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Argese M.G. - La soggettività dell’analista: riferimenti clinici in dialogo con Barbara Piovano (2021)

Vorrei proporvi due spunti clinici che ci possano permettere di riflettere sugli elementi in gioco nel determinare dei cambiamenti psichici, alla luce della teorizzazione di Stern sui momenti di incontro, quelle situazioni intensamente affettive che coinvolgono paziente e analista in uno scambio spontaneo e autentico, al di là dell’interpretazione, e che hanno, come ben spiega Barbara, una connotazione di rottura della cornice abituale di modalità relazionale. L’ipotesi è che nell’incontro tra la comunicazione del paziente e l’ascolto dell’analista, si possono verificare delle situazioni in cui la soggettività e la partecipazione empatica dell’analista introducono una possibilità di sperimentare in modo nuovo la relazione con l’altro, (e quindi con se stessi e con i propri oggetti interni, aggiungerei io),a fronte di schemi emotivi ripetitivi che quando sono correlati a esperienze di scarso, o mancato, o incongruente accudimento primario, risultano disadattativi o dissociati.

Il caso di Nina (materiale clinico non pubblicabile per motivi di privacy)

In un lavoro in corso di preparazione, sull’esperienza dell’ascolto psicologico offerto per l’emergenza coronavirus, Ornella Filograna sottolinea come la situazione traumatica può riattivare la memoria procedurale  implicita legata a perdite, a lutti, a traumi relazionali di un insufficiente, inadeguato accudimento e nell’incontro psicoanalitico può verificarsi un cambiamento, di cui non si sa quale sia la permanenza o la profondità, ma che appare comunque significativo. In questi casi la soggettività dell’analista che condivide la stessa situazione difficile della pandemia, sembra favorire quel contatto empatico, carico affettivamente, che al di là dell’interpretazione, e del ruolo ben definito dell’analista, permette un momento di incontro che segna delle trasformazioni negli abituali schemi emotivi delle persone.

Chiedo a Barbara se si può ipotizzare che l’idea di Nina di dovercela sempre fare da sola, relegando in un angolo, forse dissociato, l’esperienza della fragilità, dell’impotenza, del dolore della perdita, ha potuto essere rivista con una possibilità di accesso, certamenteappena iniziale, a un diverso dispiegarsi dell’esperienza traumatica, favorito dall’accesso che la stessa analista ha potuto intravedere nel suo sentire soggettivo.

Nella seconda situazione clinica che vi propongo, l’elemento che collegherei ad una trasformazione, un cambiamento, appare diluito nel tempo, in più sedute, per cui non so se sia corretto, considerarlo un momento di incontro secondo la teorizzazione di Stern, ma attiene comunque all’esperienza soggettiva dell’analista e ad un intervento sentito dallo stesso analista come poco ortodosso.

Il caso di Luciano. (materiale clinico non pubblicabile per motivi di privacy).

Si potrebbe ritenere che il mio intervento sia stato quasi di natura suggestiva, un convincere l’altro di qualcosa che potrebbe non appartenergli, forse un movimento persuasivo, frutto delle mie difficoltà di analizzare le difese controllanti di Luciano o di tollerare la situazione. Ma alla luce del cambiamento nella direzione di un potersi fidare un po’ di più, penso piuttosto che le mie parole, evidentemente comunicate con partecipazione affettiva in quanto facente parte della mia esperienza, abbiano fatto percepire a Luciano la possibilità di dare valore ai suoi pensieri, a fronte della sua aspettativa relazionale connotata da delusione, frustrazione, fino al senso di umiliazione che ha caratterizzato le sue prime esperienze con le figure di accudimento.

Mi chiederei e chiederei a Barbara se in questo secondo caso clinico, emerge, più chiaramente forse che nel primo, che un possibile elemento trasformativo degli schemi emotivi relazionali legati a primarie esperienze traumatiche, sia collegato da una parte a interpretazioni della dinamica transferale che diano senso e conoscenza a tali esperienze e alle difese su queste costruite, e dall’altra (ma forse soprattutto?) sia dovuto all’esperienza di nuovi assetti relazionali che “sbiadiscono”, fanno perdere pervasività e significatività a quelli precedenti. Affinché questo accada, è necessario che la relazione analitica sia improntata a quella funzione di loving , di cui parla Claudio Arnetoli, in un articolo pubblicato sull’ultimo numero della rivista (n.3,2020); tale funzione , già individuata da Bion accanto a odio(H) e conoscenza (K), come uno dei tre elementi costitutivi della psicoanalisi, viene definita da Arnetoli come “ propensione e sapiente attitudine a rispondere , in modi vari, con un amore adeguato ad un certo bisogno di amore, una risposta conveniente ai ruoli e al contesto relazionale”. A partire dalla distinzione tra la dimensione ripetitiva e quella evolutiva-creativa del transfert, la funzione di loving sarebbe particolarmente utile per lo sviluppo delle dimensioni evolutive, alla base della ricerca da parte del paziente di una realizzazione del proprio progetto interno.

 

 

DOMANDE CONCLUSIVE

1) Resta aperta la questione di quanto sia necessario il lavoro di autoriflessione e consapevolezza che il paziente raggiunge attraverso le interpretazioni e le ricostruzioni storiche per un più solido, profondo e completo processo psicoanalitico. Se come sembra teorizzare Stern l’azione terapeutica della psicoanalisi viene collocata soprattutto nella dimensione non verbale presimbolica intessuta nella struttura del dialogo analista-paziente, quale posto occupa la dimensione simbolica e quali sono i rapporti tra le due? Vanno in parallelo o devono essere necessariamente integrati, la dimensione preverbale deve sempre trovare una sua rappresentabilità? Mi pare che Barbara propenda per l’ipotesi che sia necessario che le strutture implicite evolvano verso la consapevolezza conscia, ma le chiederei di precisare meglio questo punto. Personalmente sarei portata a pensare che questo dipende dal livello di potenzialità e di risorse di cui dispone il paziente e che vengono messe in campo nel lavoro della coppia analitica.

2) Il cambiamento terapeutico non avverrebbe tanto perché vengono modificate le procedure relazioni disadattative ma perché queste non trovano un riscontro, un rinforzo, una reciprocazione come la chiama Ryle, ma al contrario vengono depotenziate perché si creano dei nuovi modi di essere nella relazione analitica e nuove memorie implicite. Le ultime ricerche neuroscientifiche tuttora in corso, sul funzionamento della memoria implicita, come ci ricorda Cristiana Pirrongelli, (Spipedia, la memoria implicita), ipotizzerebbero che “il ricordo primitivo non è comunque passibile di modifica né di diverso consolidamento: quello che può accadere è che se ne aggiunga uno nuovo che metta a disposizione del paziente una nuova memoria non traumatica che può costituire una risorsa per arrivare a sostenere e ad elaborare l’antico ricordo.” Volevo chiedere a Barbara cosa ne pensava.

3) I momenti di incontro si caratterizzano per la presenza di spontaneità o meglio autenticità, secondo la distinzione che fa Claudio Neri riferendosi alla connotazione di responsabilità verso l’altro presente nell’autenticità e non nella spontaneità : quanto l’autenticità appartiene a singoli eventi di rottura della cornice del setting abituale o quanto non debba piuttosto essere un atteggiamento auspicabile seppur monitorato, in un’ottica in cui la soggettività dell’analista è una risorsa preziosa e irrinunciabile che accompagna la relazione analitica?

 

  

Roma 8/4/2021.                                       Maria Giovanna Argese

 

Bibliografia

Arnetoli Claudio (2020), Transfert evolutivo, sentimento d’amore e funzione di loving in analisi, Rivista di Psicoanalisi, n.3, luglio settembre 2020, Raffaello Cortina ed.

Ornella Filograna (2020) comunicazione personale.

Claudio Neri (2021), Il gruppo come cura, Raffaello Cortina ed.

Cristiana Pirrongelli, (2020), Spipedia, Memoria implicita, www.spiweb.it

A.Ryle (2003) Something more than the “Something more than interpretazione” is needed: A comment on the paper by the process of Change Study Group. Int.J.Psychoanalysis 84:109-118

Daniel Stern ed al. (1998) Non interpretive mechanism in psychoanalytic therapy: the something more than interpretation. Int.J.Psychoanalysisi 79:903-21

 

 

Lavoro presentato al Centro di Psicoanalisi Romano l'8 aprile 2021

 

 

Vedi anche

 

Piovano B. - La conoscenza relazionale implicita e il cambiamento terapeutico (2021)

 

София plus.google.com/102831918332158008841 EMSIEN-3

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