimento verso l’integrazione ed il dolore depressivo (del quale, del resto, il concetto del tempo non può non fare parte) con le inevitabili oscillazioni indietro verso la posizione schizo-paranoide.

Il background dei sogni era questo.

Il dolore, la rabbia, l’ossessione per l’abbandono della donna giovane si stavano ridimensionando e si allontanavano, ma Olga, la compagna da venti anni che non lo aveva mai lasciato e che ora egli rivalutava, lo pressava chiedendo stabilità e riconoscimento. 

Davanti a quella che sembrava una impasse che stava portando Olga ad un pelo dalla rottura totale e definitiva, Z aveva avuto una idea creativa: affittare una pittoresca casa al mare per i fine settimana. Sarebbe stata la loro prima casa. Olga è felice, ed anche lui è molto soddisfatto e prova grande sollievo per lo scampato pericolo di una nuova e più seria perdita.

Ma mentre queste novità si stavano producendo, la madre del paziente si era ammalata mortalmente. Z se ne era occupato materialmente in modo impeccabile, ma deliberatamente rifiutando di lasciarsi toccare emotivamente e continuando a parlare con odio della madre, con critiche amarissime.

E’ in agguato lo squalo temuto del dolore impraticabile per la madre, lo squalo della sua vorace onnipotenza, mobilitato contro i rischi della dipendenza (per la madre morente, la casa con Olga, l’analista-madre nel transfert).

Z ricomincia a gestire i rapporti con Olga nel suo solito modo. Con sottili manovre proiettive vengono evacuate in lei impotenza, solitudine, svalutazione, bisogni affettivi denigrati. Questi agiti risuonano come un accompagnamento, proveniente dall’esterno, ad un tema che con differenti variazioni viene suonato in analisi. Le sedute sono riempite da un suo parlare ininterrotto, in cui non mi è permesso inserirmi, che disconosce totalmente il mio ruolo ed il bisogno di me come analista. E’ lui che fa  tutto. La parte che il lavoro analitico ha avuto nel miglioramento delle sue condizioni di vita interne ed esterne non esiste. La storia di Pigmalione (la storia con V) si ripete nel transfert. Lui associa, capisce, intuisce. Mi “ispira” quello che poi dirò in analisi!

In una occasione tuttavia riesco con molta fermezza a mostrare a Z, che ne è irritatissimo, sia la parte che sta lui stesso giocando nelle rinascenti tensioni con Olga, che quello che sta facendo con me nell’analisi, creando immobilità e fallimento. Collego anche tutto ciò al tentativo di annullare i difficili sentimenti per la malattia mortale della madre: sentimenti di rimpianto e il bisogno doloroso e frustrato che, almeno ora, lei gli corrisponda con affetto.    

La settimana dopo porta il sogno degli “Scugnizzi camorristi”: Mentre vaga per vicoli intorno ad un porto, Z si trova circondato da scugnizzi napoletani dall’aria predatoria. Mentre è preso da profonda inquietudine i ragazzi gli si avvicinano, pressanti. Al mio solito, domino la situazione – commenta con il tono autoritario della prima telefonata - non reagisco; vedo che ad un ragazzino piace molto il mio orologio della nota marca X, e glie lo do. Lui è tutto contento e mi da in cambio il suo orologio brutto e sporco, ma che è il segno che “non debbo essere toccato”, sono “un amico”. I ragazzi risultano implicati in un trasporto su navi di mobili rubati, smontati dalle case.

 Pavoneggiandosi commenta che, dovunque vada, in un attimo diventa familiare ai luoghi, conosce tutti, ottiene ciò che vuole, si fa tutti amici. Chiedo: Anche i camorristi?. Certo…il ladro, faccio in modo che mi rispetti!  La frase suona profondamente ambigua. Penso ai camorristi, gli uomini “di rispetto”. Lo scambio di orologi mostra la sua identificazione con il ladro, pegno di una partecipazione segreta ad una organizzazione potente, ma distruttiva e delinquente. Una organizzazione narcisistica che smonta le case (e il paziente ha recentemente montato una casa) che sono il luogo delle relazioni intime, distruggendole. La casa è anche l’analisi, di cui Z smonta l’importanza e sta smontando i benefici.

Questa parte di sé camorrista avida di potere sembra proteggerlo, se lui si sottomette, dai sentimenti di dipendenza e di dolore sostituendo il suo orologio, simbolo del tempo e oggetto prezioso (ma che rimanda alla vecchiaia, alla morte imminente della madre, alla “ferita della perdita che si condensa nel buco nero”), con il rapido piacere sensuale che l’eccitazione per il dominio sembra fornire. In realtà l’organizzazione narcisistica camorrista lo deruba di cose che pure apprezza e che gli sono preziose (la relazione con Olga, il rapporto con me nell’analisi, un suo riordinamento/ri-arredo interno che si va lentamente realizzando) e non gli permette di avere veramente nulla che vale; perfino “smonta”, riporta indietro, quello che è stato fatto.

Quando interpreto il sogno in questo senso Z è sconcertato e  molto irritato, ma dopo alcuni giorni c’è il sogno della “Ricerca del padre”.

Il paziente si trova in un grande palazzo della Roma monumentale con la figlia Alda che compare e scompare al solito suo (conoscevo già le  preoccupazioni ed irritazioni di Z per questa figlia estrosa, carina, ma piuttosto inconsistente). Davanti al palazzo c’è una parte caotica della città. Ma il palazzo è attraversato da parte a parte da una galleria; Z deve appunto andare dall’altro lato, dove suo padre li sta aspettando per andare al mare insieme. E così apprendo per la prima volta dalle associazioni che i buoni ricordi infantili delle vacanze al mare (il cocomero, i giochi in pineta) comprendevano anche suo padre. È anche la prima volta che il padre compare in un sogno. Dall’altra parte del palazzo la città è diversa, ordinata,con i parcheggi allineati. Ma lui non riesce ad accedervi perché continua a vagare in cerca della figlia. Alda non c’è mai agli appuntamenti; cercarla mi rallenta nel ritrovare mio padre dice Z. Ma dopo questo insight prosegue parlando a ruota libera, in pseudo associazioni che non portano da nessuna parte, oppure risponde con aperti fraintendimenti mentre cerco di fissare gli elementi del sogno e trovare un filo di senso (la divisione in due della città, le due facce del palazzo, il passaggio, la presenza del padre). Per esempio.

Analista – Così c’è suo padre nel sogno; è la prima volta.

Z – Non c’è perché Alda mi rallenta nel ritrovarlo (sic!).                                                                                       

E così di seguito…Infine dico:

     Analista - Alda si comporta con lei nel sogno come lei stesso sta facendo ora con me. Vagola, non si riesce ad incontrarla in alcun  punto.

     Z – (esplode, senza quasi rendersi conto di quello che dice) Lei mi vuole portare da 

     mio padre! non lo accetto!   

E ricomincia a svolazzare come Alda. Ad un certo punto però riconosce quanto è contento nel sogno di ritrovare suo padre; poi ricade nei nonsense.

Gli dico: Certo, è contento di ritrovare suo padre! Ma non vuole esserci portato da me. Poco fa si era pure seccato che lo avessi nominato. 

Con il tono esplosivo di prima, esclama che lui voleva cercare il padre proprio per portarci questa figlia sbandata ed inconsistente e farglielo vedere…per tracciare una linea di continuità fra sé e suo padre che potesse fornire una traccia, una direzione alla ragazza. Esclama che lui da solo non basta, non ce la fa. Di lui, come padre, Alda vede e prende solo l’aspetto giocoso, fantasioso. 

Analista - …quello che è anche  di sua madre…la nonna di Alda!

Z - Si, ma da me non prende  la serietà e la capacità di lavoro.

Analista - …quella che era anche  di suo padre…il nonno di Alda.

Entrando ora in sintonia con il filo del mio discorso Z aggiunge:

Z - …e dalla propria madre (la mia ex-moglie) Alda ha preso la ricchezza, la facilità (l’ex moglie del paziente proveniva da una famiglia molto agiata self made), non il lavoro e il sacrificio.

Riesco a vedere vividamente (le sue narrazioni, ma in generale il suo parlare, hanno forti qualità evocative) la frattura trasversale e longitudinale fra gli elementi edipici della coppia genitoriale interna rappresentata e condensata nel personaggio della figlia Alda del sogno. 

Alda (che non si trova all’appuntamento, che manca l’incontro con l’oggetto edipico) rappresenta quella parte di Z onnipotente e maniacale che ritiene di auto-generarsi, che svaluta la relazione, la dipendenza e nega il bisogno, il limite, il lavoro, il tempo. La figlia appare nelle parole del paziente come qualcuno che frattura in sé più e più volte la coppia genitoriale (cifr. E. O’Shaughnessy, 19  ). Infatti quando Z è identificato con il personaggio “A”, l’elemento artistico della propria madre (nonna di Alda) è diviso da quello serio e lavoratore del proprio padre (nonno di Alda). Ugualmente vengono fratturate le qualità e attributi della ex moglie, la madre di Alda: agi e facilità vengono divaricate dal lavoro e dal sacrificio (qualità unite nella famiglia materna). Così la figlia (e Z identificato con lei) prende ed unisce in sé le metà “leggere”, narcisistiche dei genitori e delle famiglie, fratturate e divaricate da quelle “serie”, produttive; ma questi accoppiamenti “omo”, del simile col simile (proprio come nel caso della O’Shaughnessy), non sono creativi, ed in queste plurime fratture delle coppie creative, si consumano disastri individuali e generazionali.

Così il sogno sembra, in parte almeno, riportare l’origine della resistenza e della pericolosa  maniacalità distruttiva dell’ultimo periodo dell’analisi di Z alla configurazione interna di un Edipo molto primitivo(Lupinacci, 1989) oltre che al difficile lutto per una relazione disturbata con una madre disturbata, ora morente, ed alla lotta narcisistica contro la dipendenza emotiva e il dolore psichico.

Parlo di Edipo primitivo nel senso che mi pare siano implicati elementi e funzioni parziali materni e paterni, piuttosto che oggetti totali. Suppongo cioè che nell’analisi fosse in atto un rifiuto del paziente di collegare l’accoglienza, la cura, la creativa opera di riorganizzazione interna di qualità materna (l’arredamento) che nell’analisi aveva trovato, con l’elemento di ordine, di suddivisione e accettazione di confini spazio-temporale, di marca paterna che pure dell’analisi fanno parte. 

E tuttavia nel sogno, dentro l’antico palazzo dell’analisi, si trova un collegamento possibile (la galleria) e Z esprime un bisogno intenso di ricostituire una continuità generazionale (opposta alla delirante auto-generatività senza tempo), di rimettere insieme gli elementi creativi della coppia parentale.

Ripete infatti accalorandosi, ma in un modo più calmo e sensato: “volevo fare vedere ad Alda la traccia da mio padre a me, che lei può seguire…da solo con lei non ce la faccio; ho bisogno anche di…di…” e non trova le parole.

Analista – …di un appoggio, un padre;…per sé e per Alda?

Lo sento annuire.

Dopo alcune sedute in cui il paziente è più calmo ed in contatto, Z porta il sogno della grossa nave e del piccolo rimorchiatore, quello che considero l’ultimo della serie. C’è un ampio golfo. Dalla terra Z guarda verso il mare che è un po’ mosso. Al largo un piccolo rimorchiatore sta trainando una grossa nave in avaria, verso il porto. La nave è molto grossa, il rimorchiatore molto piccolo, il mare forza media. Ce la farà? Lentamente il piccolo rimorchiatore avanza, ha quasi raggiunto il porto.  Sono colpita dalle due dimensioni che spiccano nel sogno: spaziale (l’ampio golfo, il porto) e temporale (la lentezza e continuità del movimento del piccolo rimorchiatore). Del resto in fisica V (velocità) = S (spazio): T (tempo).

Z dice con tono semplice e piano: La grossa nave in difficoltà sono io, e lei è il piccolo rimorchiatore. Con semplicità rievoca gli ultimi drammatici due anni della sua vita, ma non solo. Le proprie distorsioni, gli errori, insieme alle cose buone che non rinnega. Senza l’analisi non so come sarebbe andata. Sto bonificando la mia vita e voglio continuare. Comincia a ricordare la giovinezza, l’infanzia, la madre…sta per ricordare e recriminare terribili cose su di lei, ma si ferma. No, non voglio parlare male di lei adesso; non voglio parlarne. Sarebbe come sparare sulla Croce Rossa.    

Nella emozione del momento rivedo nella mia mente la scena del sogno, ma l’ultima frase di Z la illumina per me di un ulteriore significato. La grossa nave in avaria nel mare forte rappresenta anche sua madre; una mamma che ha tenuto comunque un grosso posto nella sua vita; una mamma difficile che ora è debole, malandata, su cui non si può più sparare. I giochi sono fatti, la vita volge al termine, non c’è più ne’ luogo ne’ tempo per recriminazioni, rancori.  Lui è il piccolo rimorchiatore, il piccolo bambino (si è sempre un po’ piccini rispetto ai genitori), il figlio che sta cercando di portare la nave in porto, cercando un posto dentro di sé dove tenere, sistemare questa mamma difficile ora in difficoltà, provare a riparare per quello che è possibile il reciproco rapporto che, fin da tempi lontani, dal largo, era assai malandato. Glie lo dico, ed è il mio contributo alla interpretazione del sogno.

Le due interpretazioni (quella del paziente e la mia) non credo si contraddicano.

Il sogno condensa (la condensazione, una delle proprietà del lavoro del sogno) due processi. L’analista/rimorchiatore che traina in porto Z/grande nave in difficoltà; il piccolo Z/rimorchiatore che cerca di recuperare la mamma mal-sana (pur sempre sua madre)/la grande nave in avaria.

Nel primo processo la situazione analitica, svolgendosi lentamente (il tempo lento dell’analisi), è diventato un contenitore per il secondo processo. Z, grande nave/grand’uomo in avaria, tirato dal piccolo rimorchiatore subisce una trasformazione. E’ ridimensionata l’onnipotenza (da grande nave a piccolo rimorchiatore), viene sottratto all’arroganza, ma viene rivitalizzato nel processo.

Z procede (nel tempo della vita, ma anche evolutivamente, rispetto alla qualità delle sue modalità di funzionamento) a recuperare la grande narcisistica mamma danneggiata e, pur riconoscendo il danno del suo odio (lo sparare sulla Croce Rossa), il lutto di avere avuto una madre non ben funzionante in quanto madre, malgrado il dolore e la rabbia, la risparmia e non l’attacca (non spara sulla Croce Rossa).   

Si trattiene dal parlare male della madre perché è stato tirato via dalla organizzazione narcisistica degli scugnizzi operante nel primo sogno. La risposta paranoide cede al movimento depressivo di umana pietà.

Un passo nella organizzazione evolutiva si è realizzato.

Paradossalmente (i paradossi cui la psicoanalisi ci ha abituato!) ciò si verifica anche attraverso un movimento temporale all’indietro, nell’ambito del contenimento della situazione analitica. All’indietro non verso eventi storici particolari della vita di Z, ma ritrovando nella lanterna magica del transfert e rimettendo in moto attraverso di essa, la dimensione infantile del piccolo bambino con i suoi bisogni, amori, odi, smarrimenti, dolori.   

 

 

 

 

 

 

 

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