Lunedì, Maggio 20, 2024

"Strappare lungo i bordi", serie animata scritta e diretta da Zerocalcare, 2021. Recensione di Roberta Leone

Strappare lungo i bordi è una serie animata scritta e diretta da Zerocalcare, pseudonimo di Michele Rech, fumettista italiano, classe 1983, prodotta e divulgata da Netflix, 6 episodi in totale della durata di un quarto d’ora abbondante l’uno. Zerocalcare è sempre più conosciuto tra i giovani, e non solo, per i suoi fumetti pieni di sarcasmo e piccole personali (?) verità, vissuti di cui rende parte attiva il lettore e in questo caso lo spettatore, che ammalia e coinvolge con l’assiduo presentare di propri pensieri svelati, dubbi e perplessità, a tratti impersonati da un vero e proprio soggetto: l’armadillo, che si tratti della sua Coscienza? in taluni casi il suo Super-Io, che attento lo segue nei suoi svisceramenti mentali, nelle sue indecise riflessioni, lente, che lo castiga quando “necessario”, che lo risveglia dal torpore quando nega alcune “verità”.

Il protagonista è lo stesso autore, un giovane ragazzo che con una serie di flashback riporta ad alcuni significativi vissuti dell’infanzia, permettendo di capire o provare ad intuire come si sia arrivati all’ora, all’uomo di adesso. Si segue un breve tratto di vita presente dell’autore nell’attesa di una giornata particolare, che rimane in agguato per diversi episodi; il cui arrivo è poco desiderato dal protagonista, non si svela se non infine, dando senso così al percorso di puntate che ha permesso agli spettatori di arrivarvi emotivamente insieme a lui, poco incolumi da turbamenti interni direi. L’episodio finale fa chiarezza, pone luce e ombre, un vero finale d’autore, chapeau a Zerocalcare.

Senza veli l’autore espone una serie di fragilità che permettono a chi guarda di sentirlo umano, vicino, quasi un amico con cui si potrebbe parlare di tutto, a cui potrebbe sembrare facile avvicinarsi seppure di un estraneo si tratti. In questo Zerocalcare è audace, colpisce la sincerità con cui tratta temi ardui da riconoscere, spesso ignorati dai giornali perché difficili da digerire, specie in un momento storico in cui si lotta contro la caducità della vita, contro la forte sensazione di impotenza che distingue l’uomo dal divino, da sempre. Seppure già il successo dell’autore negli ultimi anni fosse in netto aumento con questa serie si parla molto di lui; coinvolge il modo semplice in cui appare senza abbandonare i suoi abiti, il suo essere umano fragile, tribolante tra conflitti intrapsichici e tensioni dovute al mondo esterno, difficoltà di sbocco lavorativo e scogli affettivi.

I personaggi sono descritti dalla sua prospettiva, vivono di vita propria ma solo come la visione del protagonista permette, seppur mantenendo aperta la possibilità di rivendicazione che ogni personaggio a proprio turno fa di sé, questo lo smacco che stupisce, chi guarda è portato a sganciarsi da una visione eccessivamente direttiva di cui si sente l’odore inizialmente.

Il finale è estremamente toccante, il rispetto che si mostra per le scelte altrui, per quanto cruente e incomprensibili, permette a chi guarda di pensare. A tratti i pensieri di Zerocalcare sono sublimi, leggeri, aiutano a pesarsi meno addosso.

Per la generazione Y, o Millennial generation l’incontro con il mondo del lavoro è diventato più uno scontro, trovare un’identità lavorativa, un’indipendenza emotiva, il coraggio di dare vita a una propria convincente, per sé stessi anzitutto, autonomia, è risultato compito assai arduo. Zerocalcare ne parla e seppure sia un giovane uomo di grande successo ormai ne parla con umiltà, rispettando la verità di sé stesso, dei propri limiti che troppo spesso al giorno d’oggi non trovano posto, bisogna apparire, vivere di ‘storie’ in cui si evinca facilmente quanto si è contenti, gai, vivi eppure tra i meandri insidiosi della mente umana, tra i conflitti intrapsichici, i dubbi, le debolezze e le fragilità sfuggono alle apparenze, con questa serie si guarda senza filtri un po’ ad altre verità. In modo creativo e unico l’autore ci permette di accostarci ai suoi vissuti, per ritrovarne di nostri? Per viverne di nuovi? Per pensare e provare compassione e tentare di avvicinarci all’epochè, dal greco ἐποχή= sospensione del giudizio, per vivere insieme agli altri le nostre vite.

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