Lunedì, Maggio 20, 2024

Ariaferma. Elogio del tempo sospeso. Una riflessione di Adriana D'Arezzo

A partire dal film “Ariaferma”

“I presupposti del cambiamento”, di Adriana D’Arezzo

 

Film consigliato, con la regia di Leonardo Di Costanzo

Cast: Toni Servillo, Silvio Orlando, Fabrizio Ferracane, Salvatore Striano, Roberto De Francesco

Genere Drammatico

Italia, 2021, durata 117 minuti.

 

 

Sinossi:

Un carcere antico in un luogo solitario e imprecisato d’Italia, dal nome evocativo di pura fantasia “Mortana”, sta per essere chiuso, detenuti e agenti trasferiti altrove. Mentre già gli agenti assaporano “la liberazione”, trasferita la direttrice, sospese le visite dei familiari, tutte le attività collaterali del carcere, i laboratori all’aria aperta, chiuse le cucine, un intoppo burocratico ne blocca la dismissione.

La vicenda si svolge in un’immensa fatiscente struttura che è ora nelle mani di pochi agenti, la cui gerarchia è stata rapidamente ridisegnata, lasciati a controllare una dozzina di detenuti la cui storia poco viene narrata. Tutti restano per un tempo imprecisato ad attendere nuove disposizioni.

 

In questo tempo sospeso le vicende umane soggettive e le relazioni, come sotto una lente d’ingrandimento, acquistano un nuovo spessore, tra le guardie, tra i detenuti, tra gli uni e gli altri. Le inevitabili piccole variazioni dei ritmi monotoni e ossessionanti, dei rumori metallici, in cui sorveglianti e sorvegliati sono immersi consentono di aprire lo sguardo sulla vita intima, di intuire fragilità e risorse di ciascuno oltre che sulle implicazioni più profonde dell’istituzione carceraria. Quali i suoi veri intenti?

Mi chiedo le ragioni per cui questo film mi colpisce spingendomi a parlarne. Gli argomenti proposti non sono nuovi, anzi si tratta di tematiche antiche, anche molto dibattute, il rischio della noia ripetitiva è molto alto. Penso la risposta stia nello stile narrativo di questo regista capace di aprire strade nuove in territori noti.

L. Di Costanzo che si era applicato già all’osservazione del ‘tempo sospeso’ in altri suoi film ‘L’intervallo’ e “l’Intrusa”, ora approfondisce lo stesso tema in ‘Ariaferma’, un film carico di tensione, in cui apparentemente accade molto poco. Tensione che viaggia nelle brevi–immense distanze che separano gli uni dagli altri, spingendo ciascuno ad amplificarle per radicarsi o a mostrarsi radicato in identità certa, non contaminabile. Ma le improvvise mutate condizioni ambientali creano nuovi varchi, spingono alla ricerca di soluzioni nuove per vecchi problemi, tra le persone emergono sovrapposizioni, inattese similitudini e vicinanze.Si è spinti a ripensare come il sapere implicito dell’istituzione meriterebbe attenzione non meramente volta agli aspetti concreti legati ai meccanismi giudiziari. Questioni organizzative come ad esempio la condivisione delle celle, tra alcuni e non altri tra i detenuti, l’affidamento di incarichi, o gli improvvisi, apparentemente incomprensibili trasferimenti si configurano come aree ri-traumatizzanti senza poter divenire parte integrante di un processo trasformativo. D’altronde, negli anni 80 (Foucault, Basaglia…) molti si sono occupati dei temi relativi alle prassi istituzionali che perdendo di vista gli obiettivi più nobili dei compiti per cui erano nate, si attestano su funzionamenti volti soprattutto a confermare se stesse, in una sterile reiterazione della punizione e dell’isolamento col frequente rischio di sconfinare nell’abuso. Pur considerando che paragonare il contesto carcerario con ambiti di cura dei disturbi della mente e ancor più con la cura psicoanalitica, può essere di certo azzardato, non possiamo ignorare che enormi quote di sofferenza psichica determinata da assetti inconsci, siano alla base dei reati così come delle ‘scelte’ professionali della custodia di esseri umani. La linea di confine tra la patologia della mente e la volontaria e consapevole violazione della legge non sempre è facilmente rintracciabile. Nel modo di guardare alla complessità dei fenomeni umani che Di Costanzo propone c’è qualcosa che accomuna ambiti così apparentemente distanti, l’attenzione ai dettagli, la creazione di un tempo sospeso in cui sia possibile avviare una nuova pensabilità. Lasciandoci intuire, come accade nel tempo della stanza di analisi, che l’indagine può proseguire solo se i soggetti implicati possono consentirsi di avventurarsi su piani meno noti, laddove si è disposti a correre il rischio del ‘nuovo’, in un patto condiviso e silente, l’incontro può assumere nuovo colore e si verificano trasformazioni emotive inattese.

Il film propone, dicevo, tematiche antiche, in diversi ambiti del sapere ci si è interrogati sui ‘Delitti e sulle pene’, C. Beccaria 1764 operava una prima importante distinzione tra reato e peccato, affermando il fine della pena non solo “afflittivo e vendicativo ma rieducativo e di tipo politico”. Più recentemente gran parte dell’opera di M. Foucault (1926-1975) è dedicata allo studio dei metodi di ‘controllo sociale’, ad esempio all’analisi della ‘moderna’ concezione architettonica delle strutture dedicate a tali funzioni, in particolare del panoptico, ideato dall’inglese J. Bentham verso la fine del XVIII secolo.

Il panoptico, costruzione ‘moderna’ concepita per ottimizzare la funzione di controllo di alcuni uomini su altri, l’idea architettonica è piuttosto semplice: di forma circolare, tante celle sono aperte verso l’interno in modo tale da essere osservabili da una postazione interna, di solito una torre, che assolve la funzione di occhio, i prigionieri in tal modo sono potenzialmente visibili senza poter a loro volta vedere.

L’idea del panopticon, ha ispirato oltre a Foucault pensatori e filosofi (N. Chomsky, Z. Bauman, G. Orwell) che hanno lavorato intorno alla metafora proposta dalla struttura architettonica, immaginando come un potere invisibile potesse ‘controllare’ e domare il male, trasformando così gli uomini.

In questo senso Foucault sottolinea che “la visibilità” è la trappola della modernità. (N. Giusto - Network Politics, 2015)

La cronaca negli ultimi anni ci ha informato del ripetersi di gravi abusi sul piano della custodia istituzionale dei detenuti, da Stefano Cucchi ai fatti di S. Maria Capua Vetere, così come in altre istituzioni in cui le forze in campo sono vistosamente impari, fatti che interrogano la coscienza e sovvertono i criteri di giustizia.

Mi sembra che nel collocare in un panoptico le dolorose vicende umane di ‘Ariaferma’, L. Di Costanzo proponga metaforicamente l’idea che è tempo di abbandonare questi impianti, cosa che peraltro nella realtà è già accaduto ormai da molti anni in tutti i posti in cui erano stati costruiti. Anche sul piano della concezione della pena è necessario accedere a qualcosa di profondamente diverso dagli attuali dispositivi. Nel film quest’aspetto assume grande rilievo, piccole vicende umane come quella di Fantaccini così come negli scambi tra l’ispettore Gargiulo e il detenuto Lagioia, è possibile sperimentare l’avvio di piccole trasformazioni solo quando nella relazione diviene possibile sperimentare quote di intimità e di fiducia. Considerazioni assai banali per chiunque pratichi genericamente professioni di cura o solo l’insegnamento, ma che sembrano parti accessorie irrilevanti dell’istituzione carceraria. Si allude al “bisogno di espiazione” anche, ma soprattutto in grado di promuovere movimenti di trasformazione della mente a partire dalla possibilità di mettere in contatto la propria e l’altrui umanità. Non ci sono, è evidente, soluzioni semplicistiche ma occorre mettere in campo dispositivi capaci di avviare processi di riparazione complessi e che essi non possono essere collocati fuori dallo spazio delle relazioni. In tal senso mi è sembrato che la psicoanalisi fosse convocata.

 

  

C. Beccaria   Dei delitti e delle pene 1764 – C. Mondadori, 2011

M. Foucault, Sorvegliare e punire – Einaudi, 2014

N. Giusto - Network Politics 2015

AAVV, L’Istituzione e le istituzioni – Borla, 1991

 

 

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