Lunedì, Maggio 20, 2024

Qualcuno che ti possa ascoltare (Se ti potessi dire, Vasco Rossi). Note su una canzone. Di Giuseppe Riefolo

“It’s something fails us. First we feel. Then we fall”[1]

(James Joyce, 1939)

 

Ho ascoltato una canzone già sentita mille altre volte perché alcune occasioni me l’hanno permesso. Io avrei continuato a sentirla come sempre, facendomi portare dal ritmo e lasciando sullo sfondo il testo. Quando mi fermo sul testo, però mi accorgo che si tratta proprio di poter dire qualcosa che, evidentemente, non è stato possibile presentare ancora. Allora mi coglie la felice sensazione di un testo che, da un lato sembra ribadire il diritto alla ripetizione, ma, al tempo stesso il bisogno di poter dire qualcosa che, evidentemente, non è mai stato formulato prima (Donnel B. Stern, 2004). Non lo sapevo, ma riascoltare questa canzone mi ha fatto pensare che quando cerchi di “poter dire”, soprattutto stai cercando qualcuno che ti possa ascoltare.

Non amo fare l’analista quando nessuno me lo chiede e, chi scrive una canzone, non chiede assolutamente alcuna interpretazione. Infatti continuerò a sentire questa canzone con il piacere di sempre, ma questa volta la ripetizione insieme al diritto di poter dire qualcosa che non è stato possibile dire prima mi ha portato da Rosa che incontro ogni settimana. Come in una possibile canzone di Vasco Rossi, Rosa è giovane e bella, ma non lo sa.

Il video da cui ascolto la canzone suggerisce che questa volta si tratta registrare quello che accade e, in evidenza, si segnala una matita che attende di essere usata. Pensi: tutta questa introduzione sicuramente fa parte della “scena”! Ma perché non iniziare subito? Peraltro, si tratta di una canzone… La canti e basta! Dopo, cominci a sospettare che tutta la premessa di incontri, saluti, preparazioni, fa parte del testo. Infatti: “se potessi…!” Ti chiedi: dov’è la difficoltà? Perché tante premesse? Forse la canzone parla di incontri, di qualcuno da cercare. Gli analisti (soprattutto quelli di una volta… quelli che “la psicoanalisi è un’arte del sospetto”…) potrebbero pensare che il titolo non chiede cosa dire, ma riguarda la ricerca di qualcuno che non c’è. La comunicazione è del dolore, ma stai cercando qualcuno a cui dirlo. Non ci avevo mai pensato. Ora il mio interesse non è nel sospetto, ma nella possibilità che, come mi chiede Rosa, ci sia qualcuno che ascolti quello che non sei mai riuscita a dire.

Infatti, ho ascoltato questa volta la canzone come la ricerca di qualcuno, prima che il bisogno di dire qualcosa. Finalmente puoi dire che porti un dolore: se non trovi nessuno non sei autorizzato (competente…) ad averlo, ma è la presenza di qualcuno che ti permette di sapere finalmente che hai un dolore. Un analista alcuni anni fa parlava della terribile condizione umana del “nothing” che in presenza di qualcuno può avere una dimensione e, finalmente, un nome: “no-thing”. Infatti: “quell’inferno che esiste veramente”. I pazienti che mi contattano, ovviamente hanno un loro codice per raccontare la loro vita. Confesso che a me capita con i miei pazienti di suggerire che il dolore, per fortuna, esiste e che – nonostante quello che vorremmo pensare – non è una malattia.

Rosa è bella. Nella vita è sempre stata la più brava, orgoglio della famiglia. Ora si è licenziata dal lavoro e non esce più di casa. Io so che per mille motivi, nella sua storia antica, ha dovuto solo accettare (subire…) di essere il riscatto dei genitori per gravi fallimenti e lutti. Ma lei qualche anno fa ha perso Emilio che, nei primi racconti che mi ha portato era uno come tanti altri. Solo da poco, nei nostri incontri, io e lei cominciamo a scoprire che questa perdita le ha segnato ferite di cui lei stessa non si è mai accorta. Io stesso, di fronte alla sua incapacità ad uscire di casa, mi scopro impotente a poterla aiutare. Forse perché ora lei chiede a me di restituirle magicamente il successo che molto presto nella vita deve aver segnato la sua identità. È una onnipotenza che ti ha illuminato la vita, ma che ora significa dolore perché la tua vita senti che è totalmente occupata dai bisogni e dai lutti degli altri. Insieme all’essere sempre chiusa in casa, Rosa deve faticosamente coprire l’acne che nasconde la sua bellezza e la rende impresentabile. Recentemente ho dovuto confessarle che sentivo di non poterla aiutare e che forse mi stava chiedendo, da sempre, di mandarla via perché in qualche modo doveva sentirsi talmente brutta da essere impresentabile. Abbiamo capito che il problema non era – come lei inizialmente chiedeva – poter uscire di casa e tornare al lavoro, ma la sua impresentabilità. Io ero la sola situazione che l’accoglieva perché da me ciò che sentiva essere una insostenibile bruttezza diventava finalmente una malattia! La seduta successiva per la prima volta è arrivata senza trucco. Non mi ha detto nulla, ma io, me ne sono accorto, non tanto per l’acne, ma per gli occhi e l’insolito bianco del suo viso. Da me, a differenza che al suo lavoro o con gli uomini, finalmente si presentava e mi chiedeva di poter essere mandata via perché evidentemente le espulsioni la rassicuravano e la sollevavano da insostenibili responsabilità che non meritava. Mi ha emozionato sentire che con me, questa volta, stava accettando il rischio di presentarsi per quello che era. Questa volta la sua “bruttezza” poteva essere detta ed emozionava qualcuno. Appunto: “se ti potessi dire!” Forse nella vita doveva evitare la bocciatura che invece a me chiedeva, ma la mia calda emozione nel vederla arrivare senza il solito pesante trucco, diceva che poteva sperare di sbagliarsi e che poteva emozionare prima che essere mandata via. Evidentemente non poteva presentarsi agli altri perché doveva salvarli tutti dall’insostenibile dolore della sua bruttezza che però a me portava. Non le ho parlato del trucco e dell’acne, ma sono stato al suo gioco. Ho potuto dirle che capivo che il problema non era recuperare la forza di tornare al lavoro, ma il non riuscire a presentarsi agli altri. Fra pochi giorni avrebbe dovuto avere un colloquio di lavoro dove, come altre volte, era certa non si sarebbe presentata! Ho usato, quindi il suo codice e le ho detto che se non si fosse presentata al colloquio io non avrei potuto più seguirla, perché pensavo che avesse diritto di presentarsi e, magari anche di essere bocciata. Ma il suo diritto era di presentarsi. Hai bisogno di un posto e di una persona a cui dire che “l’inferno esiste veramente!”.

Che strano! Seguire il testo della canzone mi ha fatto pensare che questa non è una canzone d’amore ma un grido di disperazione perché ci sia qualcuno a cui “poter dire”. Infatti io so che raccontare è il luogo del mio incontro con Rosa e, se c’è il luogo, allora ci sono le abitudini da raccontare e la sua fierezza per la quale deve coprire l’acne col trucco. Il problema, quindi non sono “le malinconie, le nostalgie, perfino i rimpianti e gli stessi errori, e le delusioni”. Il problema è il diritto di presentarsi e di raccontare esattamente la tua bruttezza perché sotto il trucco tu possa essere riconosciuta bella. Per me questa è una piccola scoperta nel testo della canzone. Perché forse il trucco che Vasco Rossi si mette addosso è il diritto di presentarsi per quello che sei indipendentemente da (magari anche contro…) quello che gli altri si aspetterebbero. Quindi: “quelle cose le rifarei, esattamente così… stessi errori, stesse passioni e le stesse delusioni”. Questo va sicuramente bene per lui che, infatti, ha la musica per “poter dire” e, quindi, non ha bisogno di nessun analista. Ma a me la canzone ha fatto pensare ai miei pazienti che cercano luoghi dove “poter raccontare” soprattutto se non hai le canzoni per farlo. Poi, comunque, come per i sogni, sotto ogni testo ciò che conta è il sottotesto, ovvero quello che, appunto, non puoi dire finché un sogno non te lo permette. Il sogno nel testo è “poter volare” e soprattutto “vivere per diventare”, ovvero una posizione che non ti inchioda a terra e al prossimo colloquio di lavoro dove dorai presentarti se vuoi vivere! Sapere che c’è Emilio e un analista a cui finalmente puoi presentarti per come sei e che sei leggera.

Non so cosa vuol dire “senza rimpianto”. Sicuramente è un antico luogo di Vasco Rossi, ma questa volta Rosa mi dice che il rimpianto è un diritto e che non è un fallimento. Può essere ciò che ti rende bella. Forse è proprio quello che “vorresti dire”.

 

 

“Proprio per questo sguardo vuoto, ho

voluto suggerire… un inizio di conoscenza”

(Ghirri, Catalogo, 1979)



[1] Ovviamente, per quanto anni fa ci abbia provato, non sono mai riuscito a leggere “Finnegans wake”, ma questa citazione me la porto appresso da molto e… adesso posso dirla.

София plus.google.com/102831918332158008841 EMSIEN-3

Login