Lunedì, Maggio 20, 2024

La fortuna del trifoglio (Tra due mondi (Ouistreham), di E. Carrére, Francia, 2021). Recensione di Giuseppe Riefolo

 

“voglio rendere visibile l’invisibile”

(Marianne Winckler)

 

Conoscere…

Sapevo già la trama del film, ma nonostante questo, soprattutto nella prima parte, cominciavo a temere si trattasse della denuncia della precarietà nel mondo del lavoro portata da una giornalista impegnata (ovvio che ti viene da sospettare subito la presenza, in qualche modo, d Ken Loach...). Conoscevo - e mi aspettavo - la particolare crudezza nella descrizione di emozioni estreme di Carrère (uno dei motivi per cui volevo vedere il film…), ma cominciavo a temere che la crudezza sarebbe rimasta nella descrizione diretta “sulla propria pelle” da parte della giornalista: “salario minimo! E’ un lavoro duro… e non ci si può lamentare altrimenti vai fuori!”. Ancora: mentre sono nel cinema e nella storia, non mi aiuta in questo senso nemmeno l’incontro di Marianne con la dirigente dell’agenzia del lavoro, la quale ha letto un suo libro e scopre che non si tratta di una lavoratrice precaria, ma di una “infiltrata”: “mi spiega che ci fa lei qui? Perché vuole fare la donna delle pulizie?... Ho letto il suo ultimo libro!”. La risposta di Marianne è formale e debole: “sono stufa di sentir parlare di crisi e disoccupazione come fossero cose astratte! Ho bisogno di vederle con i miei occhi… viverle ogni giorno… conoscere la realtà!”. A questo punto, soprattutto un analista, sente che il film lo riguarda perché pone il problema di cosa e come “conoscere” e se il metodo possa essere quello di Marianne. L’analista ha qualche dubbio: “ogni annotazione basata su una percezione di oggetti concreti è un resoconto di elementi che da un punto di vista psicoanalitico risultano irrilevanti” (Bion, 1967, 14).

 

 …a distanza

Fra Marianne e la dirigente di quell’ufficio si insinua immediatamente una collusione che permetterà a Marianne di continuare ad essere una “infiltrata”. Ho pensato che la collusione fra le due donne riguarda (e mantiene) la sostanziale distanza verso quel mondo che Marianne vorrebbe conoscere: entrambe ne sono estranee e l’osservano da fuori. Ad ogni modo, già in questo incontro (scontro) emergono le domande che poi inchioderanno Marianne alla sua violenta impotenza: “lei chi è? Che cosa cerca? Non si chiede che forse sta togliendo il lavoro a qualcuna di loro che ne ha veramente bisogno?”. Non serve la risposta di Marianne: “mi ritirerò quando mi daranno un contratto a tempo indeterminato! Non tolgo nulla a nessuno!”. La psicoanalisi dice che questo non è vero. Il problema è: cosa si toglie e cosa si dà quando si vuole conoscere? Eppoi: come si conosce? Gli analisti, ultimamente, sanno sempre più che la conoscenza è solo reciproca. E’ solo l’incontro con un altro a permetterti di conoscere ciò che hai e che non sapevi di avere. In quella dimensione di incontro scopri con imbarazzo che la tua mente funziona come quella di un altro (Fonagy, Target, 1996) e che, quindi, quando vuoi conoscere qualcosa stai sempre cecando qualcosa che ti riguarda, intimamente. La distanza “osservante” rimane anche con Cédric: lui le racconta una vita di fallimenti, ma le presenta da subito un interesse più intimo. La dimensione “osservante” rimarrà fino alla fine e Marianne continuerà a frequentare (illudere?) Cédric conoscendone la vita, la casa, i progetti. A Cédric Marianne pagherà con il dono della macchina; e la macchina gli permetterà di trovare il lavoro e la compagnia, finalmente, della moglie del suo datore di lavoro: “si tratta di una grande opportunità!”. Con Cédric il conto è chiuso, definitivamente. Il tono cambia nettamente quando Marianne conosce da vicino le sue colleghe; soprattutto quando ne contatta l’intimità: “mi offriresti un caffè? Passo un attimo e poi vado via!”. Non conosciamo nulla della vita di Marianne (possiamo immaginare una vita borghese, comune…), e penso che sia giusto così. Di un analista non serve lui dica della sua vita, ma ci interessa molto la sua partecipazione soggettiva alle persone che incontra e che – in qualche modo – cercherà di conoscere. Appunto: conoscere cosa? e in che modo? Freud (1899, 560) suggerisce molto presto come la coscienza rappresenti un “organo di senso per la percezione di qualità psichiche” e qualche anno dopo rintraccerà questa forma di conoscenza nel dialogo fra inconsci: “il medico…deve rivolgere il proprio inconscio come un organo ricevente verso l’inconscio del malato” (Freud, 1912, 536). Accade, quindi, che Marianne, per conoscere in modo particolarmente profondo la realtà dell’altro (da cui si sente violentemente esclusa per la propria dimensione estranea…) non si fermi a conoscere a distanza, e non si limiti ad immergersi profondamente nella realtà dell’altro, ma dovrà consegnare, non la sua storia, ma la propria intimità, magari negli ambiti più sospesi.

 

La fortuna imbarazzante del trifoglio

Accade che, nonostante il suo progetto coraggioso di indagine, ne viene risucchiata dalla dimensione affettiva. Il film dice che il funzionamento affettivo di un soggetto concretamente molto distante da te non solo non è affatto diverso dal tuo, ma puoi scoprire che sei tu a non avere – persino desiderare o invidiare – ciò che quel soggetto possiede e riesce a darti. Marianne cavalca pericolosamente il campo affettivo illudendosi violentemente di poterlo osservare da fuori: “perché hai preso questa strada?”; “Voglio andare al mare!”; “Non ho tempo per andare al mare!” “Ce lo prendiamo il tempo!”. Infatti, Marianne – per quanto sia lei a decidere dove andare - non sa che Christèle l’ha già adottata nella propria famiglia ed ha organizzato da tempo con i tre figli il suo compleanno. Marianne non capisce la reciprocità e, quindi, sospetta che l’interesse di Christèle verso di lei sia dell’ordine dell’intrusività, persino del furto: “perché ha frugato nella mia borsa? Non era certo per i soldi visto che non li ha presi!”. L’evento del compleanno è una dimensione che Marianne non ha programmato e a cui, evidentemente, non era affatto preparata. Il compleanno, non è un fatto, ma l’inizio di un processo che (per fortuna…) non puoi più impedire e ti impone il gioco: “questo è un regalo per te. L’ho scelto io perché mamma non sapeva cosa scegliere. E’ un trifoglio che porta fortuna!”. Marianne è visibilmente sorpresa e si lascia andare ad una reazione che ribalta i ruoli e dice della reciprocità delle relazioni affettive , ovvero di come, per fortuna, i pazienti riescano a conoscerci profondamente. Marianne è sorpresa dal regalo inatteso; lo ammira emozionata: “lo terrò con me per sempre!”. A questo punto, nel mio film cambia tutto: quello che Marianne cercava di conoscere già lo sapeva, mentre potrà conoscere solo qualcosa che le arriva come un cambiamento di Sé che prima non conosceva. Un tempo gli analisti cercavano di conoscere orientando la propria potente lente di ingrandimento verso ambiti nascosti dell’inconscio del paziente. Da un po’ gli analisti sanno che ciò che è importante sapere non è conoscere minuziosamente le ragioni del dolore di quelle lavoratrici sfortunate, ma ciò che loro ti danno e che tu puoi prendere (tentando faticosamente la leggerezza dell’autorizzazione inconscia reciproca) solo da loro. Marianne scopre che, mentre indaga i fondali della dura precarietà, incontra la bellezza di cui è capace un paziente e che quella bellezza non era mai stata “realizzata” (Bion) o “formulata” (DB Stern) prima: “non vorrai lavorare così per sempre!”; “Spero di no. Voglio andarmene lontano” (la giovane Marilou).

 

Conoscenza intersoggettiva.

A questo punto il film inverte il vertice ed è Marianne a soffrire i percorsi del (proprio) mondo: deve tornare al suo mondo per la morte del padre fino alla violenta, ma sana ed inevitabile, collisione dei due mondi: “Marianne, che ci fai su questo traghetto?... Ho saputo che stai scrivendo un libro sulla realtà delle lavoratrici addette alle pulizie ….!”. Inevitabilmente, l’effettività (Bion) impone che i progetti narcisistici dei soggetti si infrangano rispetto alla realtà la quale, come per le potenti dinamiche del setting analitico, per fortuna impone sempre che i desideri soggettivi debbano coniugarsi in dimensioni di realtà possibili. La realtà (il setting) chiarisce due progetti impossibili che ora si scontrano e si riconoscono. Marianne ora sa che cercava di conoscere il suo paziente fingendo di saperne il dolore e scopre che quel dolore voleva conoscerlo, ma non trasformarlo. Ora entrambe le donne possono osservarsi dalla posizione dell’altra e riconoscere che le due posizioni, nonostante ovvie diversità formali, hanno limiti e opportunità complementari. Marianne ottiene e porterà per tutta la vita la catenina con il trifoglio che non aveva prima e che non avrebbe mai saputo di poter avere (è l’unico elemento che Christèle rintraccia della relazione intima che persiste, quando le due donne si incontreranno alla fine…). Ma è destinata a lasciare e separarsi da Christèle. Da parte sua Christèle verifica il dolore e la violenza della propria condizione, ma ha sperimentato che l’altra porterà per tutta la vita la sua catenina con il trifoglio. La porterà non perché Marianne fingerà di volerle bene, ma perché Marianne non avrebbe mai avuto (forse non ha mai avuto nella propria vita…) quella catenina.

Per questo, alla richiesta di continuare il gioco della finzione, alla fine, dolorosamente Marianne (un analista…), può solo riconoscere l’inutilità della rassicurante posizione della conoscenza oggettiva. Strappando violentemente Marianne al proprio mondo di scrittrice che ora autografa la loro storia, Christèle le impone: “allora, per un ultima volta, metti la casacca e vieni con noi a fare il turno delle pulizie!”. Dolorosa ed ovvia la risposta dell’analista al suo paziente: “Non posso accettare, Christèle, che senso ha?”

“per l’esaminatore lo strumento di lavoro è egli stesso… a complicare

le cose vi è il fatto che l’oggetto di studio è un altro essere umano”

(Bleger, 1964, 237)

 

Riferimenti Bibliografici

Bion W. R. (1967). Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico, Armando, Roma, 1970.

Bleger J. (1964). Il colloquio psicologico (suo impiego nella diagnosi e nella ricerca), in Psicoigiene e psicologia istituzionale, Lauretana, Loreto, 1989.

Fonagy P., Target M. (1996). Playng with reality: (I). Theory of the mind and the normal development of psychic reality. Int, J. Psycho.Anal. 77 : 217-233.

Freud S. (1899). L’interpretazione dei sogni, OSF, 3.

Freud S. (1912). Consigli al medico nel trattamento psicoanalitico, OSFD, 6.

София plus.google.com/102831918332158008841 EMSIEN-3

Login