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Bonfiglio B. - Situazione psicoanalitica, transfert e processi di sviluppo (2011)

Convegno "Rifugi della mente", 1-2 ottobre 2011

“Situazione psicoanalitica, transfert e processi di sviluppo”. (Teoria)

Basilio Bonfiglio.

“…quanto più sono affaticato, tanto più rapidamente

formulo delle interpretazioni. Conservare la mente

vivace e sgombra è una faccenda tremenda;”

                                                                                              Bion   

“…il reale è solo la crosta di un altro mondo”.

                                                                                  Paolo Rumiz 

“Io ho una vita felice; ma nella mia vita mi sono accadute cose che adesso si ripercuotono sulla situazione attuale”. Alberto inizia così il nostro primo incontro e mi appare sincero nel formulare una affermazione così impegnativa che mal si accorda con la richiesta di appuntamento. Queste parole che hanno segnato l’inizio del nostro lavoro, proprio nella contraddittorietà che mi avevano suscitato, sono lo spunto per riflessioni sui differenti percorsi che possono originare da un incontro analitico. Mi consentono di occuparmi in particolare, del lento prendere forma e realizzarsi di quel percorso psicoanalitico che abbiamo dotato di spessore e significato insieme all’analizzando.

Le aree della mente che prendo in considerazione, quelle che nel processo ontogenetico precedono lo sviluppo delle capacità oggettuali, sono state denominate in modo differente dai diversi autori. Grunberger, ad esempio, parla di ‘narcisismo’. Neri et al. si riferiscono al termine ‘fusionalità’. Esiste, in effetti, una vasta letteratura che si occupa dell’argomento, ma la disamina esula dagli scopi di questo scritto.

Io ho rivalutato il più neutro ( da un punto di vista psicoanalitico ) termine ‘simbiosi’ per riferirmi alle vicende che consentono il fisiologico raggiungimento dell’identità e dell’autorappresentazione e che talora esitano in patologia. Simbiosi ha l’innegabile vantaggio di un alone di significato che rinvia sia alle componenti psicologiche che a quelle somatiche. Quanto queste componenti nel bambino e in chi lo accudisce siano inscindibilmente interconnesse lo testimoniano le attuali conoscenze sui processi maturativi nelle prime fasi di sviluppo.

Il concetto di narcisismo, infatti, è impregnato di molti significati non così chiaramente distinguibili. Ha assunto un’aura legata troppo alla patologia, anche quando attenuata dall’aggettivo “primario”. Inoltre, originato all’interno di una concezione unipersonale, raffigura il paziente-narciso isolato a contemplare la propria immagine. Viceversa, già nel mito il destino di Narciso è legato a quello con la ninfa Eco (funzione di rispecchiamento) e  quello della dea Nemesis (funzione di realtà: dispensatrice di gioie e dolori). Si tratterebbe quindi, eventualmente, di una patologia legata al fallimento di complesse relazioni.

Nell’accostarmi ad un analizzando, quindi, tengo a mente la particolare relazione che si istituisce fisiologicamente tra il bambino e chi se ne prende cura, come prototipo di un “funzionare insieme” nel quale la percezione delle rispettive individualità è frammentaria soprattutto dal versante del paziente. Il narcisismo, come sindrome, è la degenerazione di una modalità di funzionamento vitale.

Rivolgo in particolare l’attenzione al tempo analitico e alla neutralità dell’analista per evidenziare come supportino e rendano possibili processi di sviluppo. Valorizzo l’influenza sullo stato del Sé dell’analizzando che sostengono, assecondando benessere e trasformazione piuttosto che arroccamento a protezione da possibili ritraumatizzazioni. Evento non infrequente queste ultime all’inizio dell’analisi, dato che l’analizzando sperimenta un ambiente nuovo e sconosciuto da esplorare e in una prossimità fisica ed emotiva con un estraneo che non conosce e che si comporta, pensa e parla differentemente da chiunque altro incontrato nella vita ordinaria. Il che significa che buona parte del repertorio cognitivo e comportamentale acquisito sino ad allora può risultare inappropriato. Da questo punto di vista gli atteggiamenti difensivi verso l’analista e la situazione analitica, apparentemente fuori luogo perché rivolti al depositario di una speranza di cambiamento, appaiono più comprensibili e naturali. Se analista ed analizzando condividono il terrore (Bion) di non sapere cosa li attenderà, il secondo è meno equipaggiato e mancante dell’esperienza di quella anomala situazione. La fiducia e la collaborazione sono per lo più conquiste, e solo in parte insite nella richiesta avanzata. Considero l’attività necessaria al raggiungimento di una cooperazione un costituente a pieno titolo del percorso analitico.

Approfondisco, quindi, le condizioni che favoriscono il lavoro. Oltre a quelle di spazio e tempo, anche al clima dell’incontro necessari per una collaborazione adeguata alle caratteristiche mie e dell’analizzando. Accanto alla capacità di ascolto dell’analista, valorizzo la scelta degli elementi da privilegiare rispetto a quelli da tenere sullo sfondo senza per questo sottovalutarli o scotomizzarli.

Nel proporre l’assetto psicoanalitico, l’analista richiede all’analizzando una fiducia nelle sue capacità e competenze, prossima ad un atto di fede. Lo fa mettendo a frutto il momento di bisogno forte che spinge il secondo a rivolgersi a lui. La sperimentazione diretta dei vari componenti del setting spesso si incaricherà di fugare parte dell’angoscia, non appena il paziente avvertirà quel sollievo, che i dispositivi strutturanti dell’assetto garantiscono. In particolare il rispetto del tempo analitico, sommato alla non interferenza diretta sulla vita e le scelte. Affermazione che acquista valore alla luce della odierna consapevolezza di quanto la patologia consegua a forme di intrusione, manipolazione e sfruttamento; cioè a non rispetto dello spazio vitale personale.

La funzione facilitante del setting sui processi maturativi, è cognizione acquisita da tempo, anche se non sempre adeguatamente tenuta in conto. Le novità rispetto a questa annosa questione riguardano due aspetti. E’ enormemente cresciuta l’attenzione ai processi di sviluppo dell’analizzando rispetto alle sue attività difensive. Ha preso forma una visione intersoggettiva della relazione analista–analizzando che richiede al primo di monitorare se stesso sapendo che quanto sente, pensa e fa avrà un’influenza sulla condizione psicofisica dell’analizzando. L’enfasi su quest’ultimo punto è solo in parte contenuta nell’espressione: “è importante tenere conto del proprio controtransfert”.

Nel corso degli anni la mia attenzione si è progressivamente spostata attribuendo differenti priorità a ciò che osservo. In un’ideale classifica, cogliere aspettative, speranze e potenzialità (cioè al non ancora realizzato) adesso precede la pur puntuale ricerca dei malfunzionamenti che richiede la valutazione dei livelli di integrazione, del tipo e gravità delle difese, della capacità di pensare e sentire, ecc. Anteporre le prime, attiva nell’analizzando le motivazioni profonde legate al bisogno di cambiamento, rispetto ad altre istanze pur presenti ed urgenti. Si spostano gli equilibri interni all’individuo attenuando la forza delle attività difensive.

E, riguardo a queste ultime, lo sforzo è di considerare la realtà esterna e quella interna dal punto di vista dell’analizzando (Schwaber, 1983;). In modo non dissimile, Bion (2005;) suggerisce di chiedere direttamente al bambino che non riesce ad imparare che 2 più 2 fa quattro, a cosa sia uguale 2 più 2 per lui, consentendogli di utilizzare il suo bagaglio di conoscenze elementari.

A ciò aggiungo la necessità di collocare le comunicazioni e i comportamenti del paziente nei contesti ai quali sono riferiti rendendoli virtualmente comprensibili e restituendo loro plausibilità. Permette di intravedere come l’individuo e il milieu esterno ed interno nel quale è immerso si muovano alla ricerca di soluzioni alle situazioni emergenti. Guardare ‘dal di qua’ della posizione dell’analizzando rende i suoi timori più temibili, gli ostacoli più insormontabili, gli obiettivi più irraggiungibili di come li considereremmo da un punto di vista supposto più oggettivo. Il postulato che mi sostiene è che l’individuo tenda naturalmente, e in gran parte inconsciamente, ad instaurare il funzionamento che gli consente di preservare il senso di sé il più possibile coeso. Questo vertice rende l’analista più tollerante verso il dispiegarsi spontaneo di una relazione con le caratteristiche che derivano in misura significativa dalla integrazione tra le personalità e le problematiche dell’analizzando e quelle corrispondenti dell’analista, costituendo un unicum irripetibile. La teoria del campo (Baranger, Corrao, 1986; Ferro,) - intesa nell’accezione di considerare tutto ciò che cade sotto l’osservazione conscia ed inconscia dell’analista e che lo include – ci consente oggi di esaminare in un contesto più ampio i fenomeni in passato rubricati come ‘dinamica transfert-controtransfert’, amplificandoli. Attribuire valore e significato a quanto accade nel campo allargato sostiene una visione intersoggettiva che influenza sia la soggettività di analista e analizzando che la forma della loro relazione. Considerandosi parte del campo, l’analista visualizza con più accuratezza il suo contributo alle dinamiche in atto, non attribuendole automaticamente in prima istanza all’analizzando.

Cercherò di mostrare quanto la teoria dell’analista, in particolare quella relativa al setting, influenzi l’andamento dei processi di trasformazione. Per fare ciò la scelta di considerare il transfert nella accezione totalistica (Klein, 1952; Joseph, 1983; Gill, 1982) mantiene tutta la sua pregnanza. Ugualmente quella del transfert come ripetizione, anche se oggi monitoriamo meglio l’influenza dell’analista nell’esprimersi di tale ripetizione.

Larga parte della letteratura psicoanalitica attuale si sta orientando verso le istanze dell’individuo non attivate perché prive di riscontro e rispecchiamento nel corso delle relazioni primarie o successivamente. Oppure scarsamente valorizzate al punto da non manifestarsi nella loro pienezza. Custodiscono la parte più vitale dell’individuo, quella che lo motiva e lo spinge verso sviluppo e crescita. Il più delle volte la motivazione forte della richiesta di analisi, accanto alla speranza di alleviare disagio e dolore.

Ogden (2005, pag. 2;) ha sintetizzato lucidamente questa finalità della psicoanalisi: “Una persona si rivolge ad uno psicoanalista perché si trova in uno stato di sofferenza emotiva che non è in grado di definire; inoltre non è in grado di sognare (cioè di fare lavoro psicologico inconscio) … Fino a quando è incapace di sognare la sua esperienza emotiva, l’individuo non può cambiare, non può crescere, non può diventare qualcosa di diverso da ciò che è stato”. Analista ed analizzando collaborano per creare le condizioni che consentono di ‘imparare a sognare’.

Favorire lo sviluppo delle potenzialità dell’individuo è in sintonia con l’attuale richiesta degli analizzandi che riguarda la costruzione di un’identità che manca e che deve prendere il posto di personalità costruite su “inpingments” (Winnicott ). Questo lavoro ha ricevuto nuovo impulso dalla crescente capacità di guardare alla coppia analitica come entità nuova (Ogden, 2005; Ferro, 2010;), unica ed irripetibile, quindi come organismo con funzionamenti e regole proprie; creando i presupposti per lo sviluppo di nuove capacità e funzioni: “.. due menti che operano trasformazioni […] creano una nuova realtà” (Ferro, 2010, pag.: 46). Stesso concetto espresso da De Toffoli (20  , 218;) da un altro vertice: “… prestare attenzione a ciò che non c’è ancora e che può nascere appunto dall’essere insieme prefigurato”. Alla luce di queste premesse si rivela lo spessore della metafora di Freud () che paragonava il transfert alla zona di cambio tra legno e corteccia che genera  “nuovi tessuti e l’aumento di spessore del tronco”. Una intuizione cui aggiungiamo la consapevolezza che certe acquisizioni richiedono la copresenza attiva di un altro da sé per realizzarsi.

In questa visione del processo analitico divengono oggetto di osservazione, interesse e curiosità, i modi con cui il singolo analizzando “inventa/scopre” e familiarizza con la situazione psicoanalitica. Il più delle volte un realizzarsi naturale, motivo per me di sorpresa, così come meraviglia Bollas (1999, pag. 7) : “ .. chi è sul punto di intraprendere un’analisi nutre qualche ansia a questo proposito, ma è sorprendente il modo estremamente naturale in cui comunque vi si sottopone” . Ugualmente suscitano attenzione caratteristiche, forme del relazionarsi e modo di lavorare della coppia analista-analizzando; alla ricerca dei modi possibili ed utili di stare insieme e produrre cambiamento.


 

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