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Lombardozzi A. - Presentazione di "Un tempo per l’amore”, di Tonia Cancrini. FrancoAngeli, 2021

Parlare del bellissimo libro scritto da Tonia mi emoziona molto. Ritrovo nel modo di riportare i casi dei suoi pazienti bambini e adulti, di alternare suggestivi e puntuali riferimenti letterari, filosofici o culturali con formulazioni teoriche complesse con uno stile di scritturaleggero, profondo e intensamente affettivo, lo spirito di una persona, un’amica, una psicoanalista che conosco da tanti anni e con cui abbiamo condiviso molte stagioni delle nostre rispettive vite.

Il libro ha una forte connessione con il precedente Un tempo per il dolore che è altrettanto bello. Tonia, ancora di più, oggi sottolinea, nello sviluppo del bambino, nelle vicissitudini della vita psichica, nell’esperienza ordinaria e straordinaria della vita personale e degli affetti che ci circondano, nella profonda complessità affascinante e difficile nella relazione analitica, l’importanza del convivere sentimenti contrastanti ma in costante relazione tra loro come amore e dolore (eros, dolore, odio nel sottotitolo) come condizione di una qualità relazionale sana e vitale.

Qualità molto ardua da raggiungere, soprattutto quando le condizioni della relazione originaria non hanno consentito di garantire uno buon esito dello sviluppo emozionale. Il libro ha una forma al confine tra il saggio e il racconto ed è la trama della vita personale, della ricerca intellettuale di filosofa e del lavoro clinico-teorico di psicoanalista che Tonia ha svolto nel corso degli anni con una passione che si coglie e ti avvolge nella lettura.

I temi centrali nella ricerca clinica psicoanalitica sono molti: la ferita originaria, il trauma, la colpa, il vuoto esistenziale della noia, la rabbia, la solitudine, aspetti della vita psichica conscia e inconscia che vengono affrontati con coraggio e acutezza nel setting terapeutico e con gli strumenti che la psicoanalisi mette a disposizione.

In particolare viene messa in luce la ripetizione nel transfert delle condizioni dolorose prodotte dalla ferita originaria e la possibilità di trasformarle nel lavoro che l’analista fa attraverso l’uso del controtransfert che è la modalità principale per facilitare il cambiamento.

Si coglie, inoltre, l’intelligenza affettiva di Tonia e l’apertura intellettuale nel collocare gli strumenti principi della cura psicoanalitica, come il transfert e controtransfert, nel vissuto ‘carne e sangue’ in senso metaforico, dell’esperienza analitica. Nel momento in cui l’analista si ‘immerge’ nella realtà psichica del paziente, ‘patendo’, in qualche modo, il dolore delle ferite originarie, dei lutti non elaborati, dei traumi non rappresentati che non ha potuto vivere fino in fondo, è possibile un processo di trasformazione che avviene nella condivisione del dolore nel contesto della relazione analitica.

Il tema della ferita originaria si presenta in tutta la sua forza. Risulta, a mio avviso, un concetto che sviluppa la sua ispirazione kleiniana in una direzione più relazionale e partecipativa, aspetto già in parte presente nella Klein come si può vedere nell’ultimo libro sulle sue lezioni cliniche inedite. La ferita originaria, o anche le ferite psichiche, si generano, infatti, proprio in conseguenza della non adeguatezza o incapacità nella risposta della madre, o di chi si prende cura del bambino, nel corso della prime fasi della sua esistenza in relazione ai suoi bisogni psichici e vitali fondamentali. Incapacità dovuta a diverse condizioni di assenza materna, distratta da problemi incombenti e inaffrontabili o veri e propri atteggiamenti negativi o di rifiuto, che non consentono al bambino di fare fronte a sentimenti ed emozioni come rabbia o frustrazioni, producendo un grande dolore. Viceversa un atteggiamento amoroso e attento e una madre capace di revêrie producono fiducia nell’altro che si prende cura di sé e creano le basi per condividere le angosce di separazione, morte e frammentazione e la possibilità di elaborarle favorendo il processo di crescita ed individuazione.

Diviene in quest’ottica molto importante che l’analista sia una presenza in grado di mettere a contatto il paziente con vissuti di estrema rabbia, dolore e angosce profonde collegate a lutti e traumi non elaborati, a volte anche non elaborabili, in modo da consentire di dar loro una forma e poterli rappresentare, attraverso una ‘traduzione’, o comunicazione nel ‘linguaggio’ corporeo o di elementi di conoscenza implicita presenti nel campo analitico.

Nel lavoro con bambini e adulti sofferenti, Tonia è presente con tutta la sua persona, ma anche con la sua capacità di revêrie. Interviene con la parola in situazioni in cui questa serve a dare contenimento ad angosce di vuoto catastrofico, oppure si pone in una posizione di attesa in modo che sentimenti legati ad angosce inaffrontabili prendano lo spazio e il tempo necessari, anche a partire da forme di agito, in modo che, in un momento successivo, sia possibile dargli un senso e una possibilità di rappresentazione. In questo senso il concetto stesso di acting prende un altro significato e svolge una funzione diversa rispetto all’idea più classica, in quanto è un tipo di assetto e comportamento che, seppure espressione di una forte rabbia distruttiva, se ne è consentita l’espressione entro i limiti del setting analitico, con la presenza di un’analista capace di sognare e restare vivo nonostante tutto, può essere bonificato ed elaborato. Almeno può essere avviato un processo di cambiamento in quella direzione. In questo senso Tonia riprende ed entra in dialogo con il pensiero di Bion, poi sviluppato da Ferro e Odgen, attribuendo molta importanza alla possibilità da parte dell’analista di sognare il sogno non sognato dal paziente e individuando in questo processo una forte possibilità trasformativa.

Se entriamo, poi, nei temi cruciali dell’analisi di Tonia troviamo evidenziati ed approfonditi concetti e condizioni vissute che sono al centro della nostra esistenza e della pratica analitica.

La ferita originaria, nella sua formulazione sembra intensamente collegata al trauma che viene considerato da Tonia nelle sue diverse declinazioni: il trauma dovuto alla qualità deficitaria della relazione primaria, il trauma conseguente ad esperienze violente ed abusanti di diverso tipo, il trauma collettivo collegato ad eventi storici vissuti da intere popolazioni. Anche nel caso del trauma la sfida del lavoro psicoanalitico, a cui Tonia non si sottrae come si può ben vedere dalle sue belle descrizioni cliniche, è quella di offrire la possibilità della parola e della rappresentazione, nell’attivare un lavoro di trasformazione che consenta al paziente di uscire, nelle situazioni più fortunate, da quella forma di muta mortificazione che annichilisce il senso di esistere.

Il trauma si collega, inoltre, in molte situazioni al lutto, altro tema centrale nella riflessione di Tonia. Il lutto non è solo l’esperienza della perdita di una persona reale ma è anche un processo necessario e inevitabile che accompagna la crescita di ognuno di noi nei passaggi della nostra vita. Tonia ci mostra bene quanto sia importante vivere il lutto in una situazione di condivisione sia quando attiene alla perdita ed al distacco da aspetti di sé ed a rappresentazioni di un oggetto da cui separarsi, sia nel caso della morte di persone care o quella precoce di un genitore o di un’importanti figure di accudimento. In entrambi casi, anche se ovviamente in modalità differenti, è importante poter sentire la presenza di qualcuno, una coppia di genitori, un gruppo di amici, o una collettività solidale, che sia di aiuto ad elaborare un sentimento così doloroso. Non a caso Tonia cita il bel libro di De Martino Morte e pianto rituale che ci mostra come, per poter superare la crisi della presenza ed il dolore percepito senza possibilità di riscatto, sia necessario il rito collettivo che nella riparazione consente di reintegrare l’esistenza individuale nella storia del gruppo elaborando i sentimenti di perdita.

L’esperienza del lutto si lega, inoltre, al tema della colpa che Tonia riprende dopo averlo ampiamente affrontato nel libro precedente. In Un tempo per l’amore Tonia, sviluppa in modo molto approfondito il rapporto tra la colpa e l’amore. La colpa, soprattutto quando è un sentimento invasivo, compromette la possibilità di amare e crea, quando è presente nella seduta analitica, un’atmosfera cupa e oscura. Sono molto belli nel testo, insieme agli esempi clinici, i riferimenti letterari ad Hawthorne e Dostoevskij; i protagonisti del racconto Il velo nero e del romanzo Delitto e castigo convivono con la presenza di un devastante senso di colpa. L’uno, il pastore Hooper, non può separarsi dal peso della colpa esibendo il suo stato d’animo di oppressione indossando un velo nero, l’altro, Rascòl’nikov, nega la colpa per aver compiuto di un atto efferato che può affrontare solo quando sopravviene l’amore. Anche il protagonista dello Straniero di Camus compie un assurdo e ‘arbitrario’ delitto proprio nell’impossibilità di vivere il dolore del lutto per la perdita della madre. Allora Tonia ci pone di fronte al rischio di non poter ‘soffrire il dolore’ in quanto condizione all’origine di rabbia, violenza e distruttività sia a livello dell’esistenza individuale sia sul piano sociale e dell’esperienza del gruppo. Uno spunto di riflessione che mi viene da porre a Tonia è se si può pensare, nonostante la centralità della colpa, ad una possibile relazione con l’altrettanto importante sentimento della vergogna. In fondo si può rilevare anche in Freud in Lutto e melanconia questo stretto rapporto, quando mette in relazione la colpa e la rabbia per l’oggetto perduto e l’incapacità di sostituirlo con un forte senso di auto-rimprovero e di umiliazione, che compromette l’autostima della persona coinvolta esponendola ad un forte senso di vergogna.

L’impossibilità di amare è anche legata alla noia e alla capacità di tollerare il senso di solitudine declinato nella Klein o in Winnicott in modo diverso. Tonia ci accompagna nel suo percorso verso la noia in una riflessione che articola le narrazioni di Moravia, Sartre e Leopardi con i vissuti in analisi che generano un senso di impotenza in relazione a sentimenti mortiferi e di depressione profonda che emergono nelle condizioni in cui non c’è spazio per il pensiero e la creatività. Situazioni queste che, se a volte si inseriscono in un contesto psicopatologico, costituiscono anche una condizione esistenziale comune con cui fare i conti. È d’altronde, proprio per questo, ancora più importante che nell’analisi con pazienti fortemente condizionati dal senso di annichilimento della noia patologica, oppure con pazienti che esprimono il dolore con una rabbia distruttiva, l’analista si mantenga vitale e possa riattivare, insieme ad un senso vitale di sé, anche la possibilità che ci si possa sentirsi amati, riconosciuti e, soprattutto, in grado di amare.

L’amore, però, come ci insegna Tonia può essere anche fonte di frustrazione e di odio: un certo tipo di amore può anche ‘uccidere’. Un amore mortifero legato all’odio e al desiderio di vendetta può condurre ad esiti drammatici come i poeti e la tragedia ci insegnano come avviene nei Dolori del giovane Werther di Goethe, nella vicenda mitica dell’uccisione dei figli da parte di Medea, o nella gelosia di Otello che distrugge il suo oggetto di amore.

Mi piacerebbe su questo punto aprire un dialogo con Tonia. Certamente nella nostra esperienza sperimentiamo nell’analisi, o anche nella vita, la compresenza di sentimenti di amore e di odio. Mi chiedo se nell’Otello di Shakespeare, l’amore che si trasforma in odio non sia da anche da attribuire al ruolo determinante di Jago che induce in Otello il sospetto in quanto, nel teatro dei ‘personaggi’ inconsci, rappresenta l’invidia per il potere di Otello e, forse, anche della sua capacità di amare. Allo stesso tempo, mi chiedo anche se questi odi, che divengono furori, non siano collegati ad un rapporto d’amore che ha le caratteristiche di una completa compenetrazione di tipo simbiotico mortifero o parassitario che, nel momento in cui si rompe o entra in crisi, provoca un accesso di rabbia narcisistica incontrollabile e azioni di grande atrocità.

Sicuramente Tonia ci indica la strada per fare fronte a queste situazioni dolorose e drammatiche ed è quella dell’amare che consente la possibilità di fare conto su un ‘oggetto buono interiorizzato’ che ci spinge alla vita e alla gioia della creatività.

Questa spinta vitale si sente molto in Tonia che con la sua generosità ci fa testimoni del suo amore per gli amici, i parenti, i suoi animali a cui dedica un capitolo bellissimo. Amare un cane, un cavallo, un gatto è un segno di civiltà, proprio perché sembra un modo per avere un contatto profondo con un essere, potremmo dire un soggetto, molto diverso da noi, ma con cui possiamo trovare un linguaggio comune affettivo, negli sguardi intensi ed eloquenti, nella sensibilità, nella condivisione del tutto particolare che ci fa vivere rapporti speciali ed unici. Nel suo racconto commovente non c’è in Tonia alcunché di artefatto, come a volte accade quando, invece, si tende a far rientrare i rapporti con animali domestici in una visione antropomorfica che costringe la soggettività degli altri esseri viventi in nostre categorie scontate e costruite.

Grazie Tonia per avere condiviso con noi questo tuo percorso di vita, di lavoro e di pensiero ed avere scritto un libro, meritatamente premiato, importante per tutti noi, soprattutto per chi intraprende una formazione analitica per infondergli un sapere rigoroso e un forte senso di speranza.

 

Lavoro presentato in occasione dell’evento intercentri CdPR – CPdR, “I nostri libri” a cura di Giuliana Rocchetti e Cristina Sarno. 17 settembre 2022

 

Vedi anche:

Tonia Cancrini, Un Tempo per l’Amore. Eros, dolore, odio (Franco Angeli, 2021). Recensione di Paola Linguiti

Presentazione del libro a cura del Centro Paul Lemoine di Palermo

 

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