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Report di Stefano Lussana su “Psicoanalisi nel trauma e nell'emergenza” (20 ottobre 2018)

Il 20 ottobre 2018 si è tenuto presso il Centro di Psicoanalisi Romano una giornata di studio e di discussione che aveva per titolo "La psicoanalisi nel trauma e nell'emergenza", con un esplicito riferimento al terremoto che ha colpito Amatrice il 24 agosto 2016. Il trattamento di questo delicato tema è nato dalla fruttuosa collaborazione di un nutrito gruppo di analisti della SPI e un'associazione di volontari della protezione civile aggregatasi intorno al progetto del Centro Alfredo Rampi (bambino che morì in circostanze molto tragiche, dopo essere caduto in un pozzo, e al cui dramma, suo e della famiglia, partecipò in diretta, in rappresentanza dei cittadini del nostro paese, l'allora amato presidente della Repubblica Sandro Pertini).

Alfredo Lombardozzi nella sua introduzione ha messo in luce come il trauma, in questo caso una calamità naturale, e l'emergenza, il contenimento e l'elaborazione dell'evento traumatico, sono due momenti di acuto e intenso dolore. Essi richiedono interventi specifici nel qui ed ora e nel post-trauma e post-emergenza.

Rita De Iorio, Presidente del Centro Alfredo Rampi, ha parlato dell'orientamento psicodinamico - è l'unico caso in Italia - con interventi multipli della sua associazione che si manifesta operativamente nell'emergenza sismica e nel post emergenza, per mezzo del lavoro dei singoli e della costante coordinazione del gruppo. Per essere utili alle vittime di una catastrofe i soccorritori devono aver effettuato un lavoro psicologico individuale e di gruppo che permette loro di acquisire la capacità di stare con il dolore proprio e con quello dell'altro. Alla fine del lavoro di De Iorio viene riportato lo scritto di una persona vittima del terremoto che raccontava come i soccorritori, con amorevole cura, recuperassero gli oggetti di una vita vissuta, che naturalmente era l'altra faccia della medaglia di un doloroso e tormentato lavoro psicologico. Per chi fosse interessato a saperne di più può leggere di Di Iorio e altri autori “Stare con il dolore in emergenza”, pubblicato da Franco Angeli e collegarsi al sito www.centrorampi.it.

Prima di riferire le relazioni dei nostri due colleghi vorrei raccontarle a modo mio, in un discorso unificante. I relatori ne offrono lo spunto citando entrambi l'opera di Bion. L'analista inglese ha traumaticamente visto morire accanto a sé altri uomini - e anche una parte di se stesso - durante la prima guerra mondiale e successivamente si è impegnato a portare avanti nella sua professione sia analisi di gruppo sia analisi individuali per soddisfare il bisogno di curare le ferite sia della comunità sia della persona (ed è questo l'aspetto vitale della sua personalità). L'evidenza sperimentata in lui, in altri e nei suoi pazienti, in diverse tragiche circostanze di vita, è quella di non riuscire a soffrire il dolore, di cui discute approfonditamente nel libro “Attenzione e Interpretazione”. Collegando il discorso ai lavori attuali, questo analfabetismo di tipo emotivo può colpire in un primo tempo in maniera indistinta sia l'analista sia i pazienti. Siamo in presenza di un contenuto doloroso, il cui contenitore difetta della capacità di contenerlo, sia che si tratti dell'analista, che supportato dalla funzione α (funzione γ direbbe Corrente) del gruppo può riuscire a rientrare in contatto con il suo dolore, sia che si tratti del paziente, che sostenuto dalla funzione α del suo analista può riuscire a sognare e a giocare. Ciò può consentire di rendere vivibile il dramma, seppure sotto forma di un dolore più tollerabile, e far tornare la vita a scorrere anche piacevolmente. Il nostro Centro si è particolarmente distinto nell'affrontare approfonditamente le tematiche relative al dolore mentale, cito ad esempio "Un tempo per il dolore" di Tonia Cancrini e "Il dolore dell'analista"di Maria Adelaide Lupinacci e colleghi. Traendo spunto da questi libri si potrebbe affermare che i casi di analisi che ci ricordiamo con piacere sono quelli dove, accanto aun buon lavoro di analisi con il paziente, abbiamo associato un qualche frammento di nostra autoanalisi.

Daniele Biondo, nella sua coinvolgente relazione "Stare con il dolore in emergenza", chiarisce immediatamente che questo significa riuscire a rapportarsi con la sofferenza dell'altro traumatizzato e al contempo riuscire a confrontarsi con il proprio sé traumatizzato. Per essere in grado di soccorrere le vittime di eventi catastrofici (le vittime primarie e gli stessi soccorritori, vittime secondarie) occorre essere in contatto con il dolore. Anche l'analista sul campo del terremoto, al di fuori del suo setting usuale, tenderà a rifiutare il dolore estremo, la morte reale, un grave lutto, come la perdita di una o più persone care, dei propri averi, della propria casa o del proprio paese, i luoghi e i tempi dei propri affetti. Ciò susciterà nello stesso analista potenti angosce persecutorie e depressive e il rifugio in difese che spingono all'azione sul campo e alla rassicurazione delle vittime e che sottendono scissione e negazione, somatizzazione e maniacalizzazione rispetto al dolore. Un barlume di coscienza può evocare una situazione di impasse con annessi sentimenti di vergogna e di colpa per il fatto di sentirsi impotente e annientato, anestetizzato e paralizzato, congelato e pietrificato, e in qualche caso devitalizzato e deumanizzato nella propria capacità di funzionamento mentale, per poter sopravvivere all'impatto cruento attivato dal terremoto e dalle sue conseguenze. Solo quando l'analista sarà capace di soffrire il dolore proprio, cioè sarà lui stesso uscito dall'emergenza e tornato a far lavorare la mente al meglio delle proprie capacità di funzionamento, a quel punto sarà in grado di contenere ed elaborare una rappresentazione interna di questo dolore, per poterlo sentire, e direi soprattutto, per poterlo pensare. Giunto a questa fase dell'intervento l'analista potrà, come antidoto ad una solitudine generalizzata e spinto dalla ricerca di un avvicinamento dell'altro, accogliere e condividere, partecipare e soffrire il dolore delle vittime. Se l'analista può vivere il proprio dolore lo saprà utilizzare nel rapporto con il paziente per fornirgli un processo di identificazione trasformativo e così non ripetere nella dinamica dell'incontro con l'altro la relazione con un oggetto non contenitivo. Gli strumenti che abbiamo a disposizione sono innanzitutto un buono stato di funzionamento mentale, che si può comunicare attraverso la parola che dà conforto e quiete e l'empatia che affianca e connette, consentendo di dare accesso, luogo e tempo al dolore. Ciò che rimane impresso in mente è la presenza dell'altro sia nella verbalizzazione dei propri vissuti sia nel silenzio. A questo stadio possiamo avvicinare una figurazione del dolore, una simbolizzazione della sofferenza, una rivitalizzazione del sé, e un piacere della relazione con il proprio analista fino al punto da proporre alcune ipotesi interpretative sul ruolo che ha il dolore all'interno del funzionamento mentale del paziente. Per poter costruire un sistema di gestione del dolore del soccorritore, occorre recuperare, nella relazione analitica, quel particolare legame di natura solidale fatto di passione e tenerezza, fiducia e sicurezza che rende questo dolore più umano. Il relatore quindi si pone una serie di interrogativi. Nei casi di cui stiamo parlando, ci sono "le parole per dire" il dolore? Come facciamo nel caso della morte di un figlio? O della madre o del padre quando si è bambini? Infine, il gruppo è un fattore di protezione per i soccorritori. Nel modello psicodinamico multiplo per l'emergenza del Centro Rampi il gruppo, attraverso il debriefing emozionale, consente a tutti, per mezzo del resoconto della propria esperienza emotiva tra i terremotati, di essere contenuti, di poter elaborare e di dare voce ai propri vissuti più dolorosi relativi alla perdita altrui e propria. Biondo come analista si è trovato nel duplice ruolo di chi aiuta gli altri operatori e anche di chi è soccorso per compiere al contempo un lavoro psicologico molto doloroso. A tal proposito ci racconta il caso molto toccante di un uomo che perde la madre con il terremoto. Il giorno dopo in cui la terra ha tremato, incontra una persona che trema proprio come una foglia al vento e, piangendo disperatamente, gli comunica che sua madre è morta; l’uomo vorrebbe seppellirla secondo le sue tradizioni, ma lo Stato italiano indica altre procedure. Gli racconta brevemente della sua precarietà esistenziale mentre Biondo lo assiste nel riconoscimento della salma di sua madre, che gli procura un dolore violento. Dopo qualche mese, in una lezione tenuta al Centro, Biondo riferisce dell'episodio descritto e incomincia a tremare e si commuove, sentendo di provare una profonda tristezza. Il relatore si rende conto di avere dissociato un livello cognitivo da un livello emotivo: come la terra trema paurosamente, così questa persona trema proprio come una foglia al vento, indicando la fragilità della sua esistenza, così anche Biondo trema fino a commuoversi. Il relatore considera che la dissociazione era stata funzionale in quanto gli aveva permesso di lavorare in questo caso specifico. Ma ora quel tremore e la conseguente commozione chiedono ascolto, le memorie somatiche dell'uno e dell'altro sono messe in primo piano e possono anche prendere parola. Infine, in un successivo debriefing emotivo Daniele Biondo può essere aiutato ad elaborare il suo dolore non sofferto rispetto una perdita vissuta nell'infanzia, un vero e proprio terremoto emotivo, in un prezioso e continuo lavoro autoanalitico.

De Intinis con la sua bella e partecipata relazione "Attraversando il terremoto, esperienze cliniche con bambini, adolescenti e le loro famiglie" ci porta ad un altro tempo dell'intervento psicologico su persone terremotate, in altri termini al trattamento psicoterapico vero e proprio ad orientamento analitico, coordinato dal Centro Alfredo Rampi. Dopo un certo numero di colloqui di consultazione con una famiglia, viene identificato un membro dello stessa da essere avviato ad una psicoterapia individuale presso i locali messi a disposizione dal Comune di Roma. I primi incontri con le famiglie al completo sono un momento per raccontare i diversi punti di vista sull'esperienza dolorosa e terrorizzante del terremoto. La dimensione del gruppo consente di accedere ai vissuti di morte dei singoli membri che attivano angosce di natura persecutoria e depressiva e che permettono una prima forma di contenimento e di elaborazione delle loro sofferenze da parte dell'analista. A questo punto gli incontri esitano nella presa in carico della persona che sembra essere la più sofferente, che lamenta, ad esempio, un disturbo del sonno, una paura di rimanere sola, un distacco emotivo o un intenso terrore Gli analisti in consultazione hanno lavorato a titolo gratuito. Va anche precisato che alcune psicoterapie si sono svolte grazie all'offerta di donatori. Nel caso degli adulti il trauma presente, la scossa di terremoto con la sua distruttività, può a volte fare emergere dei traumi infantili. "Nel caso dei bambini, vi è una significativa specificità, si assiste al massiccio crollo del contenitore materno in quanto il mondo diventa estremamente imprevedibile e pericoloso e viene momentaneamente perso il buon oggetto interno". Un lavoro psicologico intenso e affettivo nella relazione analitica mette nelle condizioni di tollerare il dolore per modularlo nella sua quantità e per soffrirlo nella sua qualità e in questo modo dare accesso ai propri ricordi con i relativi vissuti densi di significato. Gli strumenti analitici di comprensione e di costruzione, utili nel lavoro con questi pazienti, sono duplici. Da una parte l'elaborazione del contenitore, prima nell'analista e poi nel paziente, che trasforma proto emozioni in immagini e in pensieri e che consentono una rappresentazione psichica dell'emozione vissuta, arricchendola di un significato. Dall'altra "l'analista aiuta il paziente a ripristinare la barriera di contatto tra mondo conscio e mondo inconscio", per poter distinguere la realtà dal sogno, e tutto questo può essere realizzato quando si trasformano gli stimoli sensoriali evocati dal terremoto in sogni sognati o in giochi creativi, così che il paziente possa utilizzarli o rimuoverli. Anche in queste situazioni disperate si rinviene in ogni caso un nucleo vitale nella personalità del paziente.

La discussione sulle relazioni è stata particolarmente stimolante e sono intervenute alcune figure professionali appartenenti al Centro Rampi e alcuni analisti del nostro Centro; ha parlato uno psicologo che ha svolto un lavoro capillare presso le scuole sensibilizzando professori e studenti al dialogo sui vissuti emotivi. Personalmente ho fatto riferimento all'immagine della frattura terrestre di un terremoto, delle crepe nelle case che simboleggiano le ferite nell'animo. Se si pensa all'emergenza del trauma viene da associarla ad una terminologia inglese che utilizza anche Bion. Se si ha una rottura, quest'ultima può prendere cinque strade: un break-down, un precipitare nella frattura, il crollare nella depressione; un break-up, l'elevarsi per aria, l'andare in pezzi psicotico o schizofrenico; un break-in, un entrare nella frattura con dei super poteri, un irrompere maniacale; un break-out un uscire dalla frattura con un isolamento, un evadere autistico; un break-through, un attraversare la frattura, un fare progressi e scoperte creative.

Maria Adelaide Lupinacci, nelle sue conclusioni, ha espresso alcune considerazioni pregnanti. Nel trauma e nell'emergenza l'analista, con la sua funzione analitica per quanto essenziale, non è ancora sufficientemente messo nella condizione di curare il dolore se non è affiancato da altri interventi di tipo multiplo in un contesto biopsicosociale. Nel post trauma e nel post emergenza viene reso possibile il trattamento ad orientamento analitico e nei casi portati da De Intinis l'elaborazione del dolore passa attraverso la sua rappresentazione in senso psicologico con una trasformazione in sogno (un film) e una trasformazione in gioco (un disegno). Una riflessione condivisa con tutti i partecipanti è stata la seguente: come gli eventi traumatici lasciano un'impronta indelebile nella vita di una persona, così possiamo affermare lo stesso genere di concetto per le esperienze gratificanti che costellano l'esistenza di un individuo.

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